Partiamo solenni, dall’articolo 1 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.” L’articolo 2 comma 1 prosegue: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione.”
Nei tribunali, poi, la famosa frase ci ricorda che “la legge è uguale per tutti”.
Non c’è dubbio che queste dichiarazioni rappresentino una fondamentale conquista, almeno sulla carta, per il riconoscimento dell’inalienabile dignità di ogni essere umano. Per il solo fatto di appartenere alla specie umana, vengono sanciti limiti invalicabili, a monte di ogni determinazione culturale che dà forma alla nostra vita. Ma è riflettendo su questa uguaglianza che mi sorge qualche pensiero: l’uguale per tutti è sufficiente?
Due, infatti, mi pare siano i poli della questione. Da un lato, il valore dell’essere umano è in sé, espresso innanzitutto come salvaguardia della struttura dell’umano che ci accomuna al punto che ci possiamo specchiare nel volto dell’altro. Dall’altro lato, però, ognuno di noi esiste soltanto in quanto continuamente (ri)plasmato in modo molto preciso dall’ambiente in cui nasce e cresce. Ciascuno di noi pertanto è l’esito, sempre in divenire, di un processo di identificazione che passa attraverso l’adattamento alle innumerevoli contingenze in cui la vita ci pone. Il risultato è che ciascuno di noi è un unicum irripetibile e perciò non omologabile. Da questo punto di vista, la tutela della libertà di ogni uomo dovrebbe essere profondamente calata nello specifico della singola storia, essendo in grado di offrire a ciascuno ciò di cui ha bisogno per realizzare la propria umanità e che non è uguale per tutti.
Dunque ognuno di noi è diverso, ma se dico “diverso” immediatamente scatta la valutazione di merito che, in genere, è negativa. Il diverso è quello strano, marginale, che non afferriamo con le nostre consuete e rassicuranti etichette. Ma se acuiamo lo sguardo, possiamo vedere che diverso è ciascuno di noi e lo dovremmo essere orgogliosamente e con gratitudine, perché la Vita crea soltanto originali e non copie in serie.
Pur nella nostra modalità egocentrata, siamo già riusciti a formulare una legislazione che preveda una sorta di accomodamento, ad esempio nella forma delle attenuanti in base alle circostanze, un tentativo cioè di adattare la legge al caso specifico. La giurisprudenza, poi, nella dinamica complessiva dell’accusa e della difesa, si basa sull’interpretazione della legge rispetto alle contingenze particolari.
La ricerca medico-scientifica si dibatte tra la fedeltà al suo metodo di indagine, che richiede una semplificazione delle condizioni sperimentali e quindi l’assunzione che tutte le persone siano uguali, e l’esplorazione di terapie personalizzate e di una diagnostica basata sull’assetto genetico individuale.
Tuttavia, avvertiamo tutto questo come ancora insufficiente. Dentro un’analoga ambiguità, mi pare si muova, ad esempio, la strenua difesa delle quote, rosa o di qualunque altro colore, perché prevede una forzatura al rispetto della personale inclinazione creativa, che non può avere una declinazione di genere posta a priori. Altrettanto riduttivo mi pare il riconoscimento dello statuto di matrimonio all’unione di due persone omosessuali. Anche in questo caso, a mio modo di vedere, il rispetto della diversità dovrebbe corrispondere alla valorizzazione dello specifico, piuttosto che all’uniformazione al già esistente.
Noi perciò rilanciamo: infatti, i due poli tra cui oscilliamo chiedono di essere portati ad una nuova e più convincente sintesi in cui l’uguale per tutti si accordi con lo specifico per ciascuno, in cui cioè non ci si fermi alla difesa di diritti uguali per tutti, ma si apprezzi la diversità, intesa come custodia dell’unicità di ognuno.
Si tratta allora di passare dall’esclusione dell’altro, respinto in una categoria di out-group, ad una inclusione che gli riconosca un valore così grande in sé da poterlo accogliere così come egli è, di là da ogni classificazione. Analogamente, verso noi stessi, lo sforzo non sarà più quello di cercare di aggregarci acriticamente ad un già dato che giocoforza ci starà stretto ma, al contrario, quello di trovare il nostro spazio facendo spazio all’altro che ci sta accanto.
