Il crollo del muro di Berlino e la caduta delle ideologie del XX secolo hanno spazzato via i partiti della prima repubblica che chiedevano il consenso in nome del bene comune, mettendosi in un’ottica comunitaria e preoccupandosi delle generazioni future.
Se ieri il bene comune era il pane, oggi che abbiamo anche il companatico il bene comune si chiama speranza nella verità, e manca sia ai ricchi che ai poveri.
I nuovi partiti non hanno la forza della partecipazione popolare, sono sfasciati e faticano persino a prendere il consenso, che è diventato il loro obiettivo prioritario. Nei decenni scorsi i diversi partiti hanno garantito ciascuno le proprie aree di riferimento, e questo è normale, ma ad un certo punto i gruppi di pressione, le lobbies e le corporazioni hanno dato luogo ad un sistema rigido al quale i partiti non hanno saputo sottrarsi, temendo le scelte impopolari.
Si è stabilita una sorta di voto di scambio che ha retto finché c’erano sviluppo e risorse per i governi, che da un certo punto in poi hanno cominciato ad erodere il patrimonio delle generazioni future. Poi la crisi finanziaria ed economica, l’irrompere della globalizzazione, i vincoli europei, tasse e burocrazia, hanno devastato i settori produttivi italiani ed il meccanismo si è inceppato, al punto che ora è difficile individuare tanto le vie per il bene comune quanto quelle per il consenso.
Molti uomini politici si sono mostrati non all’altezza della situazione o addirittura corrotti, e la politica suscita più rifiuto che passioni.
Sembra tutto impigliato in una rete inestricabile, eppure non si può partire altro che dalla riconquista della credibilità e dal consenso, che però chiedono di avere alla base la verità e la proposta di prospettive. Tali prospettive non possono essere limitate ad uno sviluppo economico, che peraltro presenta una sostenibilità difficile, ma devono essere di un cambiamento radicale, che riguarda il nuovo profilo antropologico che occorre delineare.
E’ la speranza il terreno su cui la politica deve osare porsi per essere costruttiva, e su questo può chiedere il consenso, che però è solo il mezzo, e non il fine.
I partiti devono rifondarsi, devono cioè rifondare la cultura politica sulla base di un’etica condivisa, della partecipazione gratuita, del senso civico, dell’assunzione di responsabilità, del superamento dell’emergenza educativa, della consapevolezza che la repubblica è fondata sul lavoro, del merito al posto della raccomandazione, della fine dei privilegi dei politici, dei boiardi di Stato e regionali, dei magistrati, dei giornalisti miliardari.
Ma fino al dicembre scorso i dibattiti politici televisivi trasudavano un’aggressività insopportabile, a volte sotto forma di finta comicità, che ha invelenito molti, pervaso le relazioni interpersonali e guastato i rapporti sociali: i fanatici del berlusconismo e quelli dell’antiberlusconismo si sono divertiti, ma a spese del Paese.
L’atteggiamento bellico, e quindi antidemocratico, è la tara che corrode la cultura politica da Machiavelli a Robespierre, da Hitler e Mussolini a Stalin.
Il nazi-fascismo ha fatto strage prima di libertà, di verità e di speranza, e dopo ha fatto strage di ebrei, di disabili e di partigiani.
Ma la cultura politica italiana, bellica e faziosa in gran parte delle sue componenti, non ha ancora risolto i nodi del Risorgimento , come il rapporto tra Stato e Chiesa, i nodi della Resistenza, come le Foibe e la strage del Porzùs (dove i partigiani della formazione comunista hanno giustiziato con un colpo alla nuca il fratello di Pier Paolo Pasolini, un partigiano di soli venti anni, colpevole di appartenere ad altra formazione), non ha risolto nemmeno i nodi degli “anni di piombo”.
I partiti politici italiani sono tanto supponenti quanto impotenti: sciorinano grandi principi con argomentazioni sottili, ma lasciano marcire le riforme nella palude.
Ci sarà un perchè se: Forza Italia perde sei milioni di voti; la Lega si dimezza; Idv scompare sotto gli scandali che un tempo denunciava; i Verdi sono evaporati insieme alle loro bugie terroristiche sui “cambiamenti climatici causati solo dall’uomo”; i Radicali pagano l’ideologia del libertinismo; Scelta civica si divide; Sel è al lumicino; le primarie hanno evidenziato un Pd con una dirigenza burocratica scollata dal suo stesso elettorato; il Movimento 5 stelle ha un livello di scontro tanto violento che ha dovuto rinunciare a presentarsi alle prossime elezioni in Sardegna.
