I primi tempi in cui cominciai a leggere questo blog e i testi di Marco Guzzi mi stupì il fatto che si facesse un uso così disinvolto di testi poetici. Quasi che le poesie non fossero solo cose da poeti, studenti e professori, ma dentro ci fosse tanto altro che a me proprio sfuggiva.
Non avevo niente in particolare contro la poesia, però la trovavo decisamente una perdita di tempo. Nei casi migliori era uno svago o un esercizio letterario, in quelli peggiori, i più numerosi, era per me un’irritazione da evitare senza indugio. Poesia uguale debolezza, fuga dal reale, roba da sognatori o da gente complicata. Non faceva per me.
Riconoscevo a volte l’abilità del poeta nel generare immagini nuove, ma quelli immagini un po’ mi disorientavano, e in fondo non sapevo dove metterle. E poi non capivo: se si ha qualcosa da dire, non è meglio farlo con una bella prosa, chiara e lineare? Perché costringere il lettore ad arrovellarsi su poche contorte parole?
Poi un giorno una mia cara amica mi invitò a casa sua e mi diede il manoscritto del libro di poesie che stava per pubblicare: un libro di poesie, non volevo crederci, ma perché una persona sana di mente dovrebbe perdere tempo a scrivere poesie?
La cosa mi inquietò così tanto che volli capire. Prima di tutto le lessi, con calma e attenzione, e mentre le leggevo e rileggevo sentivo qualcosa che dentro di me si incrinava. Erano molto belle, ma soprattutto smuovevano emozioni. Alcune mi arrivavano come un pugno allo stomaco, altre erano leggere come il tocco di una farfalla, ma dopo il colpo o lo stupore la sensazione non era sgradevole, anzi, era quasi liberatoria.
Da lì partì la mia riconciliazione con la poesia. Non è stata una cosa immediata: ho letto alcuni libri che mi hanno aiutato e uno in particolare è stato decisivo perché accettassi senza più riserve questo modo di esprimere se stessi (se a qualcuno interessa il titolo: Donatella Bisutti, La poesia salva la vita, Mondadori 1992).
E così poco per volta ho cominciato a dare un nome alle mie resistenze. La parola poetica crea combinazioni di suoni, significati e immagini che dall’esperienza del poeta arrivano al lettore in una specie di corto circuito. In chi legge vi è l’esperienza di una percezione reale, vissuta adesso, nel corpo. Poeta e lettore sono entrambi soggetti attivi di uno stesso processo molto concreto, a dispetto di chi pensa che la poesia sia qualcosa di astratto e vago. In questo modo la poesia riesce nel paradosso di dire ciò che proprio non può essere detto. Detto no, ma sentito sì.
Se non si ha un po’ di familiarità con i propri stati d’animo, se non si è abituati ad accedere alle proprie emozioni, l’istinto di fuga è la reazione più naturale. A me era successo proprio questo.
Dopo tre anni di DarsiPace vorrei tradurre così il mio approccio alla poesia: io non posso leggere poesie se sono nel mio stato egoico, che é rocciosamente schermato alle emozioni e a qualsiasi tipo di vulnerabilità.
Posso leggerle se sono un po’ più allentata, in conversione diciamo noi: allora riesco a vedermi un po’ dall’esterno senza essere più così spaventata da quello che succede dentro. Accetto che non devo tanto capire, ma sentire. E che posso sentire senza essere annientata.
Ma è nell’Io in relazione che la poesia risuona più forte: se io riesco ad essere un po’ disarmata e in ascolto, le parole poetiche riecheggiano fresche, nuove, e vere. Non sempre, certo, non in tutti i testi poetici, ma a volte capita. Ed è proprio bello che le parole che leggo con questa apertura del cuore diventino le mie: la mia meraviglia, il mio dolore, la mia invocazione. La mia preghiera, in fondo.
Concludo girando anche a voi la domanda con cui ho iniziato: chi ha paura della poesia?
Io non ne ho più.
Chi ha paura della poesia?
Postato il 15 Luglio 2013 Scritto da 23 Commenti
Grazie Antonietta. Hai descritto bene,almeno secondo me, l’esperienza “poetica”: di chi scrive e di chi legge Poesia.
Ricordo, molti anni fa, forse era proprio il 1992 una trasmissione radiofonica di Marco (Dentro la sera) che prendeva spunto proprio dal testo da te citato: credo che quella sera la mia vita svoltò decisamente.
