L’anima può ammalarsi. Lo spirito può ammalarsi. Le “cose invisibili” possono infettarsi, contrarre un morbo. Non soltanto il nostro corpo può contrarre malattie più o meno gravi ed invalidanti. La mente può imboccare il tunnel della depressione, dell’accidia, quell’atonia dell’anima ed indebolimento dello spirito che ingrigisce ed ottenebra le facoltà intellettive e volitive.
La volontà si indebolisce e l’intelletto, qualora tentasse di applicarsi tanto alle cose spirituali quanto a quelle non spirituali, è incapace di fare discernimento, cioè di discriminare fra bene e male, fra ciò che è giusto e ciò che non lo è, e che non potrà mutarsi in giustizia in forza di un ragionamento invalidato in sé dalla debolezza spirituale ed animica.
È ormai assodato che vi è un nesso inscindibile fra condizione animico/spirituale e stato di salute del corpo.
In una visione olistica ed unitaria dell’essere umano, la condizione di salute o di malattia produce effetti sulla psiche, sulla produzione mentale (pensieri ed immagini), sulle manifestazioni animico/spirituali, cioè sui modi come ci relazioniamo agli altri, essendo la relazione interpersonale l’unica modalità autenticamente umana di essere e di vivere.
L’uomo è relazione e, se il soggetto attivo della relazione dovesse essere affetto da qualche male/malattia del cuore, la relazione sarebbe veicolo di errori concettuali e spirituali che il soggetto passivo (il ricevente) potrebbe assorbire come una spugna assorbe un liquido. Ciò in quanto anche il ricevente potrebbe essere affetto da un male/malattia, da un morbo dell’anima e potrebbe non saper discernere. Il liquido può essere acqua pulita o sporca, imputridita dall’intenzione che, in un certo senso, è il retrovia del pensiero, è il luogo dove prende sostanza, si forma il pensiero sotto forma di immaginazione o di idea.
In virtù del principio di relazione, l’uomo non è un’isola, anche se dovesse vivere in un eremo o atteggiarsi a solitario, a misantropo. La relazione si compie in ogni caso. Il mondo bussa alla nostra porta e non gli si può impedire per sempre di entrare. Il bisogno relazionale è talmente forte che non gli si può resistere a lungo. Chi non lo provasse, non sarebbe un essere umano, un animale sociale né socievole, in che consiste il nocciolo duro della natura umana. Se aderiamo alla concezione dell’uomo quale spirito incarnato e relazionale, discendente dal Dio uno e trino, la perfetta simbiosi/sintesi divina d’amore, la com-unione è la nostra vera natura e, quindi, il nostro obiettivo, il nostro cammino.
È un cammino spirituale, nel senso che tutto ciò che siamo (anima, spirito, mente, corpo) tende alla com-unione, all’osmosi, alla simbiosi ed alla sintesi, mantenendo ogni parte inalterata la propria funzione nell’economia della salvezza, che è economia dell’integrità. Lo spirito muove tutto poiché ha natura dinamica. Difatti, soffia dove vuole, si muove e realizza quanto ha in animo. Così, ogni dis-unione, ogni frattura, ogni scissione che sperimentiamo è indice di una disarmonia spirituale, di un pauperismo spirituale determinato dalla rottura primigenia ed originante tra l’uomo ed il Dio uno e trino.
Rompere il rapporto con la Trinità è per l’uomo estremamente dannoso, proprio perché in esso risiede la sua identità, la sua unità, la sua armonia. Tutte le volte che pecchiamo, quindi, si interrompe quel flusso vitale/spirituale che alimenta la nostra esistenza e la rende fluida e dinamica, sciogliendo quel grumo compatto di rigidità e di negazioni dell’essenza del reale che definiscono, ad esempio, il comportamento del nevrotico.
Chi soffre di nevrosi è scisso in sé stesso a causa di una lesione della relazione fra lui ed il suo Creatore, dal quale procede la grazia, cioè quel fluido, quella potenza che armonizza, rende dinamici, dona forza, arreca pace interiore e duratura.
Questa nostra epoca è dominata dalla nevrosi esistenziale, intendendo un tipo di nevrosi che scaturisce non da un conflitto irrisolto tra desiderio e volontà, ma fra l’essere e il non essere, l’accettazione consapevole di Dio ovvero il suo rifiuto.
