Quando parliamo di leggerezza, in senso figurato, possiamo riferirci all’idea di superficialità e frivolezza oppure ad una qualità positiva che tende a non farci appesantire dalle cose del mondo.
Partendo da questo secondo significato, mi piace associare la parola leggerezza ad un libro e ad uno scrittore: “Lezioni americane” di Italo Calvino (Mondadori, 1993). In questo testo Calvino parla di scrittura e letteratura, individuando i caratteri che queste dovrebbero tenere a mente per il nuovo millennio, che allora – era il 1985 – si stava avvicinando. In cima alla sua lista ideale troviamo proprio la leggerezza.
Calvino parla di scrittura, è vero, ma leggendo il breve saggio che dedica a questa qualità, e alle altre da lui individuate, si sente che il discorso potrebbe diventare più ampio ed estendersi anche ad un modo di vivere, ad un modo di essere.
Tra le citazioni del testo mi è rimasta impressa quella di una novella di Boccaccio (Decameron, VI, 9). Provo a riassumerla perché mi sembra utile per capire l’idea di leggerezza che vi sta dietro.
Il poeta fiorentino Guido Cavalcanti, austero filosofo, passeggia meditando tra i sepolcri di marmo davanti ad una chiesa. Un’allegra brigata della gioventù fiorentina dell’epoca, di passaggio da una festa all’altra e in cerca di qualche nuova occasione di divertimento, lo nota e sprona i cavalli verso di lui, deridendolo in memoria di vecchi rancori. Non avendo una via di uscita dal luogo in cui si trovava, il poeta, dopo aver replicato argutamente alle loro invettive, “posta la mano sopra una di quelle arche, che grandi erano, sì come colui che leggerissimo era, prese un salto e fusi gettato dall’altra parte, e sviluppatosi da loro se n’andò.”
Così scrive Calvino: “Se volessi scegliere un simbolo augurale per l’affacciarsi del nuovo millennio sceglierei questo: l’agile salto improvviso del poeta-filosofo che si solleva sulla pesantezza del mondo, dimostrando che la sua gravità contiene il segreto della leggerezza, mentre quella che molti credono essere la vitalità dei tempi, rumorosa, aggressiva, scalpitante e rombante, appartiene al regno della morte, come cimiteri d’automobili arrugginite.”
Quella che Calvino difende è una scrittura in cui la leggerezza non toglie forza al pensiero, anzi, gli dona agilità, fino quasi a raggiungere una sorta di gravità senza peso. Questa idea di leggerezza mi sembra piena di significato anche uscendo fuori dal contesto letterario.
Sperimentare la leggerezza (la pace, potremmo dire noi) non significa negare il peso del vivere e nemmeno opporsi ad esso. Non sta nel diventare a tutti i costi frivoli e inconsistenti. Piuttosto mi sembra consista nell’essere capaci, in certi momenti, di superare tutto con un salto agile, con un balzo naturale e miracoloso allo stesso tempo. Non è una cosa automatica, piuttosto qualcosa che si ottiene con dedizione, direi quasi con passione. Ci vogliono doti da funamboli, bisogna riconoscere la pesantezza dei propri limiti e allenarsi a farne lavoro, acrobazia, magari anche gioco.
Ma in fondo la meditazione, la concentrazione, l’osservazione lucida delle nostre distorsioni non servono proprio a questo? A sperimentare momenti di una leggerezza vitale e liberante?
Ripenso ai miei salti quotidiani, ai miei tentativi di vivere (e magari anche di scrivere) con questa idea di leggerezza. Quanto mi sento buffa! Mi viene da sorridere… ma mi stringo alla mia voglia di riprovare, ogni giorno, a saltare di nuovo.
Che bella, Antonietta, l’immagine dell’ “agile salto improvviso del poeta-filosofo”…che non vuol dire-come scrivi tu- negare o opporsi alla gravità del vivere ma riuscire, in certi momenti, a fare un salto naturale e “miracoloso” a un tempo sopra i pesi dell’esistenza!
Ti sono vicina nella tua voglia quotidiana di riprovare “a saltare di nuovo” (mi viene in mente l’immagine dello zio di Mery Poppins che-sciogliendosi in una grande e irrefrenabile risata- diventa talmente leggero da toccare il soffitto !!!), grazie e un forte abbraccio, mcarla
Sono le nostre paure, i nostri sentimenti negativi, le nostre ubbie, i nostri pensieri vani che ci appesantiscono; spesso continuiamo a portarceli dietro come un tormentoso fardello. Liberiamocene con l’abbandono, così come lo ha magistralmente descritto Giovanna nel post precedente! Allora sapremo dare alla nostra vita quelle svolte, quei salti salutari che ci renderanno persone nuove! Mariapia
Cara Antonietta, post molto bello, che ho riletto più volte
La prima, mi ha riportato alla memoria “la suorina in altalena” de “la predica più bella” dipinta nella leggiadra luce di Romena pur trattandosi di Roma,
Forse il post attraverso il quale per la prima volta è sbocciato, relazionalmente in questo luogo virtuale, dal mio cuore il sorriso.
Nella seconda mi son lasciata condurre dai tuoi sapienti rimandi, attraverso le pratiche del corso “dP” (soprattutto la meditativa), gustandole e riemergendone sinceramente ammirata: “complimenti di cuore”.
Ora però pare che le tue parole/immagini, abbiano colpito un oggetto duro e “sonoro” nel profondo del mio pozzo.
