Ho scattato questa fotografia in un luogo della grande guerra, sulla cima del Monte Grappa. Questa foto mi riporta ad un sogno avuto diversi anni fa. Sognai una discesa vertiginosa dentro un pozzo attraverso il buio, l’angoscia e il senso di morte imminente. Cercavo a tutti i costi di arrestare la discesa, ma una voce dolcissima mi era accanto e mi invitava a lasciarmi andare e proseguire la discesa. A più riprese la discesa si fermò improvvisamente per poi riprendere fino a che mi ritrovai in una stanza bianca e molto luminosa, di fronte a una parete oltre la quale udivo vicinissime urla strazianti di un bambino.
Piccolo Paolo, quella notte ho conosciuto il tuo grido lancinante e inconsolabile e ti ho detto: “Tu non sarai mai più solo, tu sei l’unica persona che non lascerò mai”.
Gli anni che seguirono a questo sogno sono stati caratterizzati dalla rabbia auto-distruttiva. Iniziarono così i ricoveri psichiatrici, T.S.O. e le permanenze prolungate in comunità protette. Il fatto di aver subito una profonda ingiustizia mi ha mandato fuori di testa. Da qui quel senso di vuoto, dolore e rabbia nel sentire che mi è mancata l’esperienza fondamentale che ogni bambino deve avere: protezione, affetto e fiducia. Porto in me la viva sensazione di essermi sentito gettato sin dai primi istanti in un mondo caotico, privo di vita e di senso, dove regna sovrana la rottura delle leggi naturali, ossia un mondo ostile dove non c’è alcuna possibilità di contatto e tenerezza tra le persone.
“Paolo, riesci a ricordare qualcosa della tua infanzia?”
A casa c’è sempre allarme, tensione, persecuzione e sospetto. Non mi muovo e sto zitto. Sono invisibile. Ho tanta paura perché le persone si muovono in modo imprevedibile. La situazione può precipitare da un momento all’altro. Sono abbandonato e in balia del caos. Non ho un riparo, una protezione. Tutto è amplificato, troppo violento e duro. Tutto è travolgente: gli odori, i suoni, gli sguardi e i silenzi. Tutto è duro e freddo. Le persone sono come pietre. Non c’è calore. Sono solo e disperato. Voglio morire.
“Caro Paolo ora puoi rilassarti e star tranquillo. Il mio nome è Dolcezza e mia dimora sono le tue stesse profondità; sono molto più tua e intima di tutte le tue ferite. Conosco la tua sensibilità: è quella dei poeti e dei santi. Conosco la tua infinita sete di dolcezza, il tuo anelito di radicalità, la voglia di armonia tra carne e spirito e l’insaziabilità di ogni momento fugace. Tu mi appartieni e ogni altro pascolo non ti si addice. Tue sei per il Tutto, ed ogni parte pur bella ma priva di me ti lascia una sete implacabile.
Ricordati ogni giorno del cammino che ti ho fatto percorrere giù nel pozzo. Ascoltami bene: con infinita Dolcezza scenderai negli abissi infiniti della solitudine e dell’angoscia e del nero più nero. Questa è la via; l’unica via necessaria che tu dovrai transitare. Perderai te stesso ma non disperare. Te lo prometto; è lì, in quel Nulla, che tu troverai il Tutto. Amen
Caro Paolo,
non ho parole per descrivere la grande e profonda emozione che il tuo scritto mi ha suscitato. Ricevi per via telematica un abbraccio affettuoso ed un “grazie di cuore”. Rosaria
Grazie Paolo, anche per leggere il tuo scritto mi ha commosso .Mi da un senso di profonda fraternità sentire che sempre in fondo al pozzo buio e profondo per tutti .c’è acqua viva e Dolcezza che ci ama e ci da Vita.
Acqua viva sorgiva .
Caro Paolo,
poco fa provavo a fare meditazione prima di mettermi in moto per andare a lavoro, e mi sei venuto in mente, non avevo più visto tuoi post e ho pensato di scrivere a Paola per chiedere tue notizie. Ora prima di prepararmi qualcosa da mangiare ho aperto il sito e ho visto il tuo scritto, che arriva dritto anche al mio cuore un po’ congelato… Non sei solo, non siamo soli.
Grazie.
Irene
Quanto dolore procurano l’ingiustizia e la menzogna del mondo!
Eppure il cammino nel pozzo è la via, l’unica via per chi cerca il Tutto.
Dentro le nostre oscurità percepiamo la Dolcezza della voce incoraggiante che in te si aggiunge alla grafia della Luce.
Che meraviglia!!
Grazie per la tua condivisione e un forte abbraccio.