La poesia è la vita dell’io-in-relazione, o della Relazione che prende a vivere nell’io (in figura di io) e lo accende, lo apre, svuotandolo (ecco forse quella sensazione di qualcosa che si incrina, che ci mette in crisi) e facendone un ascolto.
Grazie, un caro saluto a tutti.
renato
Grazie Antonietta per questo viaggio dentro la tua esperienza con la poesia. Io mi sono identificata molto con la prima parte e sono ancora in attesa della svolta per un incontro riconciliato con la poesia – stavo per scrivere “con questo genere letterario”, perché purtroppo (e mi rendo conto che è un purtroppo) sono ancora fortemente condizionata dall’approccio scolastico ai testi poetici. Solo raramente, mi si apre uno squarcio che mi fa intravedere che in realtà è proprio come tu dici – e cioè nulla a che vedere con l’esercizio di maniera – quando qualcuno mi spiega il significato di una poesia. Mi piace ascoltare Marco G. quando ci introduce al senso di un testo poetico e lì allora quelle parole mi parlano. Non sono ancora arrivata però ad essere in grado di apprezzarle a partire da una lettura personale.
In riferimento alla tua domanda, forse tengo lontana la poesia per la paura delle emozioni che potrebbe far risuonare in me.
Avendo iniziato a conoscere personalmente la tua anima poetica, sono certa che con il tuo aiuto potrò lasciare andare un po’ anche su questo versante…
iside
Cara Antonietta,
hai scritto proprio un bel post; comprensibile, chiaro e lineare; cosa che io non so fare, per mancanza d’ interesse nel dialogo con gli altri; purtroppo, parto dal presupposto che “tanto nessuno capisce nessuno”.
Sono completamente d’accordo con te “la poesia” è relazione nuova e: muove, attiva e rinnova, coloro che la amano. Talvolta, quando leggo in modo inconscio e concentrata, testi poetici, mi accade di “shakerarne” le parole in modo automatico e questo “evolve” qualcosa in me. E’ come fare un giro di danza, tra le braccia dell’amato.
Un caro abbraccio
Rosella
Ciao Antonietta,
il tuo post garbato e chiaro, mi ha riportato alla mente quando in adolescenza scrivevo le mie prime poesie, erano tutte molto pregne di emozioni, poi con il tempo le emozioni sono diventate troppo forti ed io non avevo più la forza di contattarle e di scriverle, credo che con il tempo ne abbia avuto paura.
Ora sta emergendo in me una nostalgia struggente di quei versi e dell’intimità che tramite la poesia avevo con me stessa e piano piano sento che sto ritornando a contattare quel sentire sottile e pregnante che ascolta l’anima.
Ciao e grazie. Patrizia
Il pezzo di Antonietta Valentini ha stimolato in me alcune brevi riflessioni.
Ho coltivato a lungo la poesia prima di diventare un narratore, e credo d’aver perso qualcosa in questo passaggio. Del resto la mia non è stata una scelta bensì un’evoluzione naturale. Solo scrivendo poesia ho sperimentato alcune volte – di rado ma neppure troppo – la sensazione di un’alterità quasi presente, quasi tangibile; come se potessi evadere da me stesso rimanendo me stesso, e come dunque (per usare le famose parole di Rimbaud) potessi ottenere d’un tratto, e nella prigione del mio corpo, la “libertà nella salvezza”.
In prosa è tutto diverso, e il massimo dell’estasi lo si raggiunge nel momento in cui i fatti “tornano”, la storia “quadra” o le risonanze del testo sono “a tono”. Dunque si tratta d’una faccenda assai tecnica, che non attiene tanto alla conoscenza quanto al divertimento, all’estetica o nel migliore dei casi a una sorta di stabilizzazione psichica. Ciò chiaramente non è affatto poco ma non è quel tutto, raro e accecante, che può regalare la poesia.
Credo poi che il discorso valga anche riguardo l’esperienza della lettura. Non a caso ci sono solo tre romanzieri in cui “credo”: Melville, Dostoevskij e Kafka, e tutti e tre sono romanzieri anomali, sono mistici prestati alla narrativa. Insomma la mia ricerca della verità (non so come altro esprimermi) è riservato alla lettura della poesia; e la cosa strana e anche un po’ inquietante è che leggo molta, molta più narrativa che poesia.