La risposta è che la verità è il grande assente dalla scena politica, perchè si è posto al di sopra di tutto l’interesse politico, con le conseguenze che si vedono: gli stessi giornalisti se non stanno rigorosamente nel solco del “politicamente corretto”, che ha soppiantato la verità, perdono di fatto il lavoro.
Caliamoci nella realtà del tempo presente, nel tema della riforma elettorale: tutti i partiti hanno detto ogni male del “porcellum”, ma tutti se lo sono tenuto stretto, perchè nei fatti ne hanno avuto in regalo, sia gli uni che gli altri, cento deputati alla Camera.
O ancora sul tema della preferenza (dove il mio lavoro in Parlamento è stato determinante per passare da quattro preferenze ad una sola), l’elettorato è messo in confusione perchè è difficile capire le posizioni diverse dei diversi partiti che non presentano con oggettività le varie opzioni.
Poi accade perfino che lo stesso partito, per mutate convenienze politiche, prima dice che occorre la preferenza in quanto squisitamente democratica, poi la rifiuta perchè le mafie ne fanno strame
(è una verità che ho dimostrato alla Camera nella relazione che mi è costata il rischio della vita in Campania), e poi la recupera di nuovo per non avere un Parlamento di nominati: sarebbe meglio dire tutti i pro e i contro e spiegare i limiti inevitabili, senza usare ogni argomento come clava contro il “nemico”.
Mentre la parabola di Berlusconi sta concludendosi, è arrivato Matteo Renzi che, anche per la sua fede, prova a dare all’Italia un po’ di speranza, come dimostra il fatto che è stato votato in massa proprio dal cuore delle regioni tradizionalmente rosse, che si sono decise a voltare pagina.
Con questo voglio dire che la politica ha bisogno di imparare a dire la verità e imparare a “darsi pace” se vuole riuscire ad essere costruttiva.
Io, che sono sempre stato convinto che impegno personale e impegno politico siano indisgiungibili, osservo che nel mondo attuale milioni di persone hanno fatto una scelta simile a quella di Darsi Pace e hanno cominciato a fare politica in modo nuovo, attraverso comportamenti personali nuovi, stili di vita nuovi, aggregazioni su temi limitati ma ben mirati e con contenuti di forte cambiamento.
E’ evidente che le nuove generazioni hanno preso atto del fallimento delle rivoluzioni novecentesche e hanno coscienza che il livello del cambiamento vero è quello che parte dalle persone e poi produce quello delle strutture: hanno scoperto il principio della metanoia e della conversione personale, e quindi sono sulla buona strada.
“Darsi pace” è realtà intrinsecamente politica perchè ha un contenuto rivoluzionario in quanto messianico, capace di produrre col cambiamento delle persone anche i necessari cambiamenti culturali, sociali e politici: chi lavora per “Darsi pace” non fa solo un lavoro personale ma fa politica, buona politica.
Caro Giancarlo, grazie per queste riflessioni, in cui si sente la passione e l’esperienza di chi si è ‘sporcato le mani’ con la politica e ne conosce bene la crisi attuale.
Grazie anche per averci ricordato che il nostro lavoro non ha nulla di intimistico, ma si inserisce in un processo di cambiamento delle coscienze che ha effetti immediati, anche se in apparenza minimi, sulla realtà circostante.
Un abbraccio. Paola
Ricche, pregnanti e appassionate le tue riflessioni Giancarlo, è sempre un piacere leggerti… ne approfitto per farti arrivare i saluti affettusi delle carmelitane di crotone… l’inverno sta per finire… mettete in cantiere i progetti per la primavera… la terra di Pitagora vi aspetta! Adele
Una lucida disamina di questo tempo schiacciato su un presente asfittico per mancanza di umanità, di valori quali l’umiltà, la rettitudine, l’amore per l’altro che coincide con la rinuncia attiva ai privilegi, col sacrificio che riempie il cuore. Mancano le passioni a vantaggio del degrado e della violenza verbale e non verbale. Lo scenario apocalittico apre praterie al cambiamento. Ma, come è stato giustamente scritto, esso passa attraverso la conversione.
Fra qualche anno, quando del nostro paese non rimarrà quasi più nulla, si studierà lo strano caso dell’Italia, che è passata in 20 anni, da una situazione di nazione ricca e leader industriale a un deserto economico e ha anche sperperato la sua risorsa più preziosa: i nostri figli, in 12 anni gli italiani all’ estero sono passati da 2 a 4 milioni, mentre qui si continua in un completo caos inconcludente.
Sono abbastanza pessimista, anche se in “Darsi Pace” ho trovato strumenti per capire il macro mondo esterno e il micro mondo interiore e ciò che li può collegare e risanare.
