Carissime amiche e carissimi amici,
ancora una volta in questa fine d’anno vorrei rivolgermi alle anime affaticate e oppresse di tutti noi, vorrei offrire qualche minuto di conforto alle nostre anime così tanto maltrattate, così raramente ascoltate a sufficienza, e così spesso invece ignorate del tutto e tradite.
Lo so, stiamo sempre pensando ad altro, siamo sempre impegnati a fare qualcosa d’altro, siamo quasi sempre distratti (“Distracted from distraction by distraction”, come dice Eliot), per poterci anche solo per un istante fermare a considerare con la dovuta attenzione la nostra reale condizione di esseri umani.
Eppure questo dominio dell’eterna distrazione ci costa caro, in verità, ci costa, ad esempio, la perdita progressiva di ogni possibile gioia, di qualsiasi autentico entusiasmo.
Dovremmo invece ripartire ogni giorno proprio dalla consapevolezza della nostra situazione drammatica.
La vita umana su questa terra è infatti un dramma.
Lo scriveva limpidamente il grande teologo tedesco Hans Urs von Balthasar: “la situazione dell’uomo nel mondo è drammatica; quando se la nasconde, il teatro gliela rivelerà”.
Ci troviamo infatti gettati in questo mondo con la terribile percezione di un’impotenza radicale, di una solitudine e di un abbandono irrimediabili, come precisava il giovane Ratzinger, pregno di risonanze heideggeriane: “La solitudine è la regione dell’angoscia, radicata nella condizione di essere-abbandonato in cui l’essere si trova, il quale deve essere e tuttavia è costretto ad affrontare l’impossibile”.
Con questa angoscia nel cuore, con questo rovello continuo che ci dilania l’anima, proviamo un po’ tutti a costruirci una vita mascherando l’abisso che ci risucchia: quasi tutto il mondo pubblico, perciò, ed in particolare il mondo dello spettacolo, in cui oggi la realtà umana sembra completamente assorbita e rappresentata, non è che una patetica commedia, come intuiva molto bene Shakespeare, un varietà più o meno sconcio che tenta invano di nascondere un’angoscia senza confini.
Basta osservare d’altronde con una certa attenzione le facce della maggior parte di questi commedianti: comici o politici che siano, ballerine o scrittori, sapienti o giornalisti o figuranti vari, per vedere la disperazione e la rabbia e l’odio e la paura, mischiate a penose ambizioni e a brame tanto confuse quanto divoranti, che trasudano da ogni poro della loro pelle, sciogliendo malamente gli spessi e grotteschi ceroni di scena.
Non si scappa però all’inferno della angoscia intensificando il carnevale delle maschere, né prolungando all’infinito i bagordi del martedì grasso.
Questo lo dovremo prima o poi capire tutti, volenti o nolenti, in questo finale di partita, in questi sgoccioli di civiltà consumistica e appunto “dello spettacolo”, in questo sfinito tramonto occidentale.
L’angoscia del nulla bisogna invece attraversarla, se vogliamo scioglierne i ceppi che ci incatenano: riconoscerla, attraversarla, sopportarla, e farci molto bene i conti tutti i giorni.
Perciò Gesù discese agli Inferi.
Il problema dell’uomo, l’unico vero dilemma è questo: cosa c’è al fondo del (mio) essere? C’è solamente il nulla del mio annientamento e la solitudine angosciosa del mio perdermi in esso? Allora la vita è per davvero un penosissimo spettacolo allestito sull’inferno malcelato della disperazione universale? Oppure nell’abisso dell’abisso, più giù del mio stesso concetto del nulla e di ogni nichilismo di maniera, si apre qualcosa di altro?
Cristo, ci dice il Credo, è disceso nell’inferno della nostra disperazione e della nostra morte per sfondarlo una volta per sempre e aprirlo alla luce del Cielo, per cui se scendiamo con lui in quell’abisso spalancato, senza fuggirne più l’amarezza, e senza neppure costruirci sopra altre maschere di attacco/difesa o vie di fuga, possiamo ormai incontrare, proprio perdendoci e morendo e dissolvendoci in esso, un’esperienza di puro amore, e cioè di senso compiuto: possiamo fare esperienza che al fondo del (nostro) essere non c’è il vuoto divorante, ma c’è un volto, una persona, una relazione viva, una mano forte e sicura che ci strappa via dalla nostra solitudine e dal nostro abbandono mortali, un Essere Divino/Umano insomma, infinitamente sapiente e buono, a cui affidarci.
