“Gesù ricordati di me quando sarai nel tuo regno”; e Gesù gli rispose: “Amen (IN VERITA’) ti dico oggi sarai con me in paradiso”. (Lc 23, 42-43)
Mi ci è voluta una vita, tanto per cominciare a gustare IL GIUSTO SAPORE DEL DOLORE. Ricordo bene la mia fame d’aria e l’istintivo ritrarmi dal sacrificio e dalla rinuncia. Visceralmente: non ne posso più, e me ne separo con un No, deciso: ho già dato! Ma il mio diniego non è così libero e netto, bensì intriso di sottile senso di colpa.
Per Donarsi – Approfondimento 1, 3° lezione telematica (sintesi liberamente tratta)
“Soffia il tuo Spirito e scorrono le acque del disgelo”.
“Che cosa significa questa ricerca di perdono? Significa proprio di essere assolti, disciolti da questi ghiacci che ci separano dalla fonte, dall’origine della vita”
“… allora il perdono è un miracolo, un processo attraverso il quale sperimentiamo sempre più che il ghiaccio della separazione si va dissolvendo e noi entriamo nell’Adesso, nell’adesione al Presente.” “La separazione costa cara, ha conseguenze terribili nella mia vita… .”I
Il nostro lavoro consiste nel riconoscere costantemente che cosa “è ghiaccio” in noi; e questa cosa si può chiamare “io in conversione o in confessione”
“nel primo intensivo avevamo rilevato alcuni dei nostri caratteri negativi – traendoli da una lettera che abbiamo scritto…
nel secondo intensivo andammo avanti e rilevammo altri aspetti negativi e distruttivi del nostro carattere, confrontandoli con quelli dei nostri genitori .”
nel terzo intensivo: lavoriamo ingenuamente, come fosse la prima volta: l’opera è ADESSO.
Mia madre m’inondava di paura, togliendomi il respiro, mi privava persino del piacere di andare all’asilo; mentre mio padre la lasciava fare: lasciava che lei si (pre) occupasse del mio bene… .
La mia era un’impotenza completa e assoluta e ho imparato a sopravvivere separandomi da me stessa: evadendo nella solitudine o nei passatempi e, nelle relazioni esterne: compiacendo.
Sono una brava bambina tranquilla, però rifiuto il cibo e mi lascio morire di fame o in crisi d’assenza.
La rabbia e l’odio li ho contattati più tardi, come fossero il frutto proibito dell’impotenza, e me ne sono servita. Anche se distorta la loro forza mi ha consentito di farmi una vita normale, senza troppi guai; e, nel contempo, la mia parte autodistruttiva spesso mi ha indotta a buttarmi via per niente. Il non mettere a frutto i talenti ricevuti ha generato in me: grettezza / invidia / odio per la vita e rabbia per l’assenza di riconoscimento ma ancor più per l’ assenza di sostegno.
Ed è a questo punto che, come non bastasse, ci vien richiesto di stilare l’identikit de: il peggio di me.
A volte io sono colei che si lascia morire d’inedia, ma a volte sono colei che si lascia morire per gustare l’acre sapore dell’odio nella vendetta: “Tu mi hai tolto la vita e io ti odio con tutto il cuore”
Spesso, ora, molto semplicemente, son tentata di andarmene per la mia strada; ma vi è ancora dell’ambivalenza in me: sento che è ora di lasciare l’automatismo del distacco netto e definitivo che non compie il desiderio del mio cuore, ma nel contempo non conosco ancora la giusta misura di questa nuova libertà. E sorrido all’evanescenza delle mie distorte strategie difensive che mutano proprio permanendo nel conflitto, purificandomi nel riconoscerle: e intravedo il senso del cammino da percorrere, in sprazzi di luce sempre più frequenti e ravvicinati.
Gli automatismi delle mie strategie difensive sono, per così dire: una strada obbligata da ripercorrere, se intendo realizzare me stessa, se desidero si compia LA MIA SALVEZZA.
