Quando ero bambina, Gesù Risorto mi sembrava una specie di genio pronto ad uscire dalla lampada, puntuale ad ogni Pasqua. Per convincerlo però bisognava pregare tanto tanto, ma a me non è mai riuscito di farlo apparire.
Anche su questo versante l’inquietudine della giovinezza è stata occasione di approfondimento e così l’equivoco della magia è svanito per lasciare spazio al Risorto che ha a che fare con la mia vita.
Ai Corinti Paolo dice: “Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso” (1Cor 2,2), ma poco oltre, nella stessa lettera, asserisce: “Se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede” (1Cor 15,14).
Il riconoscimento della sovrapposizione tra il Risorto e il Crocifisso, che qui Paolo mette in evidenza, è però tutt’altro che scontato.
Interessante al riguardo è il racconto dei due discepoli di Emmaus (Lc 24,13ss).
“Due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme”: intanto occorre uscire da Gerusalemme, luogo tradizionalmente deputato all’incontro con Dio, ma anche luogo in cui è accaduto il suo clamoroso fraintendimento. Gesù è infatti definito “così forestiero in Gerusalemme”, cioè straniero, estraneo all’idea di Dio che lì è rappresentata.
“Gesù in persona” cioè proprio lui, non “un fantasma”, “camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo”. Infatti essi riassumono la vicenda di “Gesù Nazareno” come “profeta potente in opere e in parole” e manifestano la loro delusione davanti al fatto che, quando tale potenza poteva essere usata al servizio della liberazione politica di Israele, è invece stata totalmente dissipata sulla croce, percepita come sconfitta.
Gesù li rimprovera come “tardi di cuore nel credere” alle “sofferenze”: si tratta di acquisire il significato del suo morire per poter raggiungere il vero senso del suo vivere, fin dall’attesa scritturistica. Gesù ha dato compimento alla Legge salendo sulla croce perché proprio sulla croce egli svela il Dio da sempre desiderato, ma fino ad allora soltanto delineato per intuizioni ambigue. Così “vicini al villaggio dove erano diretti”, il Risorto che “camminava con loro” li conduce gradualmente alla comprensione.
“Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”. Il progressivo approssimarsi alla scoperta decisiva da parte dei due uomini culmina allo spezzare del pane, il gesto che Gesù di Nazareth aveva fatto nell’Ultima Cena come lettura del suo corpo spezzato/consegnato/donato in croce per la salvezza degli uomini.
Esattamente questo gesto accende il ricordo dei due che finalmente ravvisano nel commensale quel Gesù che pensavano di avere perduto.
Il Risorto allora acquista i tratti di Gesù.
Fino a quando non si fa ritorno alla memoria storica di Gesù di Nazareth, l’identità del Risorto non viene alla luce. Il Risorto infatti non ha nulla di nuovo da comunicare “se non Gesù Cristo, e questi crocifisso”.
“Ma lui sparì dalla loro vista”. Nel momento in cui essi riconoscono il viandante, il Risorto ha adempiuto alla sua missione e sparisce alla percezione. Nell’evento di Gesù di Nazareth sono presenti tutti gli elementi che possono aprire alla piena fiducia nell’Abbà e che vengono continuamente fatti risuonare dalla Grazia di Dio che “ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre! (Gal 4,6).
Il grido di Gesù nel Getsemani, il suo grido dalla croce, è lo stesso che riecheggia, compiuto, “nei nostri cuori”. Gesù ha promesso “il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).
La risurrezione è pertanto la chiave interpretativa della vita di Gesù di Nazareth e, grazie alla sua testimonianza, della vita di ciascuno di noi. Il Risorto, che appare con i segni del Crocifisso (Gv 20,27), non supera il Crocifisso, ma ne porta a compimento il significato. La risurrezione quindi non è l’epilogo felice ed irrelato del tragitto sulla terra, ma è l’inveramento di un imprescindibile percorso.
La risurrezione, pertanto, conferma la fiducia di Gesù nell’Abbà che lì si rivela tale, salvando la vita del Figlio e così mostrando agli uomini che la loro vita non è abbandonata, ma sempre custodita. La dedizione di Dio non viene meno anche quando storicamente è nascosta. La risurrezione è la certezza che Dio è soltanto l’Abbà affidabile.
Pertanto, è proprio guardando, insuperabilmente, a quella storia (risorta) che possiamo vedere il vero volto di Dio e fondatamente sperare che le nostre più vibranti passioni saranno costitutive della nostra identità risorta.
Grazie cara Iside,
aderisco compiuta-mente alle tue parole !
trovo bellissima la tua conclusione e spero veramente che le mie ‘vibranti passioni’, che qui possono sbocciare e rinforzarsi con la progressiva consapevolezza e la cura costante, esplodano un giorno e per sempre nella luce gioiosa del Padre
ti abbraccio
Filomena
Ringrazio la Redazione per avere postato, senza lunga attesa, la seconda parte della profonda riflessione di Iside che ora si fa luminosa.
“Il Risorto, che appare con i segni del Crocifisso (Gv 20,27), non supera il Crocifisso, ma ne porta a compimento il significato”.
Mi tornano le parole di papa Francesco in una delle sue prime omelie:
“Se noi non annunciamo la croce di Cristo, possiamo essere preti, vescovi e papi, ma non siamo discepoli di Cristo”.
Non possiamo essere cristiani se non siamo nel centro della croce, tra l’orizzontale del tempo e il verticale dell’avvento.
Questo richiede uno spazio di silenzio tra noi e Cristo per poterne percepire il mistero con occhio chiaro non deformato da nessuna mente.
L’annuncio, l’evangelizzazione avviene sempre nel silenzio, come dice padre Vannucci , nel silenzio di un fiore che fiorisce, di una bellezza che si dischiude, di un qualcosa che comunica la realtà di un mondo dentro il quale uno nel silenzio dell’incontro vive. (Nel cuore dell’essere)
La risurrezione è intensificazione di vita.
Grazie Iside e un forte abbraccio.
Giuliana
Cara Iside,
La lettura di questo post, profondo nella sua semplicità e scorrevolezza, mi ha spinto a questa immediata riflessione: la risurrezione è l’inveramento della crocifissione, la risurrezione è la croce nella sua essenza. Quando un fatto, un’esperienza dolorosa ci schiaccia, spesso noi ci lasciamo travolgere e perdiamo la testa, non abbiamo il coraggio e la sapienza di andare oltre di cercarne il significato costruttivo. Oltre c’è sempre una risurrezione, un grande bene: se resteremo in compagnia con Gesù con lui risorgeremo a vita nuova, il dolore potrà aggredirci, ma non in modo definitivo! Definitiva è la pienezza, la gioia.
Espressiva, dolcemente naif la rappresentazione della croce che contiene il Cristo risorto ! Dove la hai trovata?
Con affetto, Mariapia
Anche io, carissima Filomena, spero davvero che la risurrezione personale sia l’evento che possa chiarificare a me stessa il senso del mio vivere per poterne assaporare finalmente la pienezza senza ambiguità.
Carissima Giuliana, anche a me pare che l’evangelizzazione potrà passare soltanto attraverso il silenzio eloquente dei gesti che danno testimonianza della fede in quel Crocifisso Risorto.
Ciao Mariapia! L’immagine è un esemplare di crocifisso nello stile di rappresentazione di artisti latinoamericani, in vendita presso i negozi del Commercio Equo e Solidale. Ne ho uno analogo appeso in camera mia e non mi fa paura!
Un abbraccio
iside