Giuliana
Carissima Rosaria, ricambio l’abbraccio. Chiara, mentre ti leggo mi ritornano le parole che Marco scriveva:
“Il problema dell’uomo, l’unico vero dilemma è questo: cosa c’è al fondo del (mio) essere? C’è solamente il nulla del mio annientamento e la solitudine angosciosa del mio perdermi in esso, oppure nell’abisso dell’abisso, più giù del mio stesso concetto del nulla e di ogni nichilismo di maniera, si apre qualcosa di altro?”.
Forse la diagnosi psichiatrica di “borderline” che mi fecero un tempo mi si addice veramente. Borderline nel senso di sentirsi su una terra di confine, in uno stato di oscillazione continua, tra il Tutto e il Nulla. Sento intimamente e terribilmente vere le parole di David Turoldo quando dice:
“Così, sempre sul ciglio dei due abissi tu devi camminare e non sapere quale seduzione, se del Nulla o del Tutto, ti abbatterà”.
Irene grazie. C’è un filo che ci tiene intimamente legati. “Non sei solo, non siamo soli”. In questo cammino del ritorno, piano piano sto facendo esperienza oltre che della solitudine del viaggio anche del sentirmi abitato e generato da una Luce che mi sostiene, protegge e guida. Sento di vitale importanza ritornare ogni giorno a questa consapevolezza pena il perdermi nello sconforto e nella sfiducia infinita.
Carissima Giuliana, grazie. “Dentro le nostre oscurità percepiamo la Dolcezza della voce incoraggiante che in te si aggiunge alla grafia della Luce”. La fotografia, unita alla scrittura, sta diventando per me un mezzo potente per esprimermi e raccontarmi.
carissimo Paolo, grazie per il dono della tua testimonianza.
Alla “dolcezza della voce incoraggiante” accosto tenerezza, la tenerezza di un abbraccio,
“la sua tenerezza si espande su tutte le creature “”recita il salmo.
Dolcezza e tenerezza ,che possiamo assaporare ogni giorno quando..prendiamo il largo…fino a sentirci abitati da quella Luce…..
Grafia e fotografia…due preziosi strumenti per metterci a fuoco…..
un abbraccio Irenilde
Grazie Paolo delle tue testimonianze, mi aiutano a sopportare il dolore di avere una figlia alla quale è stata fatta più o meno la tua diagnosi, che però sta molto male perchè non vuole fare il lavoro che stiamo facendo noi.
Tu stai imparando come tutti noi a non sentirti più solo, adesso il tuo piccolo Paolo si può rilassare finalmente…….
un abbraccione Francesca
Grazie Irenilde, davvero. Io non mi aspetto altro che questo dalla vita: la tenerezza di un abbraccio. Come si narra nella mia parabola preferita, che se anche l’intero vangelo andasse perduto basterebbe questa. C’è un momento in cui il figlio rientrò in se stesso (io in conversione) ed è da quel preciso istante che inizia il suo cammino del ritorno a casa.
Grazie Francesca. Io credo che non siamo in alcun modo responsabili di ciò che è accaduto nel nostro passato. Possono essere accadute anche le cose più mostruose, ma è nostra responsabilità prendere in mano questo passato perchè nessuno potrà mai farlo al posto nostro. Ho buttato via anni e anni della mia vita e rinviato continuamente la decisione pur di non assumermi questa responsabilità. Oggi sento di poter affermare che ho preferito rifugiarmi nella malattia. Da 3 anni circa ho iniziato a prendere seriamente in mano la mia vita quando pensavo che oramai ero totalmente fottuto…Ognuno ha i suoi tempi e poi questa vita è un gran mistero. Da parte mia sono veramente curioso di capire che ci sono venuto a fare su questo pianeta perchè ancora non ci ho capito niente. Ti abbraccio
Caro Paolo,
il tuo post mi aveva dato angoscia, volevo scriverti e ci ripensavo, quando sono ritornata a rivedere e ho letto queste tue parole:
“In questo cammino del ritorno, piano piano sto facendo esperienza oltre che della solitudine del viaggio anche del sentirmi abitato e generato da una Luce che mi sostiene, protegge e guida. Sento di vitale importanza ritornare ogni giorno a questa consapevolezza pena il perdermi nello sconforto e nella sfiducia infinita”.