Ma è vero tutto questo? E’ davvero possibile trovare lo sbocco, la risoluzione dell’angoscia primaria che attanaglia ogni uomo proprio nell’abisso della morte, che tanto ci terrorizza, in questo Battesimo per immersione?
Direi che comunque varrebbe la pena provarci… dato che non ci sono alternative soddisfacenti.
E dovremmo anzi provarci proprio adesso, perché il tempo dei rinvii è ormai scaduto per tutti, il tempo delle mezzadrie, delle mezze misure è finito: non c’è più spiaggia tra l’oceano e le rocce a picco sul mare, come diceva Rilke.
O si nuota verso il largo o si muore.
Questo è il tempo cioè delle scelte definitive, sia a livello personale che a livello storico-collettivo, tra la menzogna palesemente omicida e una nuova stagione di ricerca spirituale, radicale, iniziatica, seria, atta a trasformare anche le strutture (economiche, politiche, e culturali) di questo mondo, dominato ormai in forma totalitaria da piccole cerchie di oligarchi crudeli, pronti a distruggere perfino la terra per perseguire i propri guadagni: “In questo sistema, che tende a fagocitare tutto al fine di accrescere i benefici, qualunque cosa che sia fragile, come l’ambiente, rimane indifesa rispetto agli interessi del mercato divinizzato, trasformati in regola assoluta” (Papa Francesco).
Io sono cristiano perché la fede cristiana non inganna e non illude.
Gesù ci dice che la vita umana è e resta un dramma su questa terra, fino alla fine, un combattimento all’ultimo sangue, e che chi ti dice il contrario sta solo barando e in qualche modo ti vuole fregare.
Gesù non maschera l’infinita tristezza che abita il cuore dell’uomo, condannato a morte, accerchiato da mille pericoli e nemici, e nello stesso tempo bramoso di felicità eterna e mendicante di un goccio di amore. Gesù non maschera neppure la propria tristezza: “La mia anima è triste fino alla morte” (Matteo 26,38). Ma ci dice che questa tristezza può essere sanata se ci abbandoniamo fino in fondo e con fiducia nell’abisso del nostro cuore, e proprio lì, del tutto indifesi, ci lasciamo incontrare e abbracciare da Qualcuno che ci salva, da una parola, da una voce che risponde al nostro grido di aiuto, e allora, soltanto allora, nell’evidenza di quell’incontro, possiamo esultare anche noi: Sì, è vero! non siamo soli in questo mondo, in nome di Dio! C’è Qualcuno in fondo alla mia disperazione! E mi risponde!
Beati perciò non sono i beoti, gli allegrotti, gli ottimisti, i benpensanti, o i buontemponi, sempre (ipocrita-mente) “felici”, e sordi al grido delle vittime, ma proprio gli afflitti, ma non in quanto sono eternamente infelici, bensì perché saranno consolati, liberati dalla loro terribile e giustificatissima afflizione, toccati da Qualcuno che può per davvero rovesciare la loro condizione avversa!
Siamo cioè beati proprio noi, quando viviamo la nostra afflizione senza perdere la speranza della consolazione, e così possiamo riconoscere “in mezzo al nostro mondo di morte il volto dell’amore eterno che vince la morte, e in esso il mondo nuovo, diverso: il mondo di Colui che viene” (J. Ratzinger).
Cristo discese agli inferi, affinché potessimo trovarlo anche lì, pronto a tirarci su, a ridarci la vita. Solo se in quel buco di annientamento, che ci portiamo tutti dentro, troviamo Qualcuno che ci vuole bene e che ci accoglie, la nostra vita può realmente ricominciare in altro modo, e questo mondo di menzogne e di ciarlatani può essere vinto senza compromessi o ripensamenti.