Un abbraccio a tutti.
Enrico
E’ stata la poesia a condurmi in dP.
In una trasmissione radiofonica ascoltai due poesie lette da Marco Guzzi, che allora non conoscevo, e fui toccata da parole vive, così potenti da mettermi in movimento.
Nel piccolo – grande laboratorio di Darsi Pace ho compreso un po’ di più il tipo di poesia che scrive Marco attraverso il lavoro nel quale imparo a stare e perseverare, riconoscendo, come dici tu, cara Antonietta, lo stato in cui mi trovo e sperimentando in esso la diversa risonanza della parola.
Sogno una scuola capace di aprirsi a questo tipo di poesia.
Mi dà gioia camminare insieme a voi verso una direzione che vedo più chiara e precisa.
Grazie Antonietta e grazie a tutti.
Giuliana
Cara Antonietta hai espresso molto bene il mio stesso disagio e mancato interesse verso la poesia che provavo anni fa; poi ricordo che mi fu regalato un libretto di poesie scritte da una ragazza di sedici anni che era mancata improvvisamente all’affetto dei suoi genitori, si tratta di miei lontani cugini.
Quelle parole illuminate, di cui parte della famiglia non ne era a conoscenza, mi colpirono oltremodo.
Capii come si può racchiudere in una frase tanto sentimento, tanto da dire.
Così anche con l’aiuto di Marco ho rivissuto la bellezza dei versi.
Leggere una poesia è come leggere un salmo, richiede meditazione, credo che faccia bene alla mente ed allo spirito e…in un mondo ormai sopraffatto dalle chiacchere ci vuole davvero!
Un caro saluto Gabriella
Ho scoperto l’intensità della poesia quando, in un periodo di sofferenza, ho letto la poesia “L’ Alpino ” di M.Guzzi ,e pìù la rileggevo più dentro di me toccavo un’emozione profonda che mi spingeva a capirne il senso e la natura.
Credo sia stato un mio primo scioglimento,una forma di autoconoscimento,una via spirituale.
Da bambina la poesia era una recitazione stereotipata,ma credo che senza esserne consapevole,il suono e il senso di quelle parole mi sono rimaste dentro,tanto che mi è rimasto il gusto,con i miei alunni,di farne inventare sempre di nuove.
Grazie Antonietta di questo bel post. Grazie a tutti. Rosanna
Ciao a tutti! Vorrei subito commentare quanto scritto da Enrico dicendo che mi trovo d’accordo con lui quando mette in relazione poesia e ricerca della verità, non lo sono invece quando sostiene che “in prosa è tutto diverso”, qualcosa di “assai tecnico” che dà soddisfazione quando l’insieme “quadra”! Nella mia esperienza di lettrice particolarmente ‘vorace’ ho incontrato tanti autori in prosa dalla scrittura particolarmente felice e decisamente ‘poetica’ (molto più di quella di sedicenti poeti che solo all’uso di una scrittura in versi attribuivano il loro ‘fare poesia’)…ora devo interrompermi ma mi piacerebbe approfondire il discorso che lega poesia a verità. Alla prossima! maria carla
@ maria carla
Forse mi sono spiegato male. Io parlavo essenzialmente della mia esperienza di scrittura e non di lettura. Ho del resto citato tre romanzieri (Melville, Dostoevskij, Kafka) che mi fanno “toccare l’impossibile”, per dir così – ce ne sono anche altri, poco lontani. Il problema è che leggo moltissimi romanzi, e parecchi di questi mi piacciono anche tanto, ma ciò credo abbia poco a che fare col discorso che si fa qui.
Un esempio: sto leggendo Follia di Patrick McGrath, è un romanzo assai ben scritto, appassionante, stimolante e psicologicamente molto acuto (parla di un adulterio e di un uomo squilibrato), ma non so quanto potrà regalarmi a livello di coscienza, o se vogliamo di conoscenza. Lo terminerò a breve, ne sarò entusiasta e magari ci scriverò su pure un pezzo, ma non mi avrà “cambiato la vita”; nella migliore delle ipotesi avrà cambiato un poco la mia percezione della lettura e del piacere estetico – che, intendiamoci, non è poco.
