Caro Mio-corpo (virgola a capo).
L’inizio è convenzionale, ma già tribolato. Infatti, perché d’istinto ho scritto “caro” e non “carissimo”? Perché sento che c’è qualcosa che non va. I conti non tornano. Perché tu sei il mio corpo, ma io non sono te: uno stridore ci separa.
Mi pongo in ascolto. Parto dai piedi, risalgo alle gambe, alle braccia, al tronco fino alla testa dove percepisco di essere. È come se abitassi nei pochi centimetri cubi della mia testa: occhi, orecchie, bocca, guardo, ascolto, parlo cioè scopro il mondo e mi relaziono tutto a partire da lì. E tutto il resto? Pare un surplus.
Ma dove sono realmente? Rannicchiata nella scatola cranica, non so esattamente chi sono, né dove sono.
Tradizioni millenarie mi hanno insegnato a separare accuratamente l’anima dal corpo. Così, da brava alunna che ha fatto per bene i suoi compiti, ho trovato un angolino discreto e confortevole, almeno così credevo fosse, in cima alla costruzione.
Mi sono esercitata a ritrarmi, riservandomi il minimo spazio possibile, osservando la realtà che mi circonda “dalle sopracciglia in su” per usare una bella espressione della teologa Stella Morra.
Intanto tu, caro Mio-corpo, ti contraevi sempre di più, abbandonato a te stesso. E così modellavo la tua ferita.
Ben presto poi la malattia si è presentata alla porta, come interferenza potente che mi ha portata via, sempre più rintanata in un cantuccio. E tu ti contraevi ancora, ma io non capivo il tuo linguaggio.
Perché ti ammali e non obbedisci ai mio desiderio di guarigione?
Perché vai alla deriva e fai ciò che vuoi?
Negli anni hai assaggiato le maniere forti dei farmaci e dei bisturi, ma non sembra che ti abbiamo piegato alla mia volontà. Sei diventato un nemico da abbattere: tanto l’anima è separata dal corpo…
Adesso è tempo di riprendere i contatti. Adesso sento le contrazioni che ti legano e provo a respirare. Respiro e mi distendo un po’: dalla testa alle braccia, al tronco, alle gambe, ai piedi. Posso allungarmi un po’, occupare più spazio, sentirti un po’ più mio.
Continuo a non avere le idee chiare, faccio confusione, pare che qui non sia dato dividere, bensì soltanto accogliere l’amalgama di me con te e la nostra immagine biologica.
Ho un corpo o sono il mio corpo? Forse tutte e due le cose. Non posso che oscillare nell’ambiguo che sperimento, aperta nell’attesa della comprensione del (mio) mistero che mi sarà svelato quando la verità di me prenderà la giusta forma.
Pensavo di aver fatto bene i compiti, invece da analfabeta devo ricominciare tutto da capo. Devo imparare un’unità, perché non siamo separati, noi siamo una cosa sola, sei una parte di me, sei me, noi siamo uno, carissimo Mio-corpo, carissima Iside.
Carissima Iside, carissimo Tuo corpo,
grazie di questa condivisione convincente e vibrante di te
mi colpisce particolarmente perché proprio ora ho terminato la mia pratica meditativa, oggi ho potuto dedicarle un tempo più consono ed ampio perché è il mio giorno libero. E le mie parole nella prima parte della pratica sono state uguali a quelle che tu hai usato qui : sono partita dai piedi per risalire ai polpacci, alle ginocchia, alle cosce, al bacino da cui si sviluppa la verticalità della colonna vertebrale, fino alla testa
e, riguardo all’essere tutta dentro la testa, l’ho sperimentato sabato pomeriggio, durante l’incontro dei formatori … ho capito che io non ero là, il mio cuore non era là presente, non saprei dire dove si trovasse, forse, come ci diceva Marco, era ben confezionato dentro il suo sacchetto di cellophane
quanta strada ancora da percorrere verso l’integrità …
ciao carissima amica, ti abbraccio
Filomena
“Il corpo umano è un campo di battaglia dove sarebbe bene che noi ritornassimo. / C’è ora il nulla, ora la morte, ora la putrefazione, ora la resurrezione” (Antonin Artaud, Oeuvres, pp. 1181-82)
cara Iside,
nonostante la cultura nella quale siamo cresciute entrambe, in me la consapevolezza di essere un corpo ha sempre prevalso sulla disincarnazione e questo “caro mio corpo” lo concepisco come “l’emozione che si fa parola”.