Mi sono aperta al sorriso e ho pensato che non c’era bisogno di aggiungere altro, se non un caloroso saluto e un grande augurio a te, a Francesca e un abbraccio anche a chi ha commentato. Stefania
caro Paolo,pensa che proprio mentre ti inviavo la tenerezza di un abbraccio avevo davanti a me l’immagine delquadro di Rembrandt dove il Padre misericordioso accoglie il ritorno del figliol prodigo….le sue mani si stendono sopra il figlio una mano è maschile, l’altra è femminile….tenera, delicata . il “Padre misericordioso” non è solo il “nostro” Padre ma è anche la “nostra” Madre, Lui è il tutto. anche per me qs parabola è importante per la mia crescita….come lo è quella del buon samaritano che ti fascia le ferite….e si prende cura di te.. con dolcezza e tenerezza……
un abbraccio Irenilde
Cara Stefania, grazie. L’esperienza di sentire che non siamo soli ma abitati da una Luce che ci protegge, guida e consola è fondamentale. Ritornare ogni giorno a questa consapevolezza; nutrirla, custodirla e rinvigorirla mi rende più quieto e fiducioso.
Cara Irenilde, la parabola del padre e del figlio non smette di parlarmi. Mentre ti leggo mi vengono in mente i versi di Donata Doni:
Sarà come incontrarti
per le strade di Galilea
e sentire il battito di luce
delle tue pupille divine
riscaldare il mio volto.
Sarà la tua mano
a prendere la mia
con un gesto d’amore
ignoto alla mia carne.
Dimmi che non sarà la morte
ma soltanto un ritrovo
di amici separati
da catene d’esilio.
Dimmi che non saranno
paludi d’ombra
a sommergermi,
nè acque profonde a travolgermi.
Solo il tuo volto,
solo il tuo incontro.
Caro Paolo il tuo post mi ha davvero colpito. Ancora una volta è la conferma di quanto il lavoro spirituale e in particolare questo lavoro iniziatico di Darsi Pace possa avere degli effetti prodigiosi. Per noi tutti scoprire che oltre il buio, oltre la disperazione c’ è una possibilità e una luce che ci accoglie è vitale.
Non so se ho avuto il piacere di conoscerti ma capiterà. Ti abbraccio con tanto affetto Gabriella
A me ha colpito la verità del tuo raccontare. La dignità e il coraggio dell’attraversamento della vita reale che, per quanto doloroso, non cede né all’autocompatimento e al piagnisteo, né all’illusione sdolcinata. La tua lettura è lucida e, forse proprio per questo, è aperta alla speranza, quella vera e cioè quella praticaabile. Sei davvero un bell’esempio di incoraggiamento per tutti.
Grazie!
iside
Grazie Gabriella davvero. Eccetto Giuliana M. non ho ancora conosciuto nessuno, ma avverrà. Il lavoro che qui si propone è l’unica cosa veramente necessaria e oramai inderogabile. Un abbraccio.
Grazie Iside, sta finendo il tempo del raccontarsi balle; e quante balle agli altri e soprattutto a se stessi. Ho 44 anni e sono veramente stanco di tutto questo sforzo inutile. Molte impalcature sono crollate, altre stanno scricchiolando, molto altro è ancora ben saldo e ci sono attimi in cui sperimento la mia radicale impotenza. Un abbraccio
Sono contenta di risentirti (di rileggerti, di rivederti attraverso le tue foto!)…ho ripensato a te di recente quando mi dicevo che dovevo, entro settembre, iscrivermi al 3° corso telematico di DP (“…chissà se anche Paolo F. ha deciso di continuare con DP?”).
Le tue parole e le tue immagini mi dicono che la tua ferita è ancora lì, che si fa sentire, ancora brucia…però la guardi , la nomini e soprattutto non ti sei fatto impietrire dal suo sguardo perché stai andando oltre, nelle profondità più abissali dove “dimora Dolcezza”. Ciò che scrivi mi rimanda all’ esperienza di quella figura straordinaria che è stata Etty Hillesum che dalle pagine dei suoi scritti ci invita in continuazione a “integrare il dolore” nella propria vita perché “quel che conta è il modo con cui lo si sopporta”. Spesso ricorre alla figura del “disotterrare” e del “disseppellire” Dio in noi, perché anche Colui che salva deve in un certo modo essere salvato ( in questo modo diventiamo collabortori della creazione in divenire!).
Non mi voglio dilungare oltre in citazioni ma ti consiglio vivamente la lettura del suo Diario e delle sue Lettere (se ancora non lo hai fatto) perché li ritengo di una ricchezza inesauribile per tutti coloro che hanno intrapreso un cammino interiore profondo. Auguri a te e a tutti noi, mcarla
Grazie Maria Carla, sono contento di risentirti. Il mio percorso in dP prosegue e sono prossimo ad iniziare il secondo anno. Si, la ferita è ancora lì e brucia; c’è bisogno di tempo, pazienza, dolcezza e coraggio. Intuisco però che lì, nel profondo della ferita, risieda un lieto annuncio, una parola nuova. Non ho mai letto il diario di Etty; lo farò e ti ringrazio per il suggerimento. Intanto mi impegno a scrivere il mio diario e appena posso a fotografare. Grafia e fotografia, che come diceva Irenilde sono due preziosi strumenti per mettersi a fuoco. Un abbraccio paolo
…allora aspetto le tue foto! ciao, mcarla
Grazissime, caro Paolo per la tua testimonianza e per l’impegno che con fermo proposito porti avanti per continuare il percorso iniziato riconoscendo che c’è bisogno di tempo, di pazienza, di dolcezza, di coraggio.
