La Festa Dei Talenti Ritrovati

Commenti

  1. Stefano C. dice

    Grazie Domenico per il tuo post che…. fa riflettere e molto, sul significato di normalità e sulle modalità di rapportarci con essa.
    Il dialogo con Dio porta alla riscoperta della nostra unicità, con annesse modalità e tempistiche di maturazione; l’unicità di noi stessi porta ad amare quella delle altre persone ma soprattutto ad affinare le nostre relazioni che da “uno a molti” diventano tante relazioni “uno a uno”.
    Anche io cerco di vedere i miei due bimbi per quello che sono individualmente in rapporto ai loro carismi (solo intuibili), cercando di bilanciare le leggi di competizione naturali, che tanto fanno soffrire chi rimane indietro ma anche chi è troppo avanti. Il tuo Andrea, come tutti i nostri bimbi ci ricordano la nostra unicità che tanto abbiamo combattuto in nome di una più confortevole omologazione e sono per noi una preziosa occasione da non gettare per imparare ad essere bambini, prima che uomini.

    grazie di nuovo

  2. Carissimo Domenico, grazie di cuore per questa riflessione che aiuta a comprendere come la diversità, quella che fa sentire ‘fuori norma’, è la nostra specifica ricchezza, il nostro talento da scoprire/ritrovare: la parola unica che siamo venuti a portare in questo mondo.
    La tua attenzione ai talenti che Andrea sta rivelando attraverso al sua diversità mi commuove e mi da tanta speranza.
    I talenti, anche quelli rappresentati dalle diverse abilità (troppo spesso ancora chiamate disabilità) sono doni dati per il bene di altri e davvero ognuno, in qualsiasi condizione, è dono da scoprire, valorizzare, e ciascuno scopre il proprio dono/talento nella relazione con altri.
    Immagino ciascuno di noi come una sillaba del Nome Infinito di Dio. Per scoprire questo nome ognuno deve tirar fuori la propria sillaba nascosta e unirla a quella di altri, e aiutare altri a fare lo stesso.
    Un grande, grande abbraccio a papà Domenico, al mitico Andrea, e naturalmente anche alla sorellina Irene e a mamma Cristina! giovanna

  3. Imparare ad osservare il bambino “fuori dal normale” come bambino e non come un problema è stato un passaggio importante nel mio cammino professionale.

    Ha significato disancorarmi dalla conoscenza acquisita attraverso i libri, che non intendo sminuire, e avere fiducia in ciò che andavo intuendo dentro la relazione, una conoscenza che si fa insieme al bambino e richiede accoglienza, non giudizio.

    Nelle diversità, così variegate dei bambini di oggi, sento una voce che dice :
    “Accoglimi così come sono”

    Una voce che mi sollecita a contattare nel mio corpo il centro da cui nasce ogni tipo di giudizio per lasciarlo andare.

    Ora, a scuola, gusto vedere che il mio insegnamento e l’apprendimento dei bambini si fa attraverso i nostri corpi, le nostre menti e i nostri cuori.

    Un abbraccio ad Andrea e a tutti i bambini/e “fuori dalle righe”.
    Giuliana

  4. Alessandro C. dice

    Caro Domenico c’è una cosa che vorrei dirti da tempo ed ora è giunto il momento:
    Irene e Andrea sono bambini fortunati, avrei voluto tanto anche io un papà come te !
    Grazie
    Ale

  5. Io sono stata colpita dalla sottolineatura che Domenico ha posto sulla passione. Talvolta ho la netta sensazione che siamo un po’ scarsi su questo versante, anche tra i ragazzi. Certo, se gli adulti non sono capaci di appassionarsi alla vita, non si può pretendere che lo siano le persone della generazione più giovane. Ero rimasta tanto male quando il figlio di una mia cugina, fresco fresco di uno stiracchiato esame di maturità, alla mia domanda “se avessi una bacchetta magica cosa ti piacerebbe fare?” era rimasto in silenzio, aveva fatto qualche smorfia di incertezza e poi non era riuscito a dirmi nulla.
    Davvero si tratta di metterci nelle condizioni, attraverso percorsi educativi che ci raccolgano fin dall’inizio del nostro cammino sulla Terra, di far emergere i nostri personali talenti e di dedicarvici con passione, scommettendo tutto noi stessi in ciò in cui siamo profondamente persuasi che sia il senso del nostro vivere.
    Un abbraccio a tutti i cercatori di talenti appassionanti
    iside
    PS: a Giovanna: bellissima l’immagine delle sillabe del Nome infinito di Dio!

