Quale volto per la Chiesa lanciata verso una Nuova Evangelizzazione?
Papa Francesco con le sue scelte, i suoi comportamenti, il suo parlare semplice e diretto, ci sta mostrando questo volto: una Chiesa-Comunità-di-fratelli in cui il potere è servizio, dono di poter servire, e il pastore non sta in alto ma in mezzo alle sue pecore delle quali porta addosso l’odore.
Presentandosi semplicemente come vescovo della Chiesa di Roma, prima nel servizio, invitando a camminare insieme vescovo e popolo, chiedendo umilmente la preghiera e la bene-dizione del suo popolo prima di dare la sua e inchinandosi per riceverla, ha toccato subito il cuore di tanti, credenti e non, e in migliaia accorrono per ascoltarlo, toccarlo, ricevere un abbraccio.
Una Chiesa chiusa manda cattivo odore e si ammala: il suo invito pressante è all’apertura, all’accoglienza, ad uscire fuori, ad osare anche di sbagliare piuttosto che rimanere al sicuro dentro; la sua attenzione privilegiata è verso i poveri, gli ultimi, tutte le periferie esistenziali.
Fare propria questa visione di Chiesa aperta alla relazione (una Chiesa mariana), che vive il potere non come dominio ma come dono di servire, richiede una profonda con-versione del cuore (un cuore semplice: sine plex, senza pieghe), il riconoscimento di tutte le strutture inconsce di potere/peccato radicate dentro di noi, strutture che si cristallizzano in Istituzioni che discriminano, emarginano, opprimono.
La conversione del cuore è necessaria oggi a tutta l’umanità, pena la sua sopravvivenza. L’aumento della popolazione mondiale (nove miliardi nel 2050 di cui otto nei Paesi poveri) e il conseguente aumento dei migranti richiedono un’urgente inversione di rotta: il modo di vivere ego-centrato, chiuso nella difesa dei propri egoistici interessi, si sta rivelando totalmente inadeguato a governare un mondo globalizzato che necessita di una capacità di vedere ampio, di tener conto degli interessi di tutti.
La Chiesa in prima linea è chiamata a convertirsi, a realizzare una purificazione profonda di tutte le forme egoico-belliche incistate nelle sue strutture. Papa Francesco a Lampedusa ha denunciato la globalizzazione dell’indifferenza ed invitato a realizzare una globalizzazione della solidarietà, sull’esempio di quella piccola parrocchia di periferia, divenuta faro per tutti.
La sfida della Chiesa in questo terzo millennio: accompagnare il genere umano nel percorso di con-versione da un io egocentrato/bellico ad un io relazionale, aperto alla fiducia, all’accoglienza, alla condivisione. Questa sfida la chiama in causa in prima persona.
I Lineamenta del Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione dicono che “il problema dell’infecondità dell’evangelizzazione oggi, della catechesi nei tempi moderni, è un problema ecclesiologico, che riguarda la capacità o meno della Chiesa di configurarsi come reale comunità, come vera fraternità, come corpo e non come macchina o azienda”. (cit. pag. 12)
La Nuova Evangelizzazione chiede una profonda revisione del modo di concepire la Chiesa: “chiede la capacità di ripartire, di oltrepassare i confini, di allargare gli orizzonti,(……) il contrario dell’autosufficienza e del ripiegamento su se stessi, della mentalità dello status quo e di una concezione pastorale che ritiene sufficiente continuare a fare come si è sempre fatto ( …) è tempo che la Chiesa chiami le proprie comunità cristiane ad una conversione pastorale in senso missionario della loro azione e delle loro strutture”. (cit. pag. 44).
I primi destinatari della Nuova Evangelizzazione sono dunque proprio i cristiani, chiamati a fare un’esperienza più radicale e profonda di questa trasformazione trans-egoica della loro identità umana, per divenire testimoni credibili di una relazionalità capace di autentica fraternità.
Duc in altum! L’invito a gettare le reti al largo fa fatica a divenire prassi di missione: una visione miope tende ancora a pensare la missione come fatta da singoli, che equivale ad andare a pesca con l’amo! Ma come passare dalla pesca con l’amo alla pesca con la rete? Come far confluire la testimonianza dei singoli in una testimonianza comunitaria?
