Le relazioni che intessiamo sono di diverse specie: affettive, sentimentali, lavorative, di interessi, etc. Tutte hanno in comune il dato dell’interrelazione o dell’interazione, in quanto ogni relazione postula un “io” ed un “tu”, in senso singolare o plurale. Siamo esseri naturalmente relazionali, nati per assurgere alle vette della relazione, sia che riguardi l’io e l’io in contatto con l’altro/a, sia che attenga a Dio. Più siamo capaci di relazioni autentiche e non mediate dall’ego distorto ed alienato, più siamo vicini alla nostra realizzazione, alla nostra mèta di esseri umani, creati ad immagine e somiglianza di Dio. Difatti, presupposto è la nostra discendenza divina, a meno che non si vogliano attribuire al Caso le stesse peculiarità di Dio.
Ora, mi limiterò alle relazioni d’amore, quel sentimento tanto decantato, sognato, cantato, rimato, sorgente di gioie e/o di dolori, struggimento di notti insonni o miraggio e stordimento mattutino, che dovrebbe fare di due persone un unicum, un solo corpo e un solo spirito.
Caratteristica essenziale dell’amore è la comunione delle anime.
Cosa intendo per comunione? Intendo l’unione dei distinti, che da distanti divengono prossimi, anzi carne della nostra carne e sangue del nostro sangue, senza smarrire la propria identità. Altro suo elemento distintivo è la libertà dei distinti, che conservano la propria autonomia, i propri interessi, la propria personalità, che tuttavia trovano nell’accondiscendenza dell’altro, nella comprensione dell’altro, un perfezionamento. In altri termini, la propria autonomia si trasforma, si autolimita, si autodisciplina in funzione dell’equilibrio di coppia, che non è rappresentato da una formula matematica o da un quid magico (chemistry, direbbero gli anglofoni), ma dallo sforzo dell’attenzione quotidiana ai bisogni dell’altro/a. Nell’unione perfetta (o meno imperfetta) si sperimenta una sorta di armonia delle parti, che tuttavia va rinsaldata ogni giorno, su cui occorre lavorare quotidianamente perché è sempre a rischio di dissolvenza o di sfaldamento in qualche punto. Le incomprensioni andrebbero stemperate con lo strumento del dialogo affinché non si mutino in ostacoli invalicabili, in muri di gomma, in rappresaglie interne alla coppia, nei casi più gravi in separazioni e divorzi.
Il dialogo anticipa l’insorgenza delle incomprensioni e fa in modo che ci si intenda e si trovi un punto d’accordo, quindi un nuovo inizio, una rimodulazione dei comportamenti espressi ed inespressi, espliciti ed impliciti. Perché il fraintendimento è sempre in agguato, sempre dietro l’angolo, ad insidiarci per renderci introflessi, gretti e spietati.
Molte relazioni sono a rischio proprio perché sono carenti di dialogo e comprensione, di volti distesi, di occhi limpidi e sereni che non trasmettano la frizione del rancore ma che spalmino sull’altro/a il balsamo, l’unguento della dolcezza. Ed altre divengono altamente pericolose per l’equilibrio psichico e del cuore quando il dialogo/confronto viene accantonato per un tempo più o meno lungo, ritenendo che si possa fare a meno della parola che chiarisce gli equivoci, apre a nuove riflessioni, indaga sulle intenzioni, muove a nuova compassione e ad un sentimento rinnovato e quindi più saldo.
La fiducia cresce fino a raggiungere l’apice dell’intimità appagante se c’è la parola. Il mutismo o il pressapochismo non sono funzionali al rapporto fra le persone, e questo in linea generale. A maggior ragione lo è nel caso del rapporto amoroso, in cui due persone si relazionano all’interno di un progetto di vita comune.
È mia esperienza personale, carissimi amici ed amiche di Darsi Pace.
E credo che sia esperienza comune a molti di voi. Non si cresce senza dialogo. Ma il dialogo è la modalità espressiva dell’io risanato, depurato [dal lat. tardo depurare, probabile derivato di pus puris «pus, marcia», quindi «togliere il pus»] dalle scorie egoiche e belliciste. Per eliminare questo pus, questo virus che dilaga a vista d’occhio – e in questa pandemia dell’egoico risiede la crisi delle relazioni umane -, non vi è che una via, quella che il Cristo ha chiamato “la via angusta” [“Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!” (Mt 7,13-14)]. Quale immagine vi evoca una via angusta, una porta stretta? A me evoca l’immagine di nessun ingombro, dell’essenziale, del viandante che porta con sé il necessario per il viaggio, non il superfluo. Nessun bagaglio ingombrante, altrimenti egli non potrebbe procedere lungo la via angusta. Non potrebbe neppure imboccarla; non potrebbe varcare neppure la soglia della porta stretta.