La stanza degli esperimenti ha la porta sempre aperta!
Grazie di questo post Iside perché affronti un problema che mi sta particolarmente a cuore come penso sia per molte persone.
Mi è venuto da pensare subito ad una mia cara amica che ha adottato di recente una bimba di colore che viveva nel suo paese africano in condizioni molto critiche.
Il problema che ora si pone è che la bimba, attaccatissima ai nuovi genitori, curata e ben nutrita, qui si sente…”diversa”; chiede spesso alla mamma non senza lacrime perché la sua pelle è così scura e non è come quella delle sue amichette.
Quindi nel suo paese era “uguale”, ma qui non lo è o almeno lei percepisce così! Come è stata accolta? Si sente partecipe nei giochi e nello studio?
Questo per intenderci serve a capire quanto sia urgente l’integrazione nel senso come bene hai detto “in cui cioè non ci si fermi alla difesa di diritti uguali per tutti, ma si apprezzi la diversità, intesa come custodia dell’unicità di ognuno”.
E si comincia con l’educazione dei nostri figli o nipoti in tal senso!
Un caro saluto Gabriella
Cara Gabriella, quello che riporti mi pare descriva molto bene “in diretta”, come si costruiscono le nostre maschere, così come impariamo in dP. Evidentemente, la percezione di quella bambina è un senso di non accoglienza che le produce un’ingiunzione di inadeguatezza e la porta alla conclusione errata che se sarà il più possibile uguale agli altri sarà accettata nel circolo degli amici. Sguarnita, come solitamente si è nell’infanzia di modalità di elaborazione adeguate, diventa facile proiettare sul colore della pelle la ragione dell’esclusione.
Invece il grande lavoro in cui siamo impegnati è proprio quello di smontare i pregiudizi e allargare l’accoglienza dell’umano per come è, senza volerlo manipolare a nostro vantaggio.
iside
Leggendo questo post pensavo al nostro continuo bisogno di classificare, di creare categorie che ci rendano leggibile la complessità.
Non credo possiamo fare a meno di classificare, mi sembra un moto insopprimibile della mente, necessario a qualsiasi tipo di conoscenza.
Il problema è il giudizio che diamo a queste categorie, la paura che ci proiettiamo sopra, il bisogno di essere rassicurati e inclusi o, per difesa, di escludere.
Le leggi che cercano di ristabilire le uguaglianze o tutelare le diversità sono socialmente necessarie, ma sempre insufficienti.
Anch’io credo che la sfida parta da dentro, dal nostro laboratorio interiore: lì possono nascere nuovi modi concreti per accoglierci e accogliere oltre ogni categoria prestabilita.
Volta per volta, con poche regole e molto cuore.
Ciao
Antonietta
Uguali e diversi. La politica può intervenire con la forza della legge ad imporre il rispetto dell’uguaglianza di tutti nel senso che tutti hanno uguale dignità, indipendentemente dalle più varie diversità.
Ancora la politica, con la forza della legge, può imporre che le diversità non possono implicare discriminazione.
La legge però è necessaria ma non sufficiente.
La legge sta alla vita buona come la giustizia sta alla carità, e come la superficialità sta alla profondità.
Ora noi non stiamo trattando delle situazioni di mancanza di libertà e di democrazia, di razzismo e apartheid, di maschilismo o omofobia, ma stiamo riflettendo della situazione in cui le leggi sono giuste.
Per chi crede solo nella politica le leggi giuste sono la soluzione dei problemi e sono risposta esauriente.
Ma è proprio qui l’illusione e l’errore, perchè la legge nel migliore dei casi può creare le condizioni buone.
Il bello viene dopo, l’importante è tutto da costruire, ed è quello che cerchiamo di capire con “darsi pace”.
Iside dice che si tratta di passare dall’esclusione all’inclusione, ma questo lo diamo per scontato a livello legislativo in un contesto democratico, mentre il passaggio dell’inclusione non può che essere affidato ad ogni persona, alla sua capacità di accoglienza, al livello del suo cuore e cioè della sua personale conversione.