L’evangelizzazione spesso fallisce perché si trascurano dettagli importanti per la pesca: una rete solida (una comunità ricca di relazioni fraterne), la conoscenza del mare (la comprensione delle sofferenze del nostro tempo), ma soprattutto il motore della barca (lo Spirito Santo).
Come attrezzarsi di una rete robusta, con nodi forti e maglie fitte? Spesso le nostre comunità sono reti smagliate con grandi buchi nelle relazioni, e non riescono a tenere/con-tenere. Le ferite nelle relazioni che ci portiamo dentro manifestano nella vita comunitaria tutta la loro virulenza generando invidie, gelosie, competizioni, rivalità, chiacchiere e pettegolezzi, che spezzano continuamente la comunione della rete.
Riconoscere che il mal-essere nelle relazioni scaturisce dalle nostre parti ferite, riconoscere la propria Ombra ed appropriarsene, è lavoro quotidiano indispensabile alle buone relazioni in una comunità. Bisognerebbe aiutare i singoli battezzati ad acquistare consapevolezza delle proprie ferite. Chi è profondamente ferito ferisce, e trasmette ad altri la propria ferita; e le ferite del cuore sono sempre ferite spirituali. Soprattutto la formazione dei responsabili di comunità dovrebbe essere particolarmente curata a questo livello per evitare che vengano vanificati tanti sforzi pastorali e si disperdano le pecore loro affidate.
La mancata consapevolezza delle proprie ferite porta ad agire automatismi difensivi di negazione e proiezione sull’altro della propria ombra: si genera così il mostro/nemico di turno da combattere, contro cui armarsi. Nelle comunità si assiste a volte a collusioni tra persone e gruppi che agiscono le stesse dinamiche difensive: singole persone e gruppi si aggregano proprio sugli aspetti scissi, disgreganti, di anticomunità, presenti in loro, si aggregano cioè ‘contro’, e agiscono collettivamente l’ombra proiettandola su un nemico esterno. Esempi di queste aggregazioni ‘contro’ ne vediamo in atto continuamente nella vita politica, civile, ecclesiale.
Nei luoghi della ferita si generano anche visioni distorte di Chiesa, spesso inconsce, che contraddicono la fede che si professa. Attraverso il lavoro interiore posso scoprire, ad esempio, che mentre ritengo di credere in una Chiesa-Popolo di Dio, comunità-di-credenti, dentro di me alimento forze di potere, controllo, sottomissione, che sostengono la chiesa di Satana anziché quella di Cristo, una Chiesa che usa il potere per dominare, schiavizzare; posso scoprire che mi rifugio in una obbedienza cieca, in una sottomissione acritica, delegando ad altri ogni responsabilità, non per amore ma per accondiscendenza, paura, pigrizia, sensi di colpa, per sottrarmi al rischio della libertà, e…e….e ancora altro. Nell’Anno della Fede desidero fare luce sulle forze che dentro di me mi portano a lavorare anche solo par time, per la chiesa di Satana, fonte di ogni divisione nelle comunità.
Due visioni di Chiesa sono state oggetto di confronto tra i Padri durante il Concilio: una ecclesiologia dell’obbedienza poneva l’accento sull’aspetto piramidale-gerarchico della Chiesa, una ecclesiologia di comunione poneva l’accento sulla Chiesa-comunità di fratelli, Chiesa-Popolo-di-Dio. L’aver rappresentato in correnti contrapposte queste visioni della Chiesa da la misura dello stato di scissione in cui viviamo e del lavoro di integrazione che è necessario fare.
Obbedienza e partecipazione nella comunione caratterizzano l’appartenenza alla Chiesa. Gesù si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di croce! Ma l’obbedienza prestata per paura o l’obbedienza richiesta per esercitare potere non sono l’obbedienza nella comunione con il Padre praticata da Gesù!
La Chiesa-comunione, Popolo-di Dio in cammino, emersa dal Concilio incontra ancora molte difficoltà ad essere accolta perché risveglia paure di perdita di potere e controllo. Occorrono luoghi caldi e accoglienti in cui le paure congelate possano sciogliersi, piccoli gruppi in cui fare esperienza di condivisione fraterna e crescere nell’amicizia e nell’aiuto reciproco. Questi gruppi ricchi di relazioni fraterne sono la rete fitta e robusta da gettare al largo.