“La nostra tristezza infinita si cura soltanto con un infinito amore”, dice ancora Papa Francesco nell’Esortazione Evangelii gaudium (n. 265).
La lotta è senza quartieri, però, giorno e notte, tra la nostra tristezza abissale e il nostro bisogno straziante di amore, tra il non senso glaciale e paralizzante e il calore del significato, tra la mascherata di questo mondo e il germoglio della vita nuova, tra i miasmi della fine e il profumo d’arance dell’Avvento, di Colui che viene a salvarci: Buon Natale, perciò, fratelli! Consacriamo le nostre vite a questa Nascita! Meglio la follia di Dio che la furbizia dei tanti stoltissimi e ciechi Masters of the universe, condannati all’annientamento da san Paolo fino a Krugman…
Dobbiamo attrezzarci molto meglio però per questa battaglia finale, dobbiamo perfezionare i nostri strumenti di lavoro interiore e di lotta culturale e politica, in quanto, come dice ancora Papa Francesco: “Una individuazione dei fini senza un’adeguata ricerca comunitaria dei mezzi per raggiungerli è condannata a tradursi in mera fantasia” (n. 33). E di discorsi retorici e fantasiosi, di tanti bei progetti privi di metodi efficaci per realizzarli, siamo per davvero stanchi, e non solo in ambito politico, ma anche in ambito ecclesiale.
Desidero perciò in questa chiave di ricerca di metodi concreti di liberazione interiore, chiave che d’altronde ispira tutto il lavoro dei Gruppi “Darsi pace” (www.darsipace.it), proporvi comeNuova Visione nel mio sito www.marcoguzzi.it il testo, pubblicato di recente nella Rivista della Conferenza Italiana dei Superiori Maggiori “Religiosi in Italia”:
Alla ricerca del continente della gioia
Passi, passaggi, pratiche, e grazie
Vi segnalo inoltre che potete ascoltare il mio intervento del 28 dicembre alla puntata di “Uomini e profeti”, condotta da Irene Santori su Radio Tre, sul tema:
Guarigioni
Grazie, carissimi, della vostra costante e fraterna vicinanza spirituale, e tanti affettuosi auguri di vivere un Natale felice, ma forse anche un po’ triste. Vi auguro e mi auguro di vivere un Natale pregno della soavità e a volte dell’amarezza dei nostri giorni terreni, un Natale reale cioè, umano e divino, come quello vero, quello di Cristo, che visse la sua nascita nella fuga e nella persecuzione, nel pericolo e nel più totale misconoscimento, tutto illuminato però dalla Gloria di Dio.
Vi auguro un Natale di sentimenti forti e veri, fratelli, perché è solo un cuore afflitto e appassionato quello che piangendo e implorando, gridando e lodando, può imparare ad amare sul serio, a gioire sul serio, e a sperare sul serio la cosa più inaudita, che cioè Dio stesso ci stia salvando ADESSO, proprio ADESSO da questa morte che tutto annienta.
Lasciamo il resto, carissimi, lasciamo il chiasso festoso dei centri commerciali, l’allegria di plastica dei panettoni, delle babbe(e)natale, dei babb(e)inatale, e degli slogans tipo “a natale si può”, “buono, buono”, “fate i buoni” e via così nauseando, lasciamo l’offesa acustica e visiva di questi giorni ingloriosi, la gioia tutta cosmetica degli ipocriti, la retorica sdolcinata dei talk shows e dei TG e di troppi discorsi “pii”, “devoti” e “religiosi”, agli adepti del natale della Bestia, celebrato al meglio nello spot pubblicitario di Vodafone e in miriadi di altri riti più o meno blasfemi.
Noi restiamo rasoterra, in attesa e in silenzio, felicemente afflitti, diseredati e maledetti come i pastori, folli e veggenti come i Magi, pieni di vita e incantati come bambini nascenti e come madri ingravidate che cantano, che sognano e che cantano, innamorate e pazze, semplice-mente gonfie di futuro.