Mentre affronto queste problematiche sono ben consapevole che non tutta la mia storia consiste in queste criticità “maledette”. Ricordo bene con quanta amorevole cura, dedizione e autentico sacrificio mi abbiano: cresciuta, educata, accolta e desiderata i miei genitori e sono loro immensamente grata per il dono della vita ricevuto.
Ciò nonostante le cose non sono soltanto belle; se così fosse saremmo tutti molto realizzati e felici. Ma non sempre è così, e conoscere le modalità nella quali ci siamo separati dall’energia divina che ci ricrea generandoci è un passo ineludibile, senza il quale manchiamo della materia prima, quella da esporre al sole della salvezza nel grido: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”
Sentire emotivamente la mia impotenza, e riconoscere il male che ancora mi abita nella disperazione, è già un bel passo avanti, ma possiamo collaborare ulteriormente all’azione risanatrice dello Spirito tramite la pratica meditativa che, silenziando, introduce alla preghiera cristiana. Affidando il nostro cuore a Dio, l’intelletto si apre ad una conoscenza della realtà che va oltre il benessere psicofisico. Credere in Gesù ci consente di chiamare Dio “papà” e di affidare a Lui la salvezza nostra che ci viene “per dono”. Risorti gratis!
Possiamo cioè aderire alla Fede del Figlio Suo ottenendo il perfetto perdono: «Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà». GLI APPARVE ALLORA UN ANGELO DAL CIELO A CONFORTARLO. (Lc. 22, 42-43)
Ascoltiamo sentendola emotivamente, una parola nuova e personale, una parola tutta mia, quella necessaria a me per collaborare, proprio adesso, all’opera messianica nella costruzione del regno.
PARTENDO DAL GRIDO: “tu mi hai tolto la vita e io ti odio con tutto il cuore”, quale la (as) soluzione possibile?
Attraversare l’odio è come colare l’oro. E mi sono ritrovata ancora una volta in questa “valle di lacrime” dalla quale sgorga la stessa identica parola udita per il passato.
“Acconsenti al dolore” acconsenti “Acconsenti a condividere il dolore umano.”
Il mio compito è acconsentire al dolore, e non so neppure quale, e son disorientata.
Ora come allora? No! è solo quasi uguale.
Nel quasi, il virare emotivo dell’anima dalla sofferenza a qualcosa di nuovo: un dolore pacificato dalla dolcezza nella riconoscenza del figlio riposto maternamente tra le braccia del padre.
Anni fa non riconoscevo il male che mi abita e non volevo proprio considerarmi UN ESSERE COLPEVOLE; giusto o sbagliato che fosse, mi ritenevo più vittima che carnefice e non intendevo proprio acconsentire a condividere il dolore altrui: ne avevo abbastanza del mio.
Oggi il virare emotivo delle contratture ibernate dilatano uno spazio dal quale sgorga caldo e vitale un flotto che m’avvolge: e mi sento amata e consolata e compiuta come non mai: e Il mio cuore ESULTA.
Contemplo ai piedi della croce che NEL RISORTO tutto è compiuto.
“Il dolore è un amore corrisposto umanamente / il perdono di Dio è proprio un amore corrisposto ”
Anche il mio cuore esulta insieme al tuo, cara Rosella.
All’ inizio del cammino in dP ero curiosa e impaziente di sperimentare come tutta la rabbia che avevo/ho in corpo potesse trasformarsi e originare azioni positive.
Solo al 1 approfondimento ho compreso l’alchimia.
E’ stato necessario riconoscere, insieme alla rabbia, l’odio che mi abita e attraversare le stratificazioni nel tempo costruite per resistere al dolore della separazione dalla fonte, dall’ origine della vita.
Per comprendere che l’azione impregnata di rabbia e di odio verso l’altro è anche azione autodistruttiva e quanto sia illusorio credere di stare bene facendo fuori gli altri, così facendo faccio fuori me stessa.
Sperimentare che il dolore ibernato si trasforma in gocce di acqua che si fanno rivoli è esperienza dolorosa e nello stesso tempo dolce in Cristo, è scoprirci nuova creatura, figli riposti maternamente tra le braccia del padre.