L’esperienza di formazione a tre livelli (culturale: di lettura del nostro tempo alla luce dell’Incarnazione; psicologica: di consapevolezza delle nostre ferite e delle nostre difese; spirituale: di spegnimento della mente egoica attraverso una pratica di meditazione e preghiera) che si fa nei gruppi Darsi Pace è una preziosa risorsa per la creazione di una solida rete comunitaria. Giovamento potrebbero trarne le Comunità religiose, le Associazioni, i Movimenti ecclesiali, e soprattutto le Parrocchie che rivestono un ruolo centrale nella Nuova Evangelizzazione.
Quando ho incontrato virtualmente Guzzi ero già in conversione.
Questo è un fatto.
Ero già iniziata alla vita fin dall’utero di mia madre
e l’ innamoramento è la fisiologica psicoterapia che ti apre all’età adulta
e l’iniziazione è come un innamoramento
e l’iniziazione cristiana è innamorarsi di Cristo
e l’innamoramento, come la vita, non puoi darteli da te.
Questi sono magnifici fatti che accadono, che capitano, talvolta anche all’improvviso.
Ma allora perchè son qui?
Perchè gli innamoramenti vanno e vengono, e se ti va bene tingono di rosa l’universo per tre, quattro anni, ma poi passano; mentre Guzzi ha messo a punto un metodo di lavoro integrato, attraverso il quale toccare quotidianamente questa sorgente interna della tua gioia per prenderti cura di te e ciò ti consente di tornare alla terra innamorato della vita, la tua e quella altrui.
E’ UN DURO LAVORO ma vale la pena di fare un’ esperienza incarnata circa la possibilità di vivere meglio.
Che è come dire “trovi un senso” riconosci una direzione sempre più chiara e certa poiche la sperimenti dentro te stesso.
Ti guida una luce unificante il sentimento e l’azione che decidi di compiere.
Impari a ri-conoscere la vita che vivi con magnanimità verso te stesso e gli altri e non per un forzato senso del dovere o della giustizia, ma proprio perchè sperimentando emozioni di gratitudine e riconoscenza, decidi di condividerne il senso con altri, godendone un po’ di più.
Il tutto è proposto con gradualità “nella luce della fede cristiana” per gustarne consapevolmente “la dolce ragionevolezza”.
Penso che questa sia una ricchezza per ogni uomo di buona volontà e questa è la Chiesa in cui abito e che desidero edificare ogni giorno della mia vita.
Ciao Giovanna
un abbraccio
Rosella
io credo, cara Giovanna, che l’evangelizzazione fallisca principalmente per una ragione :
per mancanza di amore (ricevuto e donato)
Qual è infatti il compito principale dell’evangelizzatore? rendere testimonianza al Cristo attraverso l’unico comandamento che ci ha lasciato: amare gli altri come noi stessi.
Ma noi ci amiamo? e soprattutto, ci sentiamo amati?
L’amore che possiamo dare agli altri infatti è in relazione diretta con quello che riceviamo dall’unica sorgente inesauribile che è Dio, poichè non possiamo amare senza essere amati a nostra volta.
Pensi davvero che si debba chiedere, a noi stessi ed alla comunità ecclesiastica, altro che non sia coltivare l’amore di Dio come condicio sine qua non di una “nuova evangelizzazione”?
un abbraccio
Cara Giovanna
rivedendo il video e riascoltando l’omelia di Papa Francesco devo dire che la domanda che mi sorge spontanea è:
ma come si fa a “dare un pane” nella libertà dei figli di Dio?
La Chiesa è Madre nel dirci quali siano le azioni giuste da fare: ma ci dice anche che il Cristiano è gioioso nella vita e nella carità; ma poi, non insegna il COME CONTATTARE IN NOI AMORE E GIOIA per compiere queste azioni liberamente.
I Sacramenti son percepiti come staccati dalla realtà, perchè spesso il loro aspetto soprannaturale è, almeno in parte ridotto a magia, ed in quanto alla preghiera, a quel dialogo quotidiano da intrattenere con Cristo, chi ce lo insegna?
Io ho solo un vago ricordo del fatto che mia madre mi dicesse che noi abbiamo un amico nel cuore e si chiama Gesù.
Lei lo sapeva… ma nessuno le ha insegnato come fare a trasmetterlo a me: è così che mi son persa.