Marco Guzzi
“Ci troviamo infatti gettati in questo mondo con la terribile percezione di un’impotenza radicale, di una solitudine e di un abbandono irrimediabili” . Perché, mi chiedo, leggo queste parole che potrebbero sembrare tristi e cupe e provo invece un senso di straordinaria liberazione? Perché invece tutti i triti e falsi appelli al “natale buono” e alla felicità “a comando” rilanciati (soprattutto) da un sistema commerciale pervasivo e quasi omnicomprensivo, mi soffocano? Credo, perché finalmente qui trovo una corrispondenza con quanto vedo – spesso con sgomento – nella mia anima. Questo senso di solitudine e abbandono, non lo apprendo leggendo, ma lo apprendo guardando con onestà dentro di me. E il fatto che per la civiltà odierna non abbia cittadinanza, sia obliterato (tentativamente, appunto, ma traspare dai visi…) rende il mio “inferno” soltanto più cupo, lo sospinge dalla parte di una patologia personale, mentre capisco che invece ha un riscontro oggettivo e collettivo…
…così come la speranza che ci anima, che in fondo a questa drammatica e cupa profondità vi sia Chi ci salva, acquista uno spessore più bello, proprio perché finalmente non si censura la drammaticità del momento… e non siamo appena e fintamente “felici”, ma “felicemente afflitti”… finalmente una parola di verità. Grazie Marco, grazie di cuore.
Marco
Caro Marco, grazie a te, perché hai colto proprio nel segno: ciò che ci soffoca è sempre l’ipocrisia, il voler nascondere, rimuovere, censurare la nostra condizione reale, rendendola così irredimibile, in quanto mai presa veramente in cura.
La diagnosi oculata, invece, pur dolorosa a volte, ci dà la sensazione che possiamo intervenire, che sussista un itinerario di cura, che non tutto è perduto. E questa è la prima vera sensazione della guarigione, della liberazione: è liberante già osservare senza finzioni la situazione così com’è, sopportandone il peso, anzi portandolo insieme.
Il resto, questa felicità forzosa e rumorosa, non è che un’espressione dell’angoscia, e non fa che incrementarla.
Un abbraccio. Marco
Fratelli,
“La nascita di Dio al fondo della notte”: la Luce nel buio del cosmo, la Luce nel buio del mio cuore.
Ho letto e riletto più volte lo scritto di Marco, e sempre ne ho ricevuto dolore e gioia.
Come nella mia esperienza esistenziale in cui ha sempre prevalso la gioia della certezza di Lui, nell’affidamento a Lui: anche se le vicende della vita prima e “Darsi pace” dopo, mi hanno insegnato il dolore e il confronto con la disperazione.
Lentamente mi sono reso conto che Marco non si rivolge a noi chiamandoci, come tante volte, amici, e neppure praticanti, ma “fratelli”, e non è un sinonimo o un caso.
Fratelli,
Gettati nel buio della solitudine e dell’angoscia, nel nostro cammino di ricerca e in stato di consapevolezza, possiamo sentirci affratellati e assorellati nella comune condizione di vita drammatica dove “mors et vita duello conflixere mirando”, cioè la morte e le vita hanno guerreggiato in un duello incredibile, in uno scontro titanico: o morte o vita.
Possiamo provare a scendere giù nell’abisso, indifesi, ma non siamo soli perchè siamo con Cristo e con i fratelli in com-pagnia, in com-unione, fidandoci e affidandoci, perchè sappiamo che il nostro svuotarci e morire è solo il morire dell’io egoico e non del nostro vero essere Umano/Divino.
Fratelli,
perchè nella nostra fede comune, che è la nostra Salvezza, diciamo “Padre nostro”.
Anche se fosse una follia, ma non è infinitamente più credibile quella follia piuttosto che la evidente menzogna autoconsolatoria e mortifera e stomachevole dei tromboni stolti e ciechi del “mondo”?
E in ogni caso quand’anche fossimo una compagnia di folli, viviamo e sperimentiamo speranza anzichè disperazione, benevolenza anzichè inimicizia, calore anzichè freddo, conforto anzichè invidia, e il centuplo già su questa terra.