  6. Antonietta dice

    Mettersi fuori gioco: come mi piacciono queste parole! Tanto se non lo facciamo da soli, prima o poi ci pensa il tritacarne socio-economico a farlo. Perché, per quanto omologati, prima o poi diventiamo tutti troppo o troppo poco: troppo vecchi, troppo ingombranti, troppo poco produttivi.
    Anch’io penso che dobbiamo cercare di inventare giochi nuovi, tanto per proseguire con questa metafora, in cui impariamo a scoprire e valorizzare le nostre abilita/diversità.
    In fondo la natura stessa non è il manifesto della più svariata biodiversità?
    Voler sempre catalogare e omologare è probabilmente una conseguenza della convivenza sociale, ma i limiti a questa standardizzazione devono essere posti da noi.
    Passione, desiderio, apertura all’infinito: far con-vivere questo nostro nucleo inviolabile con le necessità pratiche di convivenza e organizzazione sociale è una grande sfida.
    Forse è proprio la sfida della nostra generazione e di quelle a venire.
    Forza Andrea e famiglia… e viva la (bio)diversità!
    Antonietta

  7. DParlavecchio dice

    Leggere le vostre risonanze ha aumentato la profondità di quello che avevo scritto.
    E’ stata evidenziata la bellezza della bio-diversità e del’unicità data dai talenti.
    In realtà quello di cui stavo scrivendo (me ne rendo conto solo ora che ho letto i vostri commenti)
    ha a che fare con la “vocazione”.

    Mi avete reso evidente è quanto mi è pesato scrivere la “rivoluzione della fatica” perchè non sempre sono disposto a “ricominciare” o rivedere la direzione.

    Mentre scrivevo mi rendevo conto che Andrea (e non solo lui) è il continuo invito a questa rivoluzione.
    Quando dico che si gode la vita è perchè si gode quello e chi ha intorno.
    E’ più presente di quanto io possa immaginare e forse anche più di me.

    Sono rimasto sorpreso qualche giorno fa quando Marco pubblica su FB una riflessione che lascio
    di seguito. Quello che c’è scritto mi mette davanti a parecchie delle mie resistenze.

    Grazie di cuore anche a voi e .. buon viaggio e occhio alla sana fatica!

    ——
    Che cos’è una vocazione?
    E’ un essere confitto, fissato senza scampo ad un’area, ad un fare, ad uno stato interiore, a qualcosa che
    occupa tutto lo spazio della nostra vita.

    Questa fissazione però non esclude niente, se non ciò che ci potrebbe distanziare dal fuoco di ciò che ci chiama,
    dalla vocazione stessa cioè.

    Chi segue la propria vocazione infatti non può, letteralmente non può distrarsi, non può divagare.

    L’unico vero piacere consiste nell’approfondire e nell’estendere la propria fissazione, è solo lì che gode
    il richiamato, è solo lì che può costruire la propria esistenza, è solo lì, in quel fuoco, che per lui anche
    maggio fiorisce, che anche lui può sposarsi, e nuotare, e fare la spesa o fare figli.
    Lì, e solo lì.

    La vocazione perciò sembra follia agli uomini di questo mondo, in quanto in questo mondo nessuno fa esperienza
    di essere reclamato, e ogni cosa risulta perciò sostituibile, arbitraria, voluttuaria, e quindi vana.

    La vocazione invece costringe con lacci però di puro amore, costringe paradossalmente alla libertà.

    Beati noi se sentiamo di essere chiamati, e se impariamo anche l’arte di vivere da eletti, perché
    il Cristo ci dice che molti sono i chiamati, ma pochi sono coloro che se ne accorgono, accettando di pagare
    anche il prezzo quotidiano della loro elezione.

  8. Nice replies in return of this issue with solid arguments and telling
    all concerning that.

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