C’è sete di questo:
“Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». [40]E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. [41]Molti di più credettero per la sua parola [42]e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».
Ovviamente se son qui è perchè qualcosa ho trovato, ma mi piacerebbe molto che fosse presa in considerazione la possibilità che anche realtà monastiche contemplative si aprissero al mondo donandoci l’esperienza millenaria della loro vocazione: insegnandoci L’ESPERIENZA DELLA PREGHIERA.
Anch’io mi ripeto, non trovando altro di sostanziale da dire, se non Buona Domenica.
Rosella
Carissimi Rosella e Stefano grazie dei vostri interventi.
– Stefano, condivido quello che dici: l’evangelizzazione fallisce principalmente per mancanza di amore ricevuto e donato; l’unica cosa richiesta è l’amore di Dio, ma…………l’esperienza che facciamo nei nostri gruppi ci rivela quanto sia difficile aprire il cuore con fiducia e lasciarsi inondare dall’amore di Dio, quanto lavoro interiore richiede vincere resistenze, sciogliere paure, quanto faticose siano le relazioni con gli altri!
L’evangelizzazione fallisce perché si pretende spesso di andare ad evangelizzare altri senza aver acquistato consapevolezza che i primi da evangelizzare siamo proprio noi; senza aver toccato con mano le numerose immagini distorte di Dio che ci portiamo dentro (un Dio persecutore, un Dio vendicativo che punisce, un Dio assente); senza aver fatto arrivare la buona notizia del vangelo a tutte le nostre parti ferite che rendono spesso un inferno le relazioni ‘fraterne’.
Nella nostra condizione di ferita (ferita ab origine) ricevere amore e donarlo non ci viene affatto naturale. Imparare ad amare richiede un apprendimento, un lungo tirocinio, non a caso Imparare ad Amare segnerà il percorso del 2° approfondimento, che corrisponde al sesto e settimo anno dell’itinerario dei gruppi!
Per questo ritengo che il metodo di lavoro integrato messo a punto da Marco e collaudato da un’esperienza di 14 anni sia un grande risorsa per la Chiesa lanciata verso la sfida della nuova Evangelizzazione: consente di realizzare quella condicio sine qua non di cui parli: coltivare l’amore di Dio. Insegna proprio l’arte del coltivare, che richiede apprendimento e tirocinio.
-Grazie Rosella, le tue domande centrano il punto dolente/carente: la Chiesa è Madre nel dirci quali siano le azioni giuste da fare, ci dice anche che il cristiano è gioioso nella vita e nella carità ma poi non insegna il come. Come contattare in noi amore e gioia per compiere queste azioni liberamente? come realizzare quel dialogo d’amore con Dio che è la preghiera?
Condivido il tuo auspicio che le comunità monastiche si aprano a condividere le ricchezze della loro esperienza millenaria di preghiera, spesso però oggi anche queste sono in crisi. La presenza nei nostri gruppi di persone consacrate è una grande risorsa ed è segno di speranza di una fruttuosa osmosi di esperienze.
Un abbraccio. Giovanna
…che altro dire a proposito dell’ interessantissimo contributo di Giovanna e relativi commenti di Stefano e Rosella? Di me posso solo dire che il lavoro sulle ferite è quello che più mi impegna perchè doloroso, difficile, a volte tremendamente faticoso…dentro di me so però che è un lavoro troppo importante per non farlo, ne va della qualità della mia vita e quindi delle relazioni che vivo con chi mi sta vicino e con tutti gli altri! Davvero dobbiamo imparare a guarire noi stessi per portare salute nel mondo, per discernere ciò che è giusto e necessario fare, oltre la soddisfazione dei nostri egoismi (che purtroppo spesso non siamo proprio in grado di vedere) !