E quel che ascolto è ambiguo.
Da un lato condivido ciò che dite sulla leggerezza, sia tu che Calvino, essa è una qualità indispensabile per affrontare la sfida antropologica trasformativa in atto; ma, dall’altro, non son certa che “cascare sempre in piedi” corrisponda esattamente alla domanda di senso della mia vita.
Mi pare che ci sia dell’altro.
Grazie per il tuo lavoro e buona Domenica
Rosella
La meditazione, la concentrazione, l’osservazione lucida delle nostre distorsioni ci aiutano a sperimentare la leggerezza che, a sua volta, alleggerisce la scrittura e rende agile il pensiero.
Nel laboratorio di dP stiamo sperimentando proprio questo.
Gli strumenti che abbiamo a disposizione ci insegnano un’arte, un lavoro di cesello che “perfeziona le belle statuine, le figurine dell’album del mondo.” (Marco Guzzi, Nella mia storia Dio, pag.90)
Mi pare che il nostro tempo abbia estremo bisogno di questo lavoro per aiutare la persona a riscoprire la sua natura spirituale e a comprendere, non intellettualistica-mente, che una qualità dello spirito è proprio la leggerezza.
Grazie Antonietta.
Giuliana
Un post piacevolmente “leggero” nei contenuti e nella forma!
Bello il salto di Cavalcanti: sono due giorni che me lo porto dietro, perché ho davvero tante cose da cui staccarmi…
iside
AFFRONTO CON LEGGEREZZA TUTTI I PROBLEMI QUOTIDIANI LA MIA MALATTIA LE ANZIE DEI FIGLI SENZA LAVORO LA MORTE DI MIO MARITO TANTI DOVERI E NESSUN DIRITTO SOCIALE
MA LA SPERANZA SARA’ L’ULTIMA A MORIRE QUESTA NON ME LA TOGLIERA’ NESSUNO
grazie Enza
la speranza è la fiammella che fatico maggiormente a evidenziare nel quotidiano, mi sei d’esempio e di conforto.
ciao
Rosella
Mi piace questo confluire della leggerezza nella speranza.
In fondo, se non ci fosse una speranza grande, una promessa di riscatto delle nostre vite incompiute e sgangherate, anche la leggerezza sarebbe solo fuga e illusione.
Con l’augurio di passare leggeri attraverso questi tempi duri, vi saluto con affetto
Antonietta
Ho letto solo ora questo scambio e se anche arrivo in ritardo, mi sento spinta a partecipare, con un commento, a quanto si è detto, mi chiedo se ti conosco Antonietta, forse no, ma certo ho riscontrato con te una consonanza curiosa, sto leggendo proprio in questi giorni ‘Le lezioni americane’ di Calvino, e stavo per l’appunto riflettendo sulla prima lezione dedicata alla leggerezza, come a te anche a me è sembrato che la leggerezza suggerita possa non essere solo una caratteristica letteraria che attinge al mito, o tutt’al più un atteggiamento di spensieratezza mercuriale, ma possa invece diventare una grazia che nasca nell’interiorità, faccia salire di livello, trascendere i limiti egoici, e possa consentire alcuni momenti felici in cui sentirci liberati dai quotidiani fardelli, consegnati a qualcuno che sa portarli, una liberazione possibile solo se non si perde il contatto con la sorgente del proprio autentico sé.
Un saluto affettuoso e solidale a tutti quelli che, come me e con più ragioni di me, si sentono un po’ Sisifo.
Graziella
Ciao Graziella, no, non ci conosciamo (del resto conosco di persona pochissimi di voi).
Questo è un posto di consonanze ed è bello quando riusciamo a comunicarcele, come hai fatto tu. Ci rende più vicini.
Poi magari un giorno riusciremo a trovare il coraggio di dirci anche le dissonanze, chissà…
Un caro saluto
Antonietta
“Questo è un posto di consonanze ed è bello quando riusciamo a comunicarcele, come hai fatto tu. Ci rende più vicini.
Poi magari un giorno riusciremo a trovare il coraggio di dirci anche le dissonanze, chissà…”
CHE FAREI MAI IO SENZA GLI ALTRI?
nei mesi scorsi ho dovuto lottare moltissimo su giudizi negativi che emergevano in me come vere e proprio tentazioni contro la Fede.
Per me la fede non consiste se non nella sua incarnazione relazionale, cioè: nell’ “io mi fido di te”.
E’ stato terribile per me permanere cercando di mantenere giusta la rotta.
La sofferenza provocata dalle mie distorsioni, leggeva le “consonanze” come fossero risposte compiacenti a possibili manipolazioni. Ho dovuto realmente attingere ad ogni mio ricordo personale della salvezza per continuare il viaggio.
Oggi, un dialogo di poche righe svela il mistero. E proprio a me.
Stupisco per il fatto che recepisco quel che in molti, a partire da mia madre, han cercato d’insegnarmi per tutta la vita: se ti butti (da te stessa) dalla finestra ti fai male.
Ma io non capisco: perchè non volare?
“Poi magari un giorno riusciremo a trovare il coraggio di dirci anche le dissonanze, chissà…”
Questa frase illumina il mio cammino più di tante ragioni ragionevoli e inconfutabili.
Grazie! e forse non mi sono neppure spiegata, ma ora semplifico:
“buona giornata a tutti”
rosella