Allora ciò che nasce in me è il desiderio di dire agli altri quanto è bella questa esperienza: rinascere a vita nuova, sentire nel Presente l’Eterno.
Grazie e un forte abbraccio.
Giuliana
Il giusto sapore del dolore è un titolo molto bello.
Leggendoti, cara Rosella, mi ritrovo in quell’acconsentire al dolore, cioè nella scelta di non negarlo più. Provo a rifare brevemente il percorso, per quello che ho sperimentato.
Le mie difese le ho inconsciamente costruite per non soffrire o soffrire meno. Quindi relazioni un po’ distorte, non volersi conoscere fino in fondo, scappare, e poi manipolazioni, compiacenze…… tutto questo per non soffrire il rifiuto, il biasimo, l’abbandono, che è l’eco di quello della nostra infanzia, mai del tutto riconosciuto nei suoi effetti devastanti.
Ma…
C’è un ma, perché purtroppo soffriamo ancora e quando ce ne rendiamo conto il muro del nostro castello è così alto, i fossati così grandi, che non si sa più cosa fare e come.
Lì Cristo ci viene a raccogliere e ci regala uno scioglimento, gocce d’acqua che si fanno rivoli, come scrive Giuliana, se solo acconsentiamo a riconoscere e sentire questo dolore.
Ma come, io il dolore non lo voglio sentire, ho fatto tutto questo proprio per non sentirlo!
Invece ho capito che bisogna imparare a sentire il dolore se vogliamo sentire la gioia.
Questo dolore delle cose sbagliate, delle sofferenze date e ricevute non si cancella del tutto, ne rimane un sapore, un’afflizione che può essere anche dolce, perché lì dentro c’é consapevolezza e abbandono. Fiducia cioè che questa non è l’ultima parola, che in Cristo il male, il nostro male è già redento, pulito, guarito, man mano che lo dissotterriamo e lo portiamo alla luce. Certo, questo non è subito tutto evidente, ma qualcosa inizia già ora, adesso. Ed è qualcosa di fisico, di concreto.
Questo per me è il giusto sapore del dolore, un dolore redento, che confina con l’inizio della gioia.
Grazie Rosella, buona Pasqua a te e a tutti
Antonietta
Grazie Giuliana e grazie Antonietta.
Devo dire che l’esperienza che ho cercato di descrivere ha più a che vedere con il senso della vita che con il suo compimento. (chissà se non son poi la stessa cosa?)
Penso che nel concepimento come nell’innamoramento si faccia l’esperienza iniziatica di esultare nella gioia; ma, poi, crescendo, tutti siamo toccati dal dolore e sentire fisicamente che solo l’amore da senso alla sofferenza; e che solo la gratuità della risposta dell’amore di Dio, nel per dono mi ha liberata dalla mia angoscia impotente è qualcosa che mi commuove molto.
E un sentimento più prezioso della gioia stessa, che fra l’altro conosco.
Ho quasi pudore a parlarne.
Forse i misteri dolorosi hanno in sè un balsamo che ci è pressochè sconosciuto.
Forse nella complessità del vivere, l’amore compie il nostro desiderio di felicità più della gioia stessa, proprio perchè dona senso al dolore, o forse, più semplicemente questo vale ora per me.
Ciao e buona Pasqua a entrambe
Auguri di tanto “gioioso amore”.
rosella
Grazie Rosella e grazie a Giuliana ed Antonietta, che hanno completato con chiarezza questo post. Mi avete aiutato a capire e a vivere che il dolore non è fine a sé stesso, inutile zavorra, è materiale di lavoro; solo riconoscendolo, e attraversandolo con amore, possiamo trovare la porta stretta che ci porta al perdono; che si compie proprio , adesso ed è gioia piena, gioia pasquale! Auguri di redenzione e trasformazione a tutti! Mariapia
cara Maria Pia,
grazie a te. Un grazie che si dilata nel ricordo della squisita accoglienza che mi hai riservata nella tua città/ casa del cuore.