“Chi è profondamente ferito ferisce, e trasmette agli altri la propria ferita”…se prendessimo davvero a cuore queste parole ci renderemmo conto di quanta responsabilità abbiamo verso la realtà che ci circonda, a partire da chi ci sta più vicino per arrivare all’intero creato…quanto lavoro ci aspetta! mi conforta il pensiero di essere però in buona compagnia, ciao a tutti, mcarla
Condivido ciò che è già stato scritto in questo thread. Mi pare che l’evangelizzazione sia un’apertura e perciò lontana da ogni intento di proselitismo, che sarebbe soltanto autoreferenziale e perciò nella prospettiva di dominio. Mi piace leggere l’evangelizzazione come testimonianza, attraverso la propria esistenza, che la vita vale letteralmente la pena di essere vissuta per la realizzazione della libertà di ciascun essere umano, possibile soltanto se radicata nella Parola di Agape, riconosciuta come nostro fondamento.
iside
Cara Giovanna e cari commentatori! Approvo tutto quello che è stato scritto qui sul tema dell’evangelizzazione, che comporta un continuo lavoro su stessi, prima che con gli altri. Sto per trasferirmi in un nuovo quartiere della città , avrò un nuovo parroco, che non conosco ancora e nuovi conparrocchiani. Questo mi stimola a rinnovarmi! Ora sono anche molto impegnata per il trasloco e perciò scrivo rapidamente. Aiutatemi con la preghiera in questa impresa pratica, dove sarà messa a prova la mia capacità di concentrazione , di controllo delle emozioni negative, di organizzazione e fiducia ! Mariapia
Carissime Maria Carla, Iside, Mariapia, grazie delle vostre risonanze.
-Maria Carla: è proprio vero quello che dici, abbiamo una grande responsabilità. Quando trascuriamo di prenderci cura dei nostri bambini feriti diffondiamo mal-essere, diventiamo fonte di infezione sociale, al pari di portatori di malattie infettive. I gruppi sono veri luoghi di cura con un medico d’eccezione, lo Spirito Santo che ci guida. Ed è bello condividere insieme questo percorso di cura.
-Iside, si evangelizzare non è fare proseliti ma semplicemente testimoniare con la propria vita l’Amore che salva, libera e guarisce. E possiamo testimoniare, incarnare, solo quello che abbiamo davvero sperimentato.
-Mariapia un trasferimento in altro quartiere è una bella sfida ma anche un’enorme fatica a tutti i livelli. Ti sono vicina con l’affetto e la preghiera. Poi ci racconterai.
Un grande abbraccio a tutte. giovanna
Il 22 settembre ero con mio marito a Cagliari insieme a centinaia di migliaia di pellegrini per partecipare alla celebrazione eucaristica di Papa Francesco.
I versi scritti qualche giorno dopo ne sintetizzano pallidamente la grandissima emozione vissuta.
AVE PAPA’ BERGOGLIO
sei luce e orgoglio delle genti
a Lampedusa una lampada accendi
a Bonaria un ponte luminoso getti
perchè l’isola di Sardegna figlia diventi
e spezzi catene con pane di dignità
nutrita di lavoro e libertà.
Con te Francesco a Bonaria ancòra
contro la malaria lottiamo
con te, con Maria e suo Figlio
unica àncora, unica rotta
sulla sua Parola il popolo sardo
e il popolo di Dio rialza la testa
prende il largo danza e lotta.
Cagliari è la città dove dal 1974 al 1984 nella nostra vita di giovani sposi tutto ha avuto un nuovo inizio: il lavoro,i figli nati ed adottati a Cagliari, le amicizie vecchie e nuove ancora salde.
Per mio marito ed in particolare per me, donna sarda emigrata prima per motivi di studio e poi per lavoro, essere presente e respirare con la mia gente, alla presenza del mondo intero, l’atmosfera di quel giorno bagnato di sole e di lacrime, è stato un abbraccio ed un’emozione fortissima che spero di custodire insieme ai tantissimi che ne sono stati
toccati.
“Le vere ferite del cuore sono sempre ferite spirituali e possiamo testimoniare ed incarnare solo quello che abbiamo sperimentato. Papa Francesco, vero Pastore che custodisce il gregge, incarna, trasmette e testimonia la coerenza di una esperienza di vita integrata. E’ per questo che arriva a toccare il cuore, a scuotere e risvegliarci perchè non ci lasciamo rubare la Speranza. Ci ha ricordato che occorre mettere da parte “la Dea Lamentela” per mettere al centro la persona ed assumerci la responsabilità del bene comune, lottando insieme per assicurare a tutti, a partire dai giovani, un lavoro dignitoso e la custodia del creato.