L’emozione mi ri-vela la parola dello spirito da cui procede.
Anch’io posso dirmi: “caro mio corpo” sì “molto caro”.
E’ caro il prezzo che tramite te pago al concetto di giustizia visto che nasco per morire, nulla che non contempli la tua (mia nostra), resurrezione può placare la mia sete di giustizia.
Anch’io ho appena terminato un esercizio a nove punti, all’interno del quale il mio punto di scissione agiva un desiderio così rabbiosamente autodistruttivo, da lasciare andare persino la mano di Dio, la mia poca fede nella salvezza.
Ho lasciato Dio a sè stesso e alla sua giustizia.
E ne sono riemersa pacificata.
Ciao.
Abbraccio il tuo esile corpo con affetto.
Rosella
Ieri, il sacerdote ha iniziato l’omelia raccontando una storiella, la condivido perchè ha molto a che vedere con quel che io vivo in questo momento (Iside mi scuserà) e spero di farvi sorridere
“Un alpinista fa un’ascensione in solitaria e a un certo punto precipita.
Aggrappandosi ad una roccia, ansimante invoca l’aiuto di Dio:
Dio mio, Dio mio, non mi abbandonare.
e Dio, che sempre risponde, gli fa udire la sua voce: sono qua, sono proprio qua accanto a te.
Allora lo sventurato, con una punta d’impazienza, anelante implora: ma allora salvami.
Certo, risponde Dio, lascia l’appiglio a cui ti aggrappi convulsamente e cadi tra le mie braccia.
L’alpinista un po’ interdetto, fa risuonare nell’etere, un’altra domanda:
c’è nessun altro nei dintorni?”
Direi che io sto al punto in cui, consapevole che non ci sia nessun altro nei dintorni lascio l’appiglio per farla finita; non credo e non spero di cadere tra le braccia di Dio, eppure vengo salvata.
Non mi capacito, ma: va molto bene così.
Ciao
Rosella
Carissima Iside, spiritosa e molto profonda la tua lettera. Mi offre l’occasione di accorgermi che talvolta io non mi sento nè il mio corpo, nè la mia testa , né il mio spirito, ma solo un’accozzaglia di preoccupazioni, paure, tensioni e doloretti. Allora mi è necessario fermarmi, rilassarmi, concentrarmi, pregare. E , quando riesco a fare tutto questo, va meglio per me e per il mio corpo. Ma non siamo una cosa sola? Mariapia
“Posso allungarmi un po’, occupare più spazio”:credo che si possa partire da qui.
Grazie per questo sguardo sulla nostra unità e grazie per aver condiviso questa”chiave”di apertura..
Ascoltare il nostro corpo, ascoltarsi..
Grazie a tutte e due Iside e Rossella. Grazie per la provocazione di Iside e per le parole sulla resurrezione di Rossella che condivido (fin nelle sfumature). Se vi piace Sergio Quinzio a pag. 27 del libro Mysterium iniquitatis scrive: “…nell’orizzonte Ebraico dell’antropologia Paolina,… distingue l’uomo non in due parti -corpo e anima-, ma in tre: corpo, anima o psiche e spirito, infuso direttamente da Dio. (Gn 2,7 ; Gv 20,22). Un abbraccio Massimo.
Davvero un bel testo, grazie Iside, e imploriamo che lo Spirito, che ci dà la vita, possa scendere ogni giorno un po’ più nel profondo del nostro corpo mortale e sofferente, per consolarci, guarirci, perdonarci, e darci sollievo. Un abbraccio. Marco
“…ricominciare tutto da capo”: sento straordinariamente vere, cara Iside, queste tue parole che mi toccano personalmente sia come donna che come madre! Ho infatti iniziato da alcuni anni un lavoro ‘a ritroso’ (una conversione, per stare nel linguaggio di DP) per riconnettermi con la totalità del mio corpo, un lavoro di vera e propria ri-educazione neuro-motoria attraverso il metodo Feldenkrais che io pratico in gruppo, mentre mia figlia (che ha una disabilità motoria) lo sperimenta individualmente.