Grazie per i versi di Donata Doni e per tutti gli interventi che come in un coro armonico amplificano e rafforzano il tuo e nostro sentire.
Personalmente ho ricevuto una risonanza positiva da ogni intervento e confermo che veramente “il cammino nel pozzo è l’unica via per chi cerca il Tutto”.
Rileggendo gli interventi mi è venuta in mente, caro Paolo, la parabola dell’incontro, a mezzogiorno, fra Gesu’ e la Samaritana per le strade di Galilea,
spazio dei poveri e degli esclusi, lontano da Gerusalemme, luogo del tempio e del potere.
In quel pozzo, vengono alla luce e si incontrano la sete di Gesu’ e quella della donna che con grande dignita’ non si nasconde e non racconta piu’ “balle” nemmeno a sè stessa.
Ecco davvero, tutta la tua testimonianza mi ha ri-cordato l’esperienza riportata dalla Scrittura sull’incontro fondamentale tra Gesu’ e la Samaritana che spero e auguro ad ognuno di noi di vivere e custodire nel cuore per sempre.
GRAZISSIME ancora ed un abbraccio a tutti noi viandanti e sempre principianti.
Giuseppina
Grazie Giuseppina. Domani andrò a leggere la parabola dell’incontro tra Gesù e la samaritana; anche Marco aveva fatto una meditazione su quell’incontro. “In quel pozzo, vengono alla luce e si incontrano la sete di Gesu’ e quella della donna che con grande dignita’ non si nasconde e non racconta piu’ “balle” nemmeno a sè stessa” Grazie Giuseppina per riportarmi su questo brano, ti abbraccio
Carissimo Paolo, solo ieri ad un mese di distanza da quando lo hai scritto – ho letto il tuo post. Tante volte ti ho “letto”, lo scorso anno, nelle tue condivisioni della prima annualità. Tutte le volte avrei voluto dirti una parola, ma mi sono sempre trattenuta, nutrendo ammirazione grata e grande verso chi invece ha saputo farlo, rispondendoti con tanta delicatezza e rispetto. Io mi sono trattenuta, come fermandomi, intimidita, con timore e tremore di fronte alla soglia sacra del tuo dolore, in cui sapevo di non poter entrare se non scalzandomi prima i piedi. E non sempre se ne è capaci, o si ritiene di esserlo. Non ho parole, davanti ad un dolore tanto grande, tanto drammatico e lacerante come il tuo. E probabilmente non ce ne sono. Rimane solo il silenzio che si accosta, e rimane, accogliendo nel cuore l’altrui, la tua, sofferenza con com-passione, nel senso forte, etimologico del termine (“patire con”). Comunione fraterna, mentre dal cuore salirebbe a Dio il grido: “perché?”. Grido che però non ha risposta. Neppure Dio risponde, infatti, a questo grido: non si mette a ragionare con noi sul senso dell’umana sofferenza. Né si difende dall’accusa di averla permessa, di non averla impedita, se è vero che Lui – come è scritto – è Amore che ci ama. No, non si difende, né spiega il dolore, Dio. Semplicemente vi scende dentro, vi si cala, assumendolo di volta in volta per ogni figlio – sempre unico – che ama, e inabissandosi in quel medesimo pozzo in cui tu sei precipitato. Precipitando con te, nel baratro. Accanto. Dentro. E chiedendo a ciascuno di noi di fare altrettanto: “va’ e anche tu fa’ così” (Lc 10,37).
Non ho parole, Paolo. La tua esperienza così cruda, le spezza tutte lasciandomi come muta. Ma la tua ferita, Paolo, la ferita del tuo cuore e della tua carne, diviene la mia ferita, che ogni giorno porto davanti a Dio perché LUI la risani. E in questa comunione, che spezza o per lo meno addolcisce la solitudine, camminiamo insieme, con tanti altri, con tutti gli amici (fratelli e sorelle) del corso, portando insieme i pesi gli uni degli altri. E siamo meno soli. Già questo non è un inizio, un cammino di pace? Il piccolo, umile, ma tenace inizio di un mondo nuovo, di un’umanità nuova, che sta sorgendo nei nostri cuori?
Un abbraccio forte, con un sorriso, angela
Ti abbraccio Angela e ti ringrazio per questa tua parola. Io non so pregare ma ti porto nel cuore e confido nella tua preghiera incessante.