Durante la messa, pellegrino con noi ai piedi della Madonna di Bonaria, ci ha ri-cordato che non siamo soli e ci ha esortato a non permettere che qualcuno o qualcosa si frapponga fra noi e lo sguardo di Maria che è quello della Madre che senza mediatori ci porta a Gesù.
Invitandoci a ripetere più volte con lui “Maria, donaci il tuo sguardo”, ha concluso in sardo “Sa Pache ‘e Nostru Segnore siat semper chin bois”( la Pace di Nostro Signore sia sempre con voi)
Il mio cuore di donna sarda ha pianto e vibrato di una gioia profonda che sento radicata nella mia terra e che,grazie anche alla preziosa risorsa del lavoro che faccio nei gruppi DARSIPACE mi aiuta ad attraversare le sfide planetarie del nostro tempo.
Questo prossimo ottobre frequenterò il 3° anno telematico dei corsi DP il cui metodo cura i tre livelli mente-corpo -spirito in maniera esperienziale con un serio lavoro personale e di gruppo.
Il profondo cambiamento del cuore è veramente la necessità più urgente, permanente ed epocale per attraversare le difficoltà del nostro tempo senza perdere la Speranza.
L’attesa, l’accoglienza, la commozione della mia gente e di quanti incontrano Papa Francesco testimaniano la sete e la fame di esperienze di vita interiore liberata per costruire solide reti comunitarie da vivere dentro le diverse realtà a partire dalla Chiesa e dalla famiglia e prima di tutto dentro il cuore di ognuno di noi come chiaramente sta indicandoci il Pastore Francesco.
Mi colpisce molto il fatto che ogni volta concluda la sua benedizione con la richiesta di pregare per lui. Accolgo con serietà ed impegno questa sua richiesta nella certezza della necessità di farlo per sostenerlo in tanti: tante certamente sono e saranno le resistenze, sopratutto interne che è chiamato ad attraversare insieme a noi, popolo di Dio.
Sempre più riconosco con gratitudine e commozione che gli strumenti necessari per il serio, permanente lavoro per la liberazione peronale e del mondo, portati avanti nei corsi DP sono in piena sintonia con l’annuncio e la testimonianza del Papa e per una nuova Evangelizzazione a partire da noi stessi.
Mi rendo conto ancora una volta di non riuscire ad essere concisa, spero che sarò perdonata da tutti gli amici sardi e non ai quali invio questa condivisione.
Di cuore ringrazio tutti i compagni di strada e specialmente Paola e Marco Guzzi nonchè Giovanna De Vita…
Sa Pache ‘e Nostru Segnore siat semper chin nois
Un abbraccio Giuseppina
Carissima Giuseppina, grazie di questa vibrante testimonianza. Si, il lavoro in Darsi Pace è in perfetta sintonia con quanto Papa Francesco annuncia e testimonia: realizzare un cuore semplice, senza pieghe, senza interne fratture e scissioni (un cuore mariano) e divenire custodi l’uno dell’altro, custodi del creato, per costruire la vera pace.
Anch’io accolgo la richiesta di pregare per lui: ha bisogno di tutto il nostro affetto e della nostra preghiera per portare avanti la grande Opera di rinnovamento della Chiesa che ha intrapreso.
Ti abbraccio con affetto. A sabato. Giovanna
Grazie Giuseppina per la tua condivisione che mi fa sentire donna sarda insieme a te, anche se diverso è lo spazio fisico in cui vivo.
Il lavoro interiore che sperimentiamo in Darsi Pace ci porta nel luogo interiore più intimo, dentro noi stessi, un luogo da amare e che impariamo ad abitare con gioia e con speranza crescente perchè è il luogo della nostra rigenerazione, perchè in questo luogo la Parola vivente entra nella nostra carne e ci rende partecipi di un Corpo che soffre, spera, piange, gioisce, prega, e si espande all’infinito.
La nuova evangelizzazione deve aiutarci a ricontattarlo e a sostare in questo luogo.
Un forte abbraccio.
Giuliana
«Il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda. A me capita che dopo un incontro ho voglia di farne un altro perché nascono nuove idee e si scoprono nuovi bisogni. Questo è importante: conoscersi, ascoltarsi, ampliare la cerchia dei pensieri. Il mondo è percorso da strade che riavvicinano e allontanano, ma l’importante è che portino verso il Bene»
Papa Francesco