Molti psicologi (ricordo, ad esempio, Viktor Frankl) hanno individuato nella mancanza di uno scopo significativo la causa di molti crolli mentali, quindi vitali. Ma c’è un fine che sovrasta ogni scopo o obiettivo significativo, ed è attinente al Senso della vita, cioè se essa abbia un Senso, una proiezione oltremondana, oppure finisca qui, su questa terra.
Ammettere il divenire oltre la morte biologica equivale ad ammettere l’esistenza del divino, di un aldilà quale domus ultima dello spirito che abita il corpo mortale, soggetto al disfacimento, alla putrefazione, a mutarsi in polvere.
Se il corpo decade e “scade” secondo i tempi della natura, madre e matrigna secondo Leopardi, lo spirito, poiché dynamis, energheia, non conosce l’invecchiamento ma l’evoluzione, a condizione che sia sano, vale a dire evolutosi nello Spirito del Cristo che fa nuove tutte le cose, sia quelle visibili che quelle invisibili.
Ma lo spirito dell’uomo può conoscere la regressione e, andando a ritroso, retrocedendo impercettibilmente, la “morte seconda” cui si accenna nell’Apocalisse di Giovanni e nel Cantico delle creature di San Francesco. Non si tratta di un andare verso le origini, ma verso il nulla, il vuoto. È quasi un ritorno ad una condizione pre-divina, a quando Dio non c’era, non esisteva, non si era ancora auto-creato. Ipotesi suggestiva e poco ortodossa perché Dio è da sempre, ma che postulo per rendere l’idea di un fallimento totale ed oscuro, precedente finanche all’avvento della Luce. Prima di essa vi erano le tenebre, ed in esse verrà risucchiato chi non si è evoluto spiritualmente con l’adesione di tutto sé stesso alla persona del Cristo, chi non ha voluto conformarsi al suo messaggio d’amore universale che vorrebbe abbracciarci, coinvolgerci e vivificarci.
Tuttavia, con molta cautela e circospezione, e nella consapevolezza di non appartenere alla schiera dei teologi o dei pensatori di professione, mi avventurerei, secondo esperienza, in una tripartizione dell’evento “morte”, non per accantonare la tradizionale bipartizione, ma per precisarne meglio i termini.
Non parlerei unicamente di “morte prima” e di “morte seconda”, cioè biologica e spirituale, ma, nell’ambito della vita così come la concepiamo, introdurrei il concetto di morte inter-biologica, cioè di quelle morti che si verificano mentre siamo ancora in vita, cioè mentre respiriamo, lavoriamo, ci occupiamo di casa, famiglia, studio, hobby. Queste morti hanno la loro radice nel primato soverchiante dell’io egoico-bellico sull’io risanato, sullo spirito in relazione sana, altruista e amante del prossimo. Le loro epifanie sono appariscenti giacché l’io ipertrofico è per sua indole reboante, chiassoso, istrionico: lotte fratricide, scalate sociali condotte sulla pelle altrui, politica priva di spessore etico ed urlata, atteggiamenti egoistici e quindi giudicanti o avvilenti, quali mormorazioni, calunnie, maldicenze, impurità, dissipazioni, disperazioni, depressioni, stupidità.
La depressione, quando non ha basi organiche o ereditarie, è tipica di chi ha posto al centro della propria esistenza il successo, il potere, gli idoli, per cui la valutazione di sé, il giudizio su di sé, è in funzione o direttamente proporzionale al successo che si è raggiunto o al potere che si detiene. Se gli idoli con cui ci si è identificati, che sono divenuti parte di noi, interiorizzati, svaniscono o non mantengono le loro promesse effimere e fallaci, si apre il baratro della depressione. Non conta chi siamo. Non ha valore la nostra identità animico/spirituale, anzi essa è stata svenduta, sepolta o corrotta dalla corsa al possesso degli idoli che, contrariamente a quanto opera Dio, si fanno possedere per poi presentare un salatissimo conto in termini di svilimento dell’essere e a vantaggio del tenebroso. Si concedono per succhiare l’anima e trascinarla agli inferi, dove è pianto e stridore di denti.
La depressione è, per l’appunto, una discesa agli inferi e configura bene quelle morti inter-biologiche cui ho fatto cenno e che considererei quali costituenti la cosiddetta “morte prima”. Ciò stante, la morte biologica costituirebbe la “morte seconda”, una sorta di morte intermedia ed ineludibile, cui può conseguire la “morte terza”, la morte ultima, cioè la divisione eterna dalla bellezza di Dio.