Nel merito, del tuo intervento attuale desidero precisare questa cosa, che per me è stata di una importanza radicale: il vero MOMENTO MERAVIGLIOSO.
La vera RI-CONOSCENZA, la vera novità, la conoscenza nuova, dalla quale spontaneamente s’innalza il cuore nell’esultanza è questa (e prendo in prestito le tue parole, variandole un po)’: solo riconoscendolo tranquillamente che “quello che c’è c’è” e attraversandolo NELL’ANGOSCIA DELLA MIA IMPOTENZA, posso trovare la porta stretta che mi porta al perdono; che si compie proprio adesso, NELL’AMORE CHE PER dono – GRAZIA gratuita MI RIEMPIE IL CUORE di gioia piena, gioia pasquale!”
Io non sono capace di “… attraversandolo con amore” di volermi bene da sola, io sono capace solo di strillare come una bambina che sta male “non m’ importa nè il come nè il perchè. “Fammi stare bene!” “Salvami!”
Magari è la stessa cosa che intendevi tu, però per me è stata la prima volta e “questo è REALMENTE il momento meraviglioso”
Ti abbraccio con affetto e ricambio il tuo augurio di Pace ed abbondanza di vita Nuova.
Rosella
Per quanto intrecciati, a me pare che occorra distinguere tra il dolore psicologico-affettivo e il dolore fisico. Nei corsi dP impariamo che per superare il dolore prodotto da emozioni come paura, angoscia, rabbia non abbiamo altra possibilità se non attraversarle per potercene liberare. Infatti, l’obiettivo è sempre lo stesso: liberarci dal dolore e infatti Gesù ci insegna a pregare dicendo (anche) liberaci dal male.
Sul versante più strettamente fisico, mi pare che di fronte a un corpo biologico che non funziona non abbiamo molte opzioni. La medicina, per quanto abbia fatto passi da gigante negli ultimi cento anni, ha pratiche ancora piuttosto grezze ed aggressive rispetto alle possibilità di guarigione. Ad esempio, riusciamo ad affrontare abbastanza bene malattie che rimangono in distretti corporei ben delimitati, ma facciamo molta fatica su patologie croniche che si sviluppano ad ampio raggio nell’organismo. Le ricadute psico-emotive della malattia possono essere affrontate con il metodo dP, ma quando il funzionamento del corpo non può essere rimesso in pista, quel dolore rimane lì, nella sua interezza, e chiede di essere eliminato, senza alcun attraversamento semplicemente perché non c’è niente da attraversare ma soltanto tutto da superare.
Perciò mi pare che il sapore del dolore sia comunque un sapore amaro, che diventa accettabile là dove sia effetto collaterale delle manovre per la liberazione da ciò che ci incatena. Per il resto, non ci rimane che tenere desta la speranza esercitando la pazienza paolina del resistere sotto pressione, dando credito che il desiderio di vita piena che ci abita non sarà disatteso.
iside
Cara Iside,
son tentata di “fare silenzio”.
Rispetto il tuo intervento, ma non posso proprio esimermi dal testimoniarti l’esperienza di una speranza che si fa Fede, cioè quella briciola di CERTEZZA che nasce dalla trasformazione “dell’angoscia in dolore umano” dell’odio in amore, cioè “travolta dall’amore” e questo non ha nulla a che vedere con lo psichico solamente ma ha a che vedere con IL SENSO incarnato DELLA VITA.
Io non sono te e non vivo la tua situazione, però ho quasi settanta anni, qualche acciacco mio personale e di famiglia e quel che miaspetta è la morte e medito con gratitudine la parola che mi è pervenuta “Il dolore è un amore corrisposto umanamente / il perdono di Dio è proprio un amore corrisposto ”, e sono stata tentata di cambiarlo, e di spiegarla, ma ho deciso di non farlo.
Quel che faccio è sparpagliarla ai quattro venti, come fosse polline, perchè porti frutto e ciascuno nel proprio frutteto colga QUEL CHE VALE per il suo momento, per l’ADESSO in cui siamo.