E se siamo salvati dalla morte adesso, possiamo iniziare quella ricerca spirituale che può cambiare, oltre che noi, anche la cultura evanescente del “politicamente corretto” e le strutture economiche che non devono essere asservite alla multinazionali finanziarie ma devono essere per l’uomo e per tutto il Creato.
Abbraccio tutti coloro che “sentono” fraternamente, e anche gli altri.
GianCarlo
Grazie, carissimo GianCarlo, ho sempre pensato che la condizione umana possa essere considerata o assurda o folle.
Ciò che ci dice la ragione materialistica descrive infatti un quadro cosmico e umano assurdo, pazzesco, e desolante.
La visione spirituale ci descrive a sua volta un quadro folle, pazzesco, e consolante.
L’alternativa cioè non è tra ragionevolezza e follia, ma tra due visioni comunque folli, una però desolante e l’altra consolante, e aperta ad infinite trasformazioni e dilatazioni conoscitive.
Pascalianamente ognuno può scegliere come vuole…
Un abbraccio. Marco
In questo post parli dell’angoscia e della solitudine che gli esseri umani sperimentano, mi è capitato di pensare “ si muore da soli”, per quanto i più fortunati possano essere circondati dall’ amore dei propri cari, “l’esperienza” rimane individuale, come non condivisi e, a me pare, non condivisibili rimangono molti momenti della nostra vita, soprattutto interiore. Questo essere individui ci rende “affamati” di comunione.
Ho seguito il discorso alla radio in “Uomini e profeti”, come sempre molti passaggi hanno grande risonanza in me, in particolare il punto in cui dici “ciò che si fa in realtà è un misto fra la nostra opera e un’azione che ci supera e ci dà la grazia (spero di aver riportato le parole abbastanza fedelmente), ogni tecnica spirituale deve portarci all’ abbandono, l’ispirazione, la grazia ci vengono nel nostro impegno e nella macerazione”. Credo che anche la vita ordinaria, quotidiana se posta in questa prospettiva di impegno e affidamento (impegno affidato) acquisti un’altra luce. Questo sentire la presenza di qualcosa dentro di noi che è altro da sé, ci dà gioia, ci libera dall’ angoscia dal percepirci individui separati e soli, non toglie la necessità dell’impegno né la consapevolezza dei drammatici problemi, non elimina neanche la paura del dolore né della morte, li rende però più accettabili nella speranza di un senso futuro, rende più capaci di apprezzare e essere grati.
Perché una persona che porta in sé la convinzione di questa presenza senta il bisogno di intraprendere un percorso come quello di Dp? Non dovrebbe già sentirsi paga? Personalmente cerco di discernere, sanare e liberare sempre più il mio vero volto, per comprendere meglio questo dono, e non trovavo attorno a me chi fosse interessato a condividere e approfondire questi aspetti, perché come drammaticamente dici nell’ intervista “ non vorrei morire senza essere nato” nella convinzione che questo sia bene per me e per chi mi sta vicino. Avevo bisogno di dirlo con parole mie seppur banali, spero che queste siano premesse corrette e di riuscire a sostenere l’impegno. Grazie per qualunque riflessione possiate donarmi, mi scuso per essermi dilungata, un saluto permettetemi di dire fraterno. Stefania
Cara Stefania, grazie delle tue profonde e belle considerazioni.
Posso solo aggiungere due piccole cose.
DP nasce per aiutare le persone a liberarsi dalle proprie tenebre/illusioni/alienazioni interiori, e quindi per prendere contatto col grande mistero vivente che ci abita. Ma, allorché iniziamo a contattare questo mistero, questo Spirito che è in noi, potremmo dire che inizi il vero lavoro, che va anch’esso aiutato, e condiviso. Per cui i Gruppi DP servono anche a consolidare questo contatto e a condividerne le esperienze trasformative. In tal senso si può intendere la stessa vita ecclesiale (di cui in fondo DP è solo una piccola espressione): la Chiesa serve sia ad aiutare le persone ad entrare nel mistero della salvezza, sia a permanervi, crescendovi dentro.