Carissimi, proprio ieri ho detto a Donatella Bisutti dei buoni esiti del suo libro testimoniati nel nostro sito…era tutta contenta!
Credo che il problema che muove (e inquieta da tempo) Enrico consista nei diversi modi in cui oggi si intende lo scrivere: per Siti, ad esempio, scrivere significa solo esporre l’ombra dell’io, ma ciò può non essere sempre molto evolutivo. Per altri scrivere sta diventando un problema di pura espressione soggettiva o puro esercizio di tecniche narrative…
Per me la scrittura è un luogo di rivelazione, di guarigione, di trasformazione, e quindi un luogo raro: l’avvenire è raro, diceva Char; e anche ben poco frequentato….come ogni luogo in cui l’io si metta in gioco fino in fondo, e cioè fino a morire all’illusione della propria autosufficienza …
Un abbraccio. Marco
Ci sono scritture che sono in anticipo. La questione, forse, non riguarda il “genere letterario”, ma la capacità di intuire “chi” scrive/legge. In questo senso la scrittura/lettura può continuare a essere “rivelativa”, profetica e rivoluzionaria. Non credo che ciò possa interessare il mondo dell’editoria o dell’estetica. Interessa invece la “vita”, il suo avere/desiderare un senso. Interessa l’uomo che si riscopre “poema dell’essere”. Un affettuoso saluto.
Anche per me il libro di Donatella Bisutti è stato importante, e lo è stato in un momento molto critico della mia vita, doloroso ma anche molto…rivelatore (di quelle parti di me che chiedevano di venire alla luce e che, come spesso accade, lo hanno potuto fare solo per mezzo di un trauma affettivo lacerante).
Sono sempre più convinta che l ‘autentica scrittura poetica (una volta sgombrato il campo dal considerarla solo un genere letterario fra i tanti) abbia a che fare con uno ‘svelamento’, con maschere che cadono, con uno sguardo non più appannato…d’altronde lo stesso significato etimologico della parola p o e s i a rimanda a fare/creare/generare…Cosa? un nuovo sguardo sul mondo, un nuovo ‘sentire’ la realtà del mondo. Per questo considero ‘fisiologico’ il suo legame con la v e r i t à ! Se la filosofia ‘spiega’, la poesia ci ‘fa vedere’…cara Antonietta, il tuo invito a non aver paura della poesia è più che mai attuale perché -oggi più che mai- abbiamo bisogno di vedere con occhi nuovi. Grazie per questo tuo stimolante spunto di riflessione, buona estate, mcarla
Vi ringrazio per i vostri commenti: sono venute fuori tante cose importanti, sulla poesia, la narrativa, la scrittura.
Ho voluto raccontare del mio percorso di avvicinamento alla poesia perché ne ho sperimentato il potere liberatorio e trasformativo.
Vorrei solo aggiungere due parole sui rischi, sperimentati anche questi, che la frequentazione della poesia mi ha messo davanti.
La poesia io devo avvicinarla con una certa prudenza, con la consapevolezza di maneggiare qualcosa di molto potente.
Il mio rischio é lo sganciamento dal reale, il girare a vuoto nella suggestione delle parole… e se succede questo non mi sento più un io in relazione ma un io smarrito, sradicato, abbagliato… e allora la paura ritorna.
Appena avverto questo rischio devo proprio lasciar perdere e ritornare a cose molto concrete.
Quando poi, ogni tanto, proprio nella banalità delle piccole cose quotidiane riesco a cogliere delle sfumature nuove, inattese, allora mi sembra che il cerchio della poesia lì, in quel momento, si chiuda veramente.
Ancora una volta probabilmente è proprio lo stato del mio io a fare la differenza.
Grazie a tutti!
Antonietta
P.s. Che bello… Marco Guzzi che racconta a Donatella Bisutti che stiamo parlando con gratitudine del suo libro! Una lettura anonima e solitaria diventa ora una comunicazione reale alla scrittrice che ha tirato fuori da sé quelle parole! Un altro piccolo cerchio che si chiude….
Grazissime Antonietta per il tuo post. Mi ha raggiunto nel mio necessario nomadismo estivo donando gli interessanti interventi di tante persone che ho conosciuto in alcuni incontri di D.P e che anche per questo mi toccano e risuonano particolarmente.