Ti abbraccio con affetto e Buona Pasqua
Rosella
Cara Rosella!
Quando nel mio commento , parlando del dolore, ho scritto di attraversarlo con amore, intendevo dire che il dolore va vissuto con mente e cuore aperti. Spesso succede che il dolore ci chiuda e ci faccia ripiegare dentro di noi, allora è un guaio: pensiamo solo alla nostra sofferenza, senza guardarci intorno e senza spiragli verso il futuro e può capitare che solo il tormento diventi il senso della nostra vita.
Spesso il guardare alle sofferenze degli altri ci aiuta a sopportare meglio le proprie; se poi ci impegniamo ad alleviare quelle altrui, forse dimentichiamo le nostre. Le gioie degli altri, inoltre, se vinciamo l’invidia, ci danno speranza. Pensare in modo aperto al proprio dolore è utile anche per considerarlo da vari punti di vista e quindi per trovare una via d’uscita.
A me piace un verso del poeta U. Saba: “ Anima mia che una tua pena hai vinta, vieni andiamo a riposare ”. Me lo ripeto spesso e mi aiuta a sdrammatizzare.
Sono d’accordo sulla distinzione fatta da Iside tra dolore fisico e dolore psicologico, anche se, credo, talvolta il primo è accentuato dal secondo.
Il Signore risorto ci dia la grazia di vivere anche il dolore con sapienza!
Cara Rosella, grazie, una bella riflessione, il dolore infatti è la più acuta spina.
Mi pare che Gesù ci mostri le due vie maestre per attraversarlo su questa terra, che resta in buona parte una “valle di lacrime” (anche se non solo…):
toglierlo, eliminarlo, guarirlo
toglierlo, attraversandolo, patendolo fino in fondo.
Il passaggio del dolore è sempre Pasqua, a volte il dolore viene tolto, passa qui, in questi anni terreni, altre volte no, e passa solo in un attraversamento fino alla morte.
Credere e sperare nella Pasqua significa, credo, permanere in questa fiducia: il dolore passa e comunque passerà!
E noi imploreremo e grideremo senza tregua affinché passi e fino a che non passi.
Un abbraccio. Marco
Cara Maria Pia,
grazie per la tua precisazione, avevo l’intuizione che forse era la stessa cosa che intendevi tu, ma per me è la prima volta che mi è dato di concepire la possibilità di attraversare il dolore con amore, non mi aveva proprio mai neppure sfiorata l’idea, e senza questa iniziale esperienza starei ancora lì.
In quanto alla differenza tra dolore fisico e quello psicologico o emotivo personalmente ho il terrore del dolore fisico, e ho fatto innumerevoli esercizi a nove punti su questa faccenda; mentre non temo quello psico emotivo, perchè ne ho attraversato quanto basta ad essere consapevole che “il mio spirito è immortale”
Ma ciò di cui ti sono più riconoscente è proprio l’augurio che tu fai a noi tutti e al quale mi unisco di cuore “Il Signore risorto ci dia la grazia di vivere anche il dolore con sapienza!”.
Questa frase mi sembra che unifichi le due vie maestre percorse da Gesù sulla terra e ricordateci da Marco: lavorare per toglierlo, eliminarlo, guarirlo o, toglierlo attraversandolo patendolo fino in fondo (con amore come fai anche tu).
Ciao. Un abbraccio e un grazie anche a Marco
Rosella
«La Pasqua frantumi le nostre paure e ci faccia vedere le tristezze, le
malattie, i soprusi, e perfino la morte, dal versante giusto: quello del “terzo
giorno”. Da quel versante le croci sembreranno antenne, piazzate per farci
udire la musica del cielo. Le sofferenze del mondo non saranno per noi i
rantoli dell’agonia, ma i travagli del parto. E le stigmate, lasciate dai
chiodi nelle nostre mani crocifisse, saranno le feritoie attraverso le quali
scorgeremo fin d’ora le luci di un mondo nuovo.» (Don Tonino Bello)
auguri a tutti in questa notte santa. giovanna
Un abbraccio pasquale a tutti in questo giorno in cui gustiamo i frutti del dolore del Dio fatto carne dalla Vergine:
le sue ferite sono diventate come feritorie da cui scorgere l’alba del giorno senza tramonto, senza più lamento.