Ma cosa vi è di più necessario della propria anima? La sua salute è principio di equilibrio psico-fisico. La nostra salute non dipende dagli integratori alimentari, dalle diete, dal fatto che si sia vegani, vegetariani o onnivori, che si pratichi attività sportiva o che ci si dia ad altri hobby. Tutto questo è senz’altro importante, svolge una funzione positiva, ma è il superiore che condiziona l’inferiore; è l’anima in buona salute che produce salute fisica. Certo, in una visione olistica non vi è separazione fra mente, spirito e corpo, e però non vi sono molti dubbi sul fatto che è la cura dello spirito che deve avere la precedenza, godere di una sorta di corsia preferenziale, perché siamo spiriti incarnati. Se la nostra origine sta nello Spirito, bisogna ripartire dallo Spirito.
E cosa vi è di più ingombrante di un io ipertrofico, appesantito, tronfio, narcisista?
Ecco, allora, che sovviene l’essenzialità del cammino di DP, che punta allo scrostamento dell’ego (che non è operazione indolore) affinché venga nuovamente alla luce l’uomo risanato, l’uomo secondo natura, cioè secondo il disegno di Dio, che è un ordito di pace, di benessere, di felicità.
Grazie Salvatore di questo post saggio e in tutto condivisibile.
Il tuo citare la “via angusta” e l’immagine che hai scelto hanno avuto in me un’eco particolare, mi hanno portato a ripensare a un sogno che ho fatto poche settimane fa, forse in apparenza di chiara lettura ma…non così immediata. Nel sogno mi trovavo insieme ad altre persone ed eravamo disposti in due file come quando ci si accosta alla comunione, io stavo nella fila più affollata, nella fila accanto c’erano poche persone, ma io sentivo che era quella la fila giusta e mi sono unita a loro, quando è arrivato il mio turno c’erano di fronte a me due persone (con una tunica bianca, sacerdoti?Forse,ma a me pareva che fossimo tutti vestiti di bianco) ho ricevuto/preso l’ostia fra le mani, l’ho alzata come fa il sacerdote, spezzata e l’ho mangiata, con gioia, sentendo di fare una cosa giusta e condivisa con gli altri.
Questa fila poco affollata mi ha ricordato la via angusta, la porta stretta, il coraggio dell’impegno, della scelta differente…credo
Un cordiale saluto.
Bellissimo, Salvatore, il tuo post! Mi ha scaldato il cuore e consolata! Condivido tutto quanto hai detto perché è anche la mia esperienza/idea personale. La porta stretta mi ha evocato il parto : il passaggio, stretto ed angusto dall’organo genitale per venire alla Luce..! Si perché per me,il dolore di questo cammino/travaglio, ha già in sé l’embrione della nuova vita: quella di persone/figli di Dio. Ed è questa certezza che mi fa accogliere i dolori del parto…! Non nascondo però il dolore per la difficoltà “ad avere relazioni” ( è questo il vero nodo secondo me) con chi non ha trovato la ” via” e porta dentro di sé un embrione che può morire, impoverendo, senza relazioni d'”Amore”, la propria vita e quella degli altri. Il lavoro DP per me, oltre che su di me, spesso va nella direzione dell’aiuto all’altro (con il/la quale desidero una relazione pacificata) perché “strumento gioioso e fiducioso… possa portare guarigione e illuminazione a tutti”…..
Un abbraccio affettuoso a tutti Maria Rosaria
Diventare consapevoli che siamo spiriti incarnati è un lungo, interminabile processo, è acquisizione di coscienza, accrescimento di vita, dilatazione della mente e del cuore.
Non è niente di sentimentale, né di mentale, è un incessante e paziente riordino di se stessi che integra ogni gesto, ogni parola, ogni pensiero in un ordine cosmico.
La via angusta è rappresentata da ciò che ostacola l’effusione dello Spirito: l’orgoglio, la chiusura egoistica ad altre forme di vita, il rifiuto di aderire alla verità conosciuta in quanto implica un sacrificio al proprio orgoglio.
Il metodo integrato che imparo in Darsi Pace mi aiuta a riconoscere in me questi ostacoli, ad accoglierli fiduciosa nel Padre, fonte di vita e di amore, e nel Figlio nel quale ritrovo la via del ritorno e della purificazione.
La fede nello Spirito ravviva la speranza che il creato ha un destino divino verso la luce e verso la trasfigurazione.
Grazie a tutti e un grande abbraccio.
Giuliana
Grazie per questa ricca meditazione.
Abbiamo abbandonato nelle nostre comunità la cosa più importante, la pratica della lotta interiore,la lotta spirituale,e trasformato il nostro cristianesimo in morale e dottrina.
Se non ripartiamo da questo non avremo più nulla da dare al mondo, solo noi stessi malati e feriti.
Poca roba,un sale senza sapore, una luce che non illumina.
Che lo Spirito ci renda tutti capaci di fare ogni giorno un piccolo ma significativo salto di qualità nelle nostre relazioni, con noi stessi,gli altri e con Dio.
Ti ringrazio per questa meditazione;io sperimento ed ho sperimentato quanto sia difficile costruire relazioni dove si “parlano” lingue diverse,quando l’altro non ti vuole “sentire”;il cammino che stiamo facendo aiuta molto noi nel rapporto con gli altri ma come giustamente crediamo la via è molto angusta e difficile ma lo Spirito ci accompagna e se io non lo avessi avuto con me non avrei trovato la forza per superare tutte le difficoltà che la vita ,ancora oggi,mi ha dato e mi dà.