Speriamo
Caro Giancarlo, grazie di questa analisi precisa e allarmante.
Credo che il passaggio evolutivo che ci aspetta sia la creazione di aggregazioni culturali che sappiano introdurre queste tematiche dentro i consessi politici. C’è ancora un divario assoluto tra la consapevolezza crescente che descrivi, e il discorso pubblico della politica, tra processi interiori e pratiche partitiche. Nessun partito osa ancora inserire nei propri dibattiti elementi quali: il disagio interiore, la frammentazione mentale, la crisi dei significati, e così via. Restiamo su questioni puramente economicistiche, senza capire che la stessa crisi economica si radica su una crisi antropologico-culturale, sulla crisi di un’intera civiltà e di un’intera figurazione storica dell’uomo.
Noi in Darsi pace tentiamo di costruire le basi di questi rinnovamenti, prepariamo il terreno, sia culturale che esistenziale e spirituale, in attesa che i tempi pubblici maturino.
Un abbraccio. Marco
Sarebbe bello, a fronte degli avvenimenti a cui si assiste e delle parole che si sentono pronunciare sia nei luoghi tradizionalmente deputati alla politica sia sul web che pare essere la nuova frontiera (o deriva?) della partecipazione politica, sentire parole e proposte dettate da uno spirito nuovo. Auguriamocelo. Stefania
So che scoraggiarsi e disperarsi non è produttivo, ma una parte di me non può non farlo. Nascerà un nuova politica, nascerà un nuovo mondo. Ma quanto dovremo ancora soffrire e veder soffrire!? La situazione immediata mi sembra tragica! E’ veramente eroico continuare a sperare! Mariapia
A fronte della frustrazione che tutti noi proviamo davanti al desolante spettacolo cui siamo costretti ad assistere, credo che un percorso come quello che tentiamo in Darsi Pace sia un modo operativo di mostrare da che parte stiamo. Forse potrà sembrare poca cosa, ma almeno è una presa di posizione decisa e ferma a favore di un cambiamento radicale, a partire da sé, evitando di mascherarsi puntando il dito all’esterno, ma assumendoci la responsabilità del mondo in cui viviamo.
La speranza cristiana è scandalosa e folle e per dirla con Christian Bobin “forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana”.
iside
Caro Giancarlo,
io apprezzo molto il tuo “retto sforzo” e anche se mi è veramente difficile corrispondervi mi accingo a fare questa fatica, come fosse un grazie di cuore (in parte integro ed in parte scisso).
“uno sviluppo economico, che peraltro presenta una sostenibilità difficile”
sino a chè percorreremo la via dell’economia del consumo “usa e getta” , come fosse una guerra tra poveri, non vedo grandi prospettive se non per l’ “eco” dei rifiuti che elargiamo a destra e a manca.
“… ma devono essere di un cambiamento radicale, che riguarda il nuovo profilo antropologico che occorre delineare”.
Non so se ho compreso bene l’ultima parte, quel: “che occorre delineare”.
Non siamo noi a delineare il cambiamento antropologico, il primo passo a me pare che debba essere quello di osservarlo, se non proprio con “con gratitudine riconoscente”, almeno in modo equanime, libero da pre-giudizi, diversamente, il nuovo non lo vediamo neppure e continuamo a reprimerlo per incanalarlo forzosamente in quel che delineiamo come “la via del possibile”, sottraendoci al nuovo dell’ “impossibile”.
E’ come educare alla solidarietà o al bene comune, con un prelievo forzoso al quale venga messa la bella etichetta di “questo o quello”, ma, che di fatto, all’orecchio dell’utente/ contribuente (siamo ancora cittadini?) risuona come fosse: tu non puoi capire, la situazione è complessa, quindi subisci, paga e stai zitto.
Detto questo, sino a quando sarò fisicamente in grado di farlo, continerò a votare anche se non ho un partito di riferimento. Son piuttosto creativa al riguardo: sparpaglio il mio voto come fossi il seminatore; ho le mie linee guida, beninteso e che vado perfezionando, questo perchè desidero condividere una sorte che mi consenta di sentirmi ancora parte di questo popolo.
Assumendomi la responsabilità del gesto che compio, attraverso fino in fondo quel senso d’impotenza e d’inutilità che accomuna tutti noi poveri mortali (che decidiamo di votare o meno, questo non cambia) e lo pongo in essere proprio come fosse una supplica, una preghiera a chi “solo può “ donarci salvezza.
Ho imparato a pregare anche per coloro che ci governano, sia nello Stato che nella Chiesa, lo faccio quotidianamente e mi è di sostegno.
Facciamoci coraggio insieme.
Ti auguro buon lavoro e ti saluto: ciao.
Rosella