Alleluia!!!
Corrado
Cari tutti voi,
personalmente penso che se mi è stato questo dolore, e parlo di un dolore che dura ormai da 14 anni, quello di avere una figlia che sta molto male psicologicamente e non ne vuole sapere di curarsi, c’è forse una ragione……
L’impotenza di una madre verso il proprio figlio è una cosa difficile da immaginare, a volte preferiresti che ti fosse stata portata via da un male fisico…….Questo dolore è talmente forte che spesso sopravvivi invece di vivere.
Ecco adesso penso che se mi è stata data questa prova, significa che la posso sopportare e ci sarà una spiegazione,
forse se non mi fossa stata data questa prova sarei ora una persona diversa, molto più superficiale, molto meno attenta al dolore degli altri etc……..
E allora cerco di ringraziare il Signore, non sempre ci riesco ma ci provo.
Un grossso abbraccio a tutti i compagni di viaggio
Francesca
Grazie per il dono dei vostri contributi. Ogni singolo intervento mi trasmette la luce del nuovo giorno.
Speranza viva che la vera Pasqua è incarnata nella profondità di ognuno: ” Convertitevi e credete al vangelo” è azione che possiamo compiere nella concretezza della nostra esperienza di dolore.
La ” giusta” misura la riceviamo nel dono della fede, allora la consapevolezza che tutto è superabile e che tutto volge all’Amore tanto anelato non è più illusione ma realtà vera.
Auguri a tutti. Vanna
Grazie a tutti, lascio risuonare le vostre parole nel cuore per poter meglio corrispondere a Francesca che non conosco e a tutti coloro che soffrono un dolore grande.
Un intensivo di approfondimento comprende in modo compiuto le tre pratiche del metodo iniziatico;e, per quel che è la mia comprensione, richiede “una decisione attiva nell’essere passivi”, cioè nel lasciarci svuotare, come fosse: correre al sepolcro per trovarlo vuoto.
Maddalena cercava un corpo ma il corpo non c’era più; e, anche quando le donne riferirono agli apostoli ciò che Gesù aveva ordinato loro di dire, non è che abbiano avuto grandi riscontri: “Quelle parole parvero a loro come un vaneggiamento e non credevano ad esse”. Però: ” PIETRO TUTTAVIA SI ALZO’, corse al sepolcro e, chinatosi, vide soltanto i teli. E TORNO’ INDIETRO PIENO DI STUPORE PER L’ACCADUTO.” (Lc 24,12)
Quel che mi pare di dover dire è invitare a continuare, intensificando la pratica trasformativa, cercando di acquisire una sempre maggiore libertà nell’accogliere quello che c’è. Quel che viene, viene quasi da sè.
Il dono d’amore di Dio, il Suo “per dono” fa risuonare il nostro nome: “Maria” (Francesca, Iside, Antonietta, Maria Pia, Giuliana, Marco, Giovanna, Corrado, Vanna e Rosella) e attende d’incontrare il nostro stupore in quell’infanzia bambina che si lascia NUOVA MENTE consolare.
Ciao, con affetto
Rosella
Ma PERDONO per cosa?
Ciao Maurizio,
trascorso giorni buoni?
In che senso: “ma PER DONO per cosa?
Quel che ho descritto è un lavoro trasformativo possibile, attraverso il quale ho ricevuto il dono di gustare NUOVA MENTE e in modo più consapevole, il senso eterno della Vita (la mia come la tua) che è AMORE.
Sentirsi amati è bello anche se alquanto raro. Per me, questa è la prima volta che me lo godo così compiutamente, anche se in una sola goccia.
Senti Maurizio, io non sono molto acculturata, quindi penso di non poter soddisfare domande di un certo tipo, tra il teorico e il disincarnato, posso però rendere ragione di quello che vivo e proportelo.
Ciao e buona settimana
Rosella