Ciao Salvatore, ho lento con molta attenzione il tuo scritto, che scorreva dentro alla mia storia, fino ad insinuarsi nella mia carne dolorante, affaticata, ma viva e ricollegata alla gioia infinità dell’unione alla bellezza di Dio.
Ci sono voluti tanti anni di corsi Darsipace e una forte tenacia.
“L’anima può ammalarsi. Lo spirito può ammalarsi. Le “cose invisibili” possono infettarsi, contrarre un morbo.”
“Rompere il rapporto con la Trinità è per l’uomo estremamente dannoso, proprio perché in esso risiede la sua identità, la sua unità, la sua armonia.”
Quante volte ho sentito nella mia storia le tracce di queste parole e di aver ereditato un’ interruzione profonda di quel flusso vitale/spirituale che alimenta la nostra esistenza e la rende fluida e dinamica.
L’uomo è relazione e se il soggetto attivo della relazione dovesse essere affetto da qualche male?
Si ammalano le relazioni, soprattutto le più intime, si inquina tutta una area relazionale che potrebbe non saper discernere il bene dal male.
Questo è stato il mio punto di partenza, indeboliti dal peccato, barcollanti nel nulla.
Ma la natura dinamica dello Spirito di cui tu parli Salvatore, mi ha afferrata, ho sentito agire in me una spinta prorompente, tutto ciò che ero, anima, spirito, mente, corpo tendeva alla com-unione, all’economia della salvezza, che è economia dell’integrità ed io mi sono lasciata trasportare ingaggiando una battaglia feroce contro le prepotenze del mio io alienato.
Grazie per la profonda riflessione. Patrizia
Caro Salvatore, è un discorso largo e denso il tuo, e suggestivo. Non è facile nelle sue ipotesi e nel suo organico sviluppo.
Mi sembra interessante quella terza morte osservata nell’ottica di “darsi pace”, causata dall’io egoico.
Può essere il dilagare impercettibile della morte, nella distrazione distratta dalle distrazioni, ma può essere un campanello di allarme, se c’è un po’ di consapevolezza nel saper rientrare in sè stessi.
Ma a volte non basta nemmeno il campanello di allarme, perchè io mi sono accostato tante volte alle ceneri col monito “memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris”, “ricordati, uomo, che polvere sei e polvere ritornerai”, ma non mi ero mai preparato una riflessione così ampia come la tua, cui devi aver lavorato per tempo e a lungo.
Anche se sentiamo il rovello del tema della morte, e forse ce ne siamo fatti una ragione, però preferiamo evitarlo.
Sulla vita eterna ed incorruttibile, l’unica è crederci non per volontarismo ma per atto di fede profondo e libero.
E a quel punto te la giochi: sei protagonista, sei in relazione con l’Altro, non sei tu con te stesso ma sei tu in relazione biunivoca con l’Altro, è una dinamica con tutti i suoi ostacoli ed interrogativi.
Ho rischiato di avere un’idea di Paradiso come luogo cui accedere pagando un prezzo alto ma nobile di impegno serio.
Ora mi sembra che il Paradiso lo devi pensare, meditare, contemplare: lo devi al tempo stesso scoprire e plasmare.
Lo troverai e lo vedrai se lo saprai cercare, se avrai la forza di conquistarlo anche con violenza.
GianCarlo
Un saluto a tutti, mentre stavo metabolizzando le vostro profonde riflessioni sono stata particolarmente colpita dall’ultima frase del post di Giancarlo:”se avrai la forza di conquistarlo anche con violenza”. Spero che possa chiarirmi questo pensiero. Grazie. Stefania
Cara Stefania, scusa la mia semplificazione, ma facevo riferimento al passo di Matteo, capitolo 11 versetto 12, che dice:
” il Regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono”.
L’interpretazione è che il Regno è oggetto di approcci “violenti” in due dimensioni opposte: o per l’entusiasmo esplosivo di chi lo vuole raggiungere, o per la guerra sorda che gli fa chi lo combatte.
Quanto a me io cerco di conservare un comportamento nonviolento nella mia vita, anche se non sempre ci riesco.
Grazie a te e buona riflessione, GianCarlo
Grazie del gentile chiarimento.
Dov’è il nostro cuore quando arriva l’onda terribile, la raffica di vento che offusca la mente?
È distante da sé e dall’Amore.
Un saluto e buon cammino. Stefania