Un grande augurio! Marco Guzzi
Grazie di cuore dell’augurio che contraccambio e della gentile risposta che rimette tutto in prospettiva,
anch’io frequento regolarmente la Chiesa. Un saluto Stefania
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Non sono iscritto al gruppo, ma vorrei lasciare ugualmente un mio commento, in un momento molto importante della mia vita.
Ho scoperto Dio.
Sì, ho scoperto Dio e l’assurdità dell’ateismo.
E ve lo dice uno che si è professato da sempre ateo, fanatico di Nietzsche fino al midollo.
Ho provato il dramma dell’esistenza.
Mi sentivo totalmente perso, senza punti di riferimento, come una palla in un flipper infernale.
Giunto al fondo di me stesso, però, ho scorto una luce.
La luce della speranza.
Non è una frase buttata lì.
Sono rinato sperando.
Ma non sperando in qualcosa di particolare.
Sperando e basta.
Credevo.
Ma non in qualcuno.
Credevo e basta.
E ho capito che senza speranza la vita non ha senso.
Non può essere vissuta.
Quando mi sento male mi rifugio in questa speranza, mi rivolgo verso questa speranza, che si fa giorno per giorno sempre più salda.
Questo per me è Dio.
E’ affidarsi ad una speranza, e crederci fino i fondo, nonostante tutti e tutto.
E’ difficile da spiegare, ma ormai vivo affidandomi saldamente a qualcosa, guardando ogni giorno dentro di me verso un luogo pieno di luce, pace, sicurezza.
L’altro giorno sono andato a messa, dopo anni e anni. Da solo.
E mi sono commosso a questa frase “Liberaci o signore da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza.”.
Mi affido a lui, senza dirmi nulla, senza sentirmi obbligato a fare nulla.
Non sono tanto bravo a spiegarmi, ma spero di esserci riuscito.
Volevo condividere ciò con voi.
Ho grande ammirazione per Marco e per quello che fate.
Buona vita a tutti.
Caro Maurizio,
ti sei spiegato benissimo.
Grazie per dirti nella trasformazione.
L’apertura alla speranza è per me la visione a 360° che la montagna mi ha regalato e che in Darsi Pace si è definita come conoscenza iniziatica, è credere nonostante tutti e tutto, come dici tu.
Abbiamo bisogno di tornare a credere, di scoprire che la fiducia- fede è connaturata all’uomo come il linguaggio e la ragione e di sperimentare la Speranza che ci ri-genera, l’Uomo Nuovo che pulsa dentro ognuno di noi per venire al mondo, per sanarlo e rinnovarlo.
Un caro saluto.
Giuliana
Caro Maurizio,
Giuliana ha commentato molto bene il tuo post.
Io commossa ti dico solo: Alleluia.
Un grande saluto. Stefania
Caro Maurizio,
ti sono anch’io vicino perché Marco, nella mia tribolata esistenza, continua ad essere un punto di riferimento e di continuo sostegno. Ascoltarlo , scambiare anche poche parole con lui mi lasciano una grande forza interiore e mi rasserenano e mi stimolano a continuare ad accettare e a Sperare nonostante tutto.
A questo proposito mi fa piacere condividere con te le parole del grande teologo e matematico russo Florenskij che in un intensivo di Santa Marinella, Marco ci ha fatto conoscere: alcuni giorni fa ho riascoltato la registrazione e ho trascritto il breve testo tratto da : “La colonna e il fondamento della verità”
“L’uomo che pensa ha già capito che non possiede nulla su questa sponda.
Ma per imboccare il ponte che porta al di là ci vuole sforzo ed energia. E se questo dispendio fosse vano? Non è forse meglio pur torcendosi per i dolori dell’agonia restare al di qua del ponte? E se lo si imbocca, vi si dovrà forse camminare tutta la vita? Aspettando eternamente di raggiungere l’altra riva? Ma che cosa è meglio, morire perennemente e forse in vista della terra promessa gelare nel freddo del nulla assoluto oppure spendere le ultime energie forse per una chimera, un miraggio che si allontanerà man mano che si tenta di raggiungerlo? Questo è il dilemma. Io rimango qui! Eppure una tormentosa brama ed una improvvisa speranza non mi danno pace.