Anche per me, come per Giuliana, è stata la poesia a condurmi a D.P. Ricordo con emozione l’intervento poetico di Marco Guzzi alla trasmissione “Uomini e Profeti” di G.Caramore e le parole vibranti dei suoi versi dedicati ai figli..
“ve lo prometto risorgeremo…”
Come Giuliana sogno una scuola laboratorio poetico capace di trasmettere, coltivare e creare poesia come iniziamo a sperimentare nel piccolo -grande laboratorio di D.P.
Che dire del mio rapporto personale con la poesia, del mio scontro-incontro con lei fin dall’infanzia?
E ‘stata e spero continui ad essere una preziosa compagna di viaggio che mi aiuta a far emergere le profondita’ del mio essere.
Ero in 4.a elementare ,quando la maestra piuttosto anziana ed arcigna ci chiese di scrivere una poesia. Per la prima volta e per due giorni di seguito mi presentai senza aver fatto “il compito”nella convinzione che non ne sarei mai stata capace.
Al terzo giorno mi presentai con tre poesie( alla mamma- alla maestra- alla direttrice) interamente create e dettate dalla mamma che aveva fatto le elementari e amava rispondere in rima.
Piacquero tantissimo alla maestra che mi spedi’, accompagnata dal bidello, nelle varie classi e anche alla sede centrale dalla Direttrice.
Mi sentii invidiata da tanti bambini, mi vergognai terribilmente sentendomi peggio di un ladro e …non scrissi piu’ un verso fino ad oltre 40 anni.
In compenso al Liceo e poi all’Universita’, grazie a dei bravi insegnanti mi appassionai alla lettura della Poesia e, da insegnante di scuola Media, come Rosanna, ho avuto la gioia di vedere che spesso proprio gli alunni piu'”problematici” e demotivati si coinvolgevano scrivendo tanti versi e talvolta sbloccandosi tanto che alla fine mi sono sbloccata anch’io sperimentando che veramente “poeta e lettore sono soggetti attivi di un processo creativo molto concreto”.
Concordo pienamente con Donatella Bisutti e apprezzo molto il suo testo “La Poesia salva la Vita” e so come Rosella che quando si è veramente in ascolto la Poesia ti dona di” fare un giro di danza nelle braccia dell’amato”
Quando accade è sempre una sorpresa, a volte succede quando scrivo altre volte quando leggo e medito.
Cosi’ cara Rosella anche se è vero che “nessuno conosce nessuno” sopratutto la meditazione del salmo 138 (Signore, tu mi scruti e mi conosci, tu sai quando seggo e quando mi alzo) e Il Cantico dei Cantici sono per me LUOGO privilegiato
di rivelazione trasformativa.
Sono in “pensione” da diversi anni e da qualche tempo conduco dei laboratori di poesia con i ragazzi della scuola Media dove continuo a sperimentare la forza creatrice e liberatrice della Parola che continua a rivelarmi i non rari momenti di impotenza, di pigrizia, di tenebra e luce che sono prima di tutto dentro di me…senza averne piu’ paura..
Grazissime ancora ad Antonietta, a tutti i compagni di viaggio, alnostro capo cordata e alla sua famiglia.
Giuseppina
unica simbiosi la luce misteriosa della vita non mi farebbe paura senza un unica morte sicura buia e allo stesso tempo logica romantica
quanto la luna riflessa dal sole yeah ispirazione..google..paura poesia….
mmm.. fredda tra logica e romanitca aggiungo!!
Cara Antonietta,
ho trovato questo tuo bel post, che non avevo mai avuto occasione di incontrare, cercando per “poesia” dentro il blog… che straordinaria sorpresa! Scrivi delle cose estremamente oneste e vere, e metti il dito correttamente, secondo me, sulla difficoltà che soffre la diffusione della poesia… abbracciando anche una “pars costruens” che attraverso il percorso spirituale propone, mi pare, una nuova fratellanza con il verso poetico.
Mi sono permesso di prendere una frase, per citarla qui:
http://blog.marcocastellani.me/2018/09/la-via-della-guarigione.html
Un abbraccio!
Marco
Caro Marco,
Grazie per la citazione e per la lettura attenta di questo post, vecchio negli anni ma forse non nel contenuto.
Il rapporto con la parola poetica, letta e scritta, è stato anche per me un passaggio terapeutico.
