La Pasqua può essere interpretata come metafora del passaggio dall’ego all’io. Come per il popolo ebraico, occorre lasciare l’Egitto, terra di schiavitù e di certezze elementari (pane, acqua), e procedere verso la Terra Promessa, cioè verso un luogo interiore dove si fa concreta esperienza della salvezza e della gioia divine. È un luogo traboccante di amore e quindi di libertà, perché vi è libertà dove vi è amore e viceversa. Il vero amore scaccia la paura. Il percorso è costellato di timori e di echi rivenienti dal passato. Le sicurezze approntate dalla condizione di schiavitù esercitano il loro richiamo prepotente. Le sirene delle concupiscenze sibilano all’anima di accontentarsi del visibile, di vincolarsi al mondo, di non curarsi delle cose invisibili. Riaffiorano gli idoli di sempre, quelli che attengono alla carne ed alle sue opere, che sono ben note: “fornicazione, impurità, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere” (v. Lettera ai Galati). Il cammino nel deserto implica l’abbandono nelle mani del Dio provvidente. La manna e le quaglie e l’acqua che sgorga dalla roccia confortano gli esuli, quasi allegorie della comunione eucaristica. L’ego deve man mano spogliarsi delle sue vesti lacere e apprendere a mostrasi nudo dinanzi a Dio, senza provare vergogna. Nudità è, secondo me, l’altro nome del cristiano. E si tratta di una nudità che non ha a che fare con il corpo, ma con il cuore, con la personalità, con l’essere, che si mostra a Dio così com’è, conscio dei suoi mali, dei suoi peccati, dei suoi vizi, per essere da lui risanato, liberato. Si stenta a comprendere che il peccato è una malattia che uccide il corpo e che riserva all’anima l’infausto destino della seconda morte, quella eterna. Si tende piuttosto a ridimensionarne gli esiti, come se fosse normale, quindi umano, sguazzarci dentro. Il percorso educativo immaginato da Marco Guzzi ci conduce dinanzi ad uno specchio che ci rimanda tanto la nostra immagine distorta quanto quella risanata, cioè quella che dovrebbe essere in conformità col disegno liberante di Dio. Ma che cosa libera l’uomo se non lo Spirito? “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé”, scrive Paolo ai Galati. È un’elencazione che si apre con l’amore che, a cascata, genera la gioia, e questa la pace, e così via, fino al dominio di sé. In altri termini, l’ego, spogliatosi dei suoi abiti consunti, si fa io cristico, passando attraverso le fasi dell’io in conversione e dell’io in relazione. Le maschere cadono. Resta l’uomo cosciente della sua filiazione divina, della sua origine e del suo destino oltremondano. Io sono un “darsipacista telematico”, nel senso che seguo gli incontri tenuti da Marco via web. Ne sono stato e ne sono tormentato. Alcune volte è come se l’anima si rifiutasse di sintonizzarsi sulla lunghezza d’onda delle parole che convertono scavando. È come se la frattura originaria ed originante si facesse dolore. Sono stato sul punto di mollare tutto, dopo aver messo mano all’aratro. Molto più semplice costruirsi qualche idolo su misura delle proprie esigenze distorte che convertirsi, lasciarsi aprire le orecchie, guardarsi dentro con l’occhio scrutante di Dio. Ma cosa ne avrei ricavato? Il ritorno in terra di schiavitù, dov’è pianto e stridore di denti, già qui, in questa dimensione di vita. Il lavoro spirituale è, per l’appunto, un lavoro. Semmai va preso a piccole dosi, o meglio nelle dosi che si confanno a ciascuno di noi. La mia personale esperienza mi suggerisce di centellinare, di muovere piccoli passi. Troppa acqua non irriga ma distrugge. L’azione ingannevole dell’ego è anche quella di convincerci che i risultati devono essere immediati e che, se non lo sono, non vale la pena di proseguire. Scoperto l’inganno, ci si premunisce nel senso di interpretare quel dolore intimo come segno che qualcosa si muove nella giusta direzione, che si sta demolendo un ostacolo, che si sta abbattendo una resistenza al cambiamento. È la giusta interpretazione, non una giustificazione che ci si dà per consolarsi. Mentre termino di scrivere queste note, mi giunge dall’esterno un cinguettio. Mi allieto. Non tutto è perduto. Anzi, tutto è guadagno per chi si fida dello Spirito.
Bel testo!!!! Grazie nostro Salvatore!!!
GRAZIE Salvatore,
la riflessione che ci offri è veramente efficace, la tua esperienza ci accompagna in profondità nel senso del lavoro e del non impegno lasciando un delicato profumo di speranza che resta nel tempo.
Penso che lo rileggerò poichè la mia ritrosia alla nudità è dura ma molto dura da intaccare e per un (buon) cristiano ( come me ) darsipacista la cosa non è leggera da portare nel tempo.
Un forte e fraterno abbraccio Ale
Denudarci davanti a Dio ci apre a relazioni più vere e autentiche tra gli uomini.
In questa spogliazione, il dolore della ferita si fa sentire, ma so anche che posso attraversarlo e lasciarlo andare nell’abbandono, ogni giorno un po’ di più, gustando lo scorrere verso l’Oceano della piccola goccia d’acqua, in compagnia delle altre.