Il caso proposto da Gabriella è emblematico perchè la bambina nera non è stata respinta alla frontiera, non ha genitori che la rifiutano, non dice che le amichette la deridono per la sua pelle nera, ma lei vede la sua diversità.
E io mi chiedo come mi sarei sentito se da bambino fossi stato trapiantato in mezzo a milioni di cinesi accoglienti.
Forse può essere violenta tanto l’esclusione quanto un’inclusione forzata: il trapianto può non funzionare.
E’ molto sottile la riflessione di Iside sui matrimoni gay, perchè può essere facile la tentazione della risposta burocratica e formale, o peggio della risposta ideologica, che è ben spendibile sul piano politico ma che alla fine può rispondere poco alle necessità delle persone che spesso vengono strumentalizzate.
E Antonietta è ancora più chiara, perchè ha sperimentato nella vita che le leggi sono sempre insufficienti.
Più che altre volte, i vostri commenti mi hanno fatto percepire di essere dentro una bella conversazione. Grazie!
Un abbraccio
iside
Come insegnante mi ricordavo spesso di una affermazione di Don Milani che diceva più o meno così: fare parti uguali tra persone diseguali è un’ingiustizia. Sentivo che un aspetto importante della mia professionalità era dare di più ai ragazzi più svantaggiati, seguirli più da vicino, incoraggiarli talvolta anche con criteri di valutazione più favorevoli. Non sempre ci riuscivo, ma l’intenzione era quella! Una persona malata va trattata diversamente da una sana. Così le nostre parti più deboli vanno riconosciute ,protette e coccolate perché si modifichino. Auguriamoci di saperlo fare! Mariapia
Questa “bella conversazione” mi tocca nel profondo, in quanto madre di una ragazza con una disabilità motoria importante, cui è toccata una vita sempre ‘in bilico’ tra normalità/anormalità, desideri e pulsioni comuni ai suoi coetanei /limiti e impossibilità oggettive di metterli in atto, potenzialità cognitive e ricchezza psico-emotiva riconosciute/contesti e persone che ne pregiudicano la piena espressione…insomma un’esistenza all’insegna di una “diversità” conclamata!
La legge, come scrive Giancarlo, “è necessaria ma non sufficiente” perchè molto spesso è usata in modo ‘fondamentalistico’ e diventa una coercizione sia per chi la vuole applicare, sia per chi la “subisce” (“fare parti uguali tra persone disuguali è un’ingiustizia”) !
Creare delle buone condizioni è già qualcosa, ma la vita vera è una rete di rapporti interpersonali che ti mettono in relazione con singoli “tu”, quotidianamente, giorno per giorno… ed è lì che la tua diversità è messa davvero alla prova!
Nel percorso scolastico di mia figlia ad esempio (sta finendo le superiori), abbiamo spesso dovuto lottare perchè il suo “diritto allo studio” non fosse solo un bell’enunciato all’interno di un Piano Educativo Individualizzato (che nella pratica scolastica il più delle volte non teneva però conto dei suoi tempi e delle sue concretissime fatiche) ma diventasse una reale opportunità di crescita per lei, adattando programmi e obiettivi alle sue reali possibilità, senza però giocare al ribasso, scivolando in proposte banali e senza alcun significato evolutivo, facendole perdere motivazione e interesse all’apprendimento!
Faccio queste considerazioni a proposito di mia figlia ma vi assicuro che potrebbero essere fatte anche a molti dei suoi compagni (sono stata rappresentante di classe e mi sono resa conto di quanta fatica ci sia per stare nella “norma”, arrancando spesso dietro a programmazioni di classe astratte e spesso superate nelle proposte didattiche) !
…insomma, UGUALI nel diritto a essere rispettati ognuno nella propria DIVERSITA’.
Può suonare come uno slogan (e in fondo lo è) ma potrebbe anche orientare verso un lavoro comune ancora tutto da sviluppare.
Ciao a tutti, marla
Tutti possiamo fornire l’ugualianza se abbiamo cuore e se siamo indipendenti dalle opinioni delli altei
Tutti possiamo fornire l’ugualianza se abbiamo cuore e se siamo indipendenti dal opinione delli altri