Ora mi accorgo che l’uso di questo strumento di guarigione è diventato meno frequente. Forse perché qualcosa dell’energia di quelle parole sta provando a incarnarsi altrove, qua e là nella vita, spero…
Un abbraccio!
Antonietta
Cara Antonietta,
grazie a te per il tuo commento, molto molto interessante!
Apre infatti delle tematiche importanti. Può essere la poesia una fase di passaggio, anche terapeutica? Evidentemente sì, leggendo le tue parole. Per me, direi quasi veementemente, evidentemente no (ma non è un problema, come dice Von Balthasar, la verità è sinfonica). Non riuscirei a superare la poesia per essere più “dentro” il reale, perché è la poesia stessa che mi apre al reale. Più poesia leggo e pratico (e dovrei praticare di più) più sono dentro il reale, più mi interessa il reale, agire in esso, rischiarmi in esso. Mi pare interessante di nuovo, questo mondo.
E’ un tunnel, la poesia: se lo chiudo, mi chiudo fuori dal reale, dalla vita, o almeno la vivo molto opaca. La poesia ha una sua luminosità, per me, che ti svela la realtà di questo universo in modo non lineare, non retorico, aggancia qualche meccanismo e tu dici “ecco, è così!”.
Per me, appena, insomma.
Un abbraccio grande!
Marco
Caro Marco,
Mi ritrovo totalmente nelle parole che scrivi. Anche secondo me la poesia, questo tipo di poesia, apre sempre alla concretezza della vita, aiuta a svelarla.
Quello che volevo dire è semplicemente che la frequentazione delle parole poetiche può cambiare con il tempo: magari si legge o si scrive meno, ma questo non cambia l’intensità.
In fondo le parole sono doni che ci vengono dati, oro grezzo su cui possiamo lavorare, a volte con successo, a volte no.
Però quell’attitudine a riconoscere il dono, qualsiasi dono, e la responsabilità di provare a renderlo fecondo, anche questo lo considero umilmente poetico, cioè creativo.
Ciao, con affetto
Antonietta
Siamo “lavorabili”, si può sempre cominciare, ricominciare.
La tua disperazione non è l’ultima spiaggia, c’è altro.
Questo è – da come capisco – il messaggio, l’unico messaggio, della poesia.
Sono proprio d’accordo con te cara Antonietta, perché quella attitudine, di rendere fecondo un dono, è la continuazione dell’esperienza poetica, creativa. E’ un Universo che si apre, si riapre. Sempre.
Lo guardi aprirsi, lo credi aprirsi,
ecco: si riapre.
Con affetto,
Marco
Chi ha paura della poesia? Gli adulti potenti, ma di certo non un bambino, che mai gli verrebbe in mente di soffocare quelle voci che sente o di strappare la vita a chi presta loro la lingua.
Un bambino non teme la poesia né si domanda, come invece l’adulto, che cosa sia, perché egli già lo sente d’essere lui stesso poesia. Tutt’al più chiede da dove venga, perché è l’origine che lo affascina e ha bisogno di sapere.
Ecco allora che se un adulto mi domandasse che cosa sia la poesia, mi troverei in grandissima difficoltà a rispondere, ma se fosse un bimbo a chiedermi da dove venisse, mi verrebbe più facile raccontargli come nacque.
Un giorno che fu, quando ancora l’alba non c’era a imbiancare il cielo né il tramonto a incendiarlo, Dio ebbe un’idea che gli parve bellissima e quello fu il giorno in cui Dio pensò l’essere umano.
S’innamorò talmente della sua idea che la volle sempre nuova e fu così che creò l’alba e il tramonto, perché ci fossero giorni sempre nuovi e sempre daccapo ripensarla e innamorarsene come se ogni volta fosse la prima.
Da innamorato, volle farle un dono e fu così che nacque il donare.
E il dono più bello a cui pensò fu la vita ed è così che nacque l’uomo e nacque la donna.
Dio tanto s’innamorò di questi suoi pensieri viventi che volle per loro un dono speciale e gli diede la Parola e fu così che nacque il linguaggio.
Poi volle a queste creature parlare e dunque scrisse una lunga lettera per dire quanto le amava e fu così che nacque la Scrittura e la consuetudine a scriversi che hanno gli amanti.
E l’uomo e la donna risposero alla lettera di Dio e fu così che nacque la Poesia.