Allora balzo in piedi e mi metto a correre, ma il freddo di una disperazione altrettanto improvvisa mi taglia le gambe, una paura senza confini si impossessa dell’anima e allora corro indietro; andare o non andare ? cercare o non cercare? Sperare o disperare? Temere di spendere le ultime energie e perciò spenderne dieci volte di più correndo avanti e indietro, dov’è una via di uscita? Dov’è uno scampo? A chi ricorrere per un’aiuto? Signore, se esisti aiuta la mia anima folle, vieni Tu stesso, Tu stesso conducimi a te, Salvami! Che io lo voglia o non lo voglia, concedimi di vederti come tu puoi e sai, Attirami a te, con la forza e con il dolore in questo grido di suprema disperazione è il principio di uno stadio nuovo del filosofare, il principio della fede viva. Io non so se la verità esista o meno ma con tutto il mio essere sento che non posso farne a meno, so che se esiste per me è tutto, ragione, bene, forza, vita, felicità. Forse non esiste ma io l’amo più di tutto ciò che esiste. Mi unisco a lei come a tutto ciò che già esiste e anche se non esistesse l’amo con tutta l’anima e con tutta la mente, per lei rinuncio a tutto perfino a miei quesiti e ai miei dubbi.”
Spero che anche queste parole ti possano dare una mano, ti saluto con affetto.
Carissimo Fabio,
grazie di questa testimonianza.
E’ solo al limite di tutte le forze e le facoltà umane, è partendo da questo abisso personale, da questa radicalità e nudità esistenziale che riesco a vivere in modo nuovo anche i sacramenti e la vita ecclesiale.
Oggi nella nostra parrocchia, il battesimo di tre bambini mi porta a rinnovare il mio battesimo: rinuncio al male e alle sue seduzioni e credo nella vita che, in Gesù, Dio Padre ci ha donato. Il suo Spirito ci riunisce oltre ogni separazione, oltre ogni morte. E ci dà il coraggio e l’energia per attraversare il ponte!
Un abbraccio. Paola
Grazie a tutti per le bellissime risposte.
Mi sento ancora all’inizio del percorso che, però, sono sicuro sarà profondo ed entusiasmante.
Grazie ancora.
Maurizio
“Liberaci o signore da tutti i mali, concedi la pace ai nostri giorni, e con l’aiuto della tua misericordia vivremo sempre liberi dal peccato e sicuri da ogni turbamento, nell’attesa che si compia la beata speranza.”
Sai quante volte ho ascoltato questa invocazione nella Messa , senza particolare emozione ? ! Di solito queste parole passano sopra di me insieme alla voce del celebrante …stavolta invece, tu me le hai fissate nel cuore e mi rendo conto della loro straordinaria forza , stabilitò e bellezza. Grazie, hai rianimato anche la mia speranza …una speranza come la tua, senza nome, ma che però conosce anche il mio nome ……..e mi ha chiamato…..mi chiama ancora quando dispero di riuscire a sperare ancora ……..
Resti con noi ? Che bello !
ivano
Purtroppo in questo momento non ho la disponibilità economica per iscrivermi al gruppo.
Però, se non è un problema, sarei felicissimo di continuare a postare i miei commenti e confrontarmi con voi.
Grazie per le belle parole.
Maurizio
Caro Maurizio credo che la verità che hai compreso è che Dio si manifesta a noi proprio in molti modi soprattutto nella nostra interiorità, nella fede e nella speranza che ci salvano nel momento della disperazione. È che, spesso, la nostra continua cecità o “distrazione” (come scrive Marco) ci distolgono dallo Spirito che è in noi. Se contattiamo lo Spirito e mettiamo a fuoco la nostra mente scopriamo che nulla è perduto e che la vita può essere vissuta in pienezza!
Permettimi di consigliarti di contattare help@darsipace.it se hai difficoltà economiche non dovrebbe essere un problema ma non ti privare di questa opportunità.
Ti abbraccio e ringrazio Fabio per averci ricordato quel bellissimo testo di Florenskij. Gabriella