Lo trovo uno strumento davvero straordinario di ‘riconnessione’ mente/corpo verso quell’integrità alla quale ognuno di noi aspira…se vuoi possiamo riparlarne, ciao a tutti, mcarla
Cara Iside, ho letto questo post con grande coinvolgimento e mi ritrovo sia nella lenta riconquista di un rapporto più consapevole con il corpo, sia nell’inquietudine della malattia.
Anche per me quello fisico è un pezzo del mio percorso di conversione, un po’ come scrive Maria Carla: è un viaggio di ritorno in cui molte cose devono essere re-imparate e riconnesse in modo nuovo.
A me piace pensare al “corpo” come al quarto livello di Darsi Pace, dopo quello spirituale, psichico e culturale. Un livello che il mio ego vorrebbe bypassare verso chissà quali vette, mentre Dio ha scelto proprio di incarnarsi, di vivere come noi la gioia e la fatica della fisicità.
Mi piace molto la tua lettera: le domande semplici, la curiosità di sentirsi, di riscoprirsi, la creatività di non vedersi come una cosa scontata.
Auguro a te, a me e a tutti che questo sia l’inizio di un bellissimo viaggio.
Ciao
Antonietta
Carissima Iside
non so se c’eri anche tu agli ultimi due incontri di S.Marinella, so per certo che la tua lettera mi corrisponde perfettamente, mi è arrivata toccando le radici del mio essere donna, del nostro essere tutti nati da ventre di donna.
Da tempo i tuoi interventi (anche se non solo i tuoi) sul blog mi giungono carichi di risonanze, particolarmente vibranti in questo post e nella relativa immagine.
Anche il tuo nome e cognome mi parlano: ti sono davvero appropriati. Confermano quanto Ebrei e Romani credevano: in……………………………..O
NOMEN OMEN…NOMEN …che il nome contenesse il destino e che comunque contribuisse a rivelare il reale senso della
…………………………………E…..vita della persona che portava quel nome.
………………………………….N….Certamente, conoscerai bene attributi e simboli che la mitologia egizia riferiva alla Dea Iside, la dea delle dee, spesso rappresentata come vergine e madre col figlio in braccio e che di lei dicevano:”dove tu guardi pietosa, l’uomo morto ritorna in vita, il malato è guarito”. Uno dei suoi simboli “il nodo isiaco” o chiave della vita era interpretato anche come simbolo di resurrezione e vita eterna..
Ho riletto piu’ volte la tua lettera, ogni volta il mio corpo e anche la mia mente hanno gioito… cosi’, forse collegati al tuo nome e cognome, sono riemersi i versi che Dante mette in bocca nel 33° canto del Paradiso a S. Bernardo chequando rivolgendosi a MARIA dice
“Nel ventre tuo si raccese l’amore….
qui se’ a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra mortali/sè di speranza FONTANA vivace.
Che dire carissima Iside Fontana? che possiamo dire della gioia che viene dalla corrispondenza d’amorosi sensi?
Certamente il respiro, lo sguardo del dialogo interiore col tuo corpo mi- ci è giunto, ci ha guidato verso il senso vero, fontale della nostra vita.
Possa la tua lettera circolare su ali di Grazia per rinnovarti/ci da dentro facendo sgorgare come una Fontana un canto di gioia.
Grazie, carissima Iside.
Con te, con Marco con tutti i compagni di viaggio di D.P, con S. Bernardo mi unisco all’implorazione a MARIA che conservi sano il tuo -nostro affetto per il corpo…
“Ancor ti priego, regina, che puoi/ciò che tu vuoi,che conservi sani,/ dopo tanto veder, li affetti suoi. ”
Un abbraccio Giuseppina Francesca
Grazie a tutti per i vostri pensieri e le vostre riflessioni, i commenti, i suggerimenti, le integrazioni, i consigli, le suggestioni e gli apprezzamenti. Ci riconosciamo dentro uno stesso percorso, faticoso, altalenante, pieno di mistero e di fascino, ma proprio perché condiviso anche sostenibile e realizzabile.
Un abbraccio
iside