Grazie, Salvatore, per la tua riflessione e per la tua perseveranza nel lavoro che aiuta anche me.
Giuliana
Grazie Salvatore per la tua testimonianza, descrivi con autenticità ciò che si vive durante il cammino di liberazione interiore. Mi sento consonante con le tue esperienze, la scelta di vivere la dimensione spirituale è scoperta di ciò che siamo veramente, è consapevolezza della dimensione della nostra umanità, è esperienza di abbandono da ogni pregiudicato senso di noi e del mondo per come pensiamo di conoscerlo, è affidamento, è esperienza e domanda! Fare esperienza è un processo, un movimento continuo, un ricominciamento che produce nella relazione intima con lo Spirito nuova vita. Perseverare nel lavoro interiore è questione di vita e questo lo sentiamo nella carne, veramente.
Un abbraccio a tutti. Vanna
Grazie Salvatore. Sono arrivata forse per ultima al corso telematico ” darsi pace” e mi sento ancora un’estranea perché non riesco a mettermi in pari con le lezioni, al punto che più di una volta ho pensato di smettere. Mi ritrovo tantissimo con quello che scrivi e il tuo messaggio mi porta degli stimoli forti per continuare con la speranza di iniziare un viaggio bellissimo dentro di me!
Sono uno di poche parole e quelle poche che dico vorrei subito riprenderle e riportale indietro. Questa sera però lascio che sia la mia anima a comandare. Vengo da qualche giorno di “abbandono”, abbandono della pratica meditativa, abbandono della lettura serale della liturgia, abbandono del libro che mi accompagna in questo periodo. Forte in me il desiderio di lasciare tutto e ritirarmi in una caverna. Questa sera però ho sentito uno spirito diverso, una sorta di luce interiore. Mi sono messo a rileggere l’avvenire della scorsa domenica e ho trovato grande consolazione nelle parole di Ermes Ronchi (nel buio si possono scorgere delle feritoie da cui entra la luce vera) e poi nell’omelia di Papa Francesco (che esortava a sentire oggi ancora che la pietra è stata rimossa dal sepolcro). Poi ho letto il tuo post che mi rincuorato e dato la giusta carica per riprendere il mio cammino di darsipacista. Mille grazie Salvatore.
Grazie Salvatore per queste parole precise, che narrano i movimenti “storici” dell’animo, leggeri profondi tormentati, in breve “pasquali”. I movimenti dell’animo sono pasquali quando riescono a farci fare un passo al di là del dolore, nella direzione giusta.
Varie espressioni del tuo racconto mi hanno colpito. Sopra tutte questa: “Troppa acqua non irriga ma distrugge”. Vero!
Mentre scrivo ascolto dalla finestra aperta il messaggio di una pioggerella leggera ma perseverante.
Occorre sedimentare, interiorizzare, metabolizzare.
Auguri a tutti, la Pasqua continua per 50 giorni. Corrado
La Pasqua è il passaggio di Yaweh che stermina gli egiziani e salva gli ebrei perchè sulle loro porte c’è il sangue dell’agnello. Non siamo noi a passare, è Dio che passa ed è l’Agnello che ci salva.
Amici non “lavorate” troppo, leggete il vangelo e la Scrittura e restate uniti a Cristo. Allora un po’ alla volta, la mentalità vecchia andrà via da sola ed emergerà l’uomo nuovo.
Auguri a tutti, me compresa!
Carissimo Salvatore,
la chiarezza delle tue parole accompagna il chiarore che pian piano si sta facendo strada in te
Grazie !
Nuccia – Filomena
Vi sono grato delle vostre risonanze e riflessioni. Un abbraccio!
Caro Salvatore,
del tuo interessante post vorrei sottolineare la tua ultima frase che spariglia un po’ tutta la “casa” costruita in precedenza….
“mi giunge dall’esterno un cinguettio. Mi allieto”
Questo è il segno della tua capacità di accoglienza e fedeltà allo Spirito che, al momento giusto e quando meno te lo aspetti, si rivelano con incredibile spontaneità.
un abbraccio.
Cara Francesca, in realtà non sussiste una contrapposizione tra lavoro e grazia. Normalmente le persone più sante sono quelle che contemporaneamente credono di più nella salvezza che viene da Dio, e lavorano con maggiore intensità per fare fruttare questa grazia e predisporsi ad accoglierla….
Un grande augurio. Marco
Grazie Salvatore per la tua riflessione.
Come appare chiaro nella parte conclusiva del tuo post, uno degli ingredienti fondamentali per il buon esito del lavoro interiore e’ la fiducia, cosa tanto piu’ difficile da vivere perche’ appunto i progressi sono molto graduali e spesso avvengono insieme a sensazioni di dolore o comunque di difficolta’. Ma vorrei puntare l’attenzione alla fiducia che serve. Oggi, forse piu’ che mai (?), la fiducia e’ un bene rarissimo: 1000 e piu’ situazioni, avvenimenti, persone, realta’ e anche noi stessi la tradiscono continuamente. Per questo, spesso non si capisce chi o cosa veramente la meriti e chi invece no…”attenti ai falsi profeti”….la fiducia che, a un certo punto, deve addiritttura diventare fede….che lo Spirito ci sostenga e accompagni in questo cammino, le cui difficolta’, a volte, appaiono insormontabili! Un abbraccio, Alfredo