La vita è una guerra, una lotta, un campo di battaglia, una partita a scacchi, una corsa sulle montagne russe, un dono, un viaggio, un’avventura … Le metafore centrali o radici, come le chiama la psicologia, quelle cioè con cui descriviamo con un’unica immagine la nostra interpretazione dell’esistenza, sono moltissime, ciascuno ha la propria, ma una buona parte di noi sceglie quelle con connotazione di combattimento e di contrapposizione. Anche i mistici hanno spesso presentano la loro esperienza spirituale in termini di lotta.
In effetti, anch’io faccio parte del gruppo dei “lottatori” e se guardo alla mia vita, pare sia delineata piuttosto bene da questo tipo di metafora: mi sento strattonata da forze che si impossessano di me, rabbie, invidie, gelosie, in un ribollio continuo che tento di tenere a bada con qualche stoccata di rimozione, con un affondo di negazione, per poi sovente finire al tappeto sopraffatta da folletti sbeffeggianti che cantano vittoria. Però non mi arrendo, mi rialzo e si ricomincia da capo. Dunque, la vita è proprio una lotta, un combattimento all’ultimo sangue, il mio!
Tutto questo però mi lascia un senso di disagio, sento che c’è qualcosa che non torna. Dov’è lo spazio per la parte promettente con cui la vita si apre?
E se provassi a cambiare immagine?
In bilico su una faglia traballante, faccio acrobazie per rimanere in piedi, cercando affannosamente un punto di appoggio per stabilizzare un equilibrio precario, fino allo scossone successivo che mi costringe a riaggiustare i riferimenti. La vita diventa un gioco di contrazioni muscolari e di rilassamenti (pochi a dire il vero), ma anche in questo caso mi ritrovo spesso a terra. E anche così sento l’insufficienza della visione.
Dove posso attingere ad altre metafore che mi aiutino ad interpretare meglio la (mia) vita?
Uno dei punti cardine del pensiero che sta alla base del percorso Darsi Pace è quello di un cambiamento paradigmatico del nostro stare al mondo: da una modalità polemica e bellica, quindi conflittuale e predatoria, ad una modalità relazionale in cui la costruzione dell’identità di ciascuno non si fondi più sull’opposizione all’altro, ma sull’integrazione complementare con l’altro, dove lo spazio di crescita sia comune, dove l’avanzamento di uno non avvenga a spese dell’altro, ma soltanto in una sorta di parallelismo intrecciato. Ognuno ha il suo percorso, ma il percorso di ciascun altro diventa vitale per il proprio e viceversa.
Allora mi metto alla ricerca di una figurazione più adeguata, ma mi rendo ben presto conto che non è così semplice trovarla, perché rimane comunque lo scarto inconciliabile tra la realtà ferita che viviamo e l’aspirazione verso una pienezza che possiamo soltanto sperare.
La mente inizia a tratteggiare disegni: uno in particolare è quello del praticante di arti marziali che sa dosare la forza del colpo con millimetrica precisione e si accorda sul movimento dell’altro per intercettarne l’energia e farla propria.
Se provo a leggere la vita attraverso questa lente, mi sembra di poter intuire la transizione dal contrapporsi all’acconsentire e così inizio a trovarmi più a mio agio.
Sento che posso lasciarmi andare, anche se soltanto un po’, mollando qualche rigidità cui mi sono addestrata nei tanti anni in cui ho accuratamente costruito i miei sistemi di difesa. Adesso vedo la bambina spaventata che sono, rannicchiata in un cantuccio, che crede di passare inosservata agli occhi del dolore, nella conclusione errata di poterla fare franca se rimane ferma in silenzio, mascherandosi dietro ad un’accondiscendenza in realtà piena di rancore.
Non è dunque nella lotta aggressiva che potrò trovare un reale sollievo, ma nel fluire lungo la vita, assecondando la corrente per superare il turbine delle rapide e acuendo lo sguardo per concentrarmi con cura sulle armonie, potenziarle e goderne a cuore pieno.
Cambiare metafora fondamentale allora non è un esercizio decorativo opzionale, ma faticosa ed essenziale ermeneutica dello stare al mondo.
Grazie Iside, è molto bello questo post. Vedo me stesso come tu ti vedi, e così mi rendi desiderabile e sperabile questo cambio di paradigma. Capisco che devo parlare con pazienza e simpatia al bambino che ha deciso tanto tempo fa, che la strategia per sopravvivere, per non essere schiacciato dal dolore per quello che accadeva in casa, era quella di essere accondiscendente con tutti, in un tentativo forzato di guadagnare l’amore che cercava – e che in realtà ha solo molta, molta paura.
Lavoro faticoso. Ma possibile. E pensandoci, mi sento già un po’ più fiducioso…
Marco
cara Iside,
io trovo molto difficile il tuo post, poichè la mia metafora interiore non ha nulla a che vedere con la lotta evocata dall’immagine che tu hai postato, ma bensì con l’imperativo: non muoverti!
Abbandonati pure alla corrente, lasciati pure trasportare come fossi un tronco d’albero, ma non azzardarti a compiere un atto (volontario) che possa deviare il corso del fiume, ti sfracelleresti “da te stessa” giù per le rapide.
Anche la mia è una dura lotta per imparare e muovermi volontariamente
Mi vien da dirtelo, quasi per scusarmi dei “non riscontri” che spesso offro ai tuoi post.
Ti ammiro molto, e apprezzo anche la profondità dei tuoi pensieri ma raramente mi ci ritrovo in consonanza.
Ciao e buona continuazione
con affetto
Rosella
Nel percorso in dP comprendo la concretezza e la realtà della vita spirituale e la lotta spirituale si fa sempre più forte dentro di me anziché all’esterno dove imparo a muovermi con cautela e ad espormi con maggiore prudenza.
Nel lavoro di auto conoscimento tocco il senso di illusoria onnipotenza e di disperata impotenza dentro di me, comprendo da dove viene, lo spegnimento, la rinuncia nella pratica meditativa e la preghiera mi aiutano a lasciarmi medicare e curare.
Nel libro che sto leggendo di E.Bianchi “Lessico della vita interiore” è scritto che:
“La lotta spirituale mira, secondo la tradizione cristiana, a custodire la “sanità spirituale” del credente. Se il suo fine è l’apatheia, questa va intesa non nel senso dell’impassibilità, ma dell’assenza di patologie. Così la lotta spirituale mette in atto la valenza terapeutica della fede”.
E’ l’atto di fede rinnovato che mi aiuta a scoprire qual è il mio potere, cosa posso, e la decisione di credere deve continuamente fronteggiare la tentazione della disperazione.
Anch’io mi considero una lottatrice come te, carissima Iside, e nonostante la fatica che a volte mi pare insopportabile comprendo che stare dentro la lotta mi fa sentire viva, grazie ad essa l’amore viene purificato e ordinato e la fede diventa più forte, si fa perseveranza.
Grazie e un forte abbraccio.
Giuliana
Anch’io credo che la visione che abbiamo del mondo, e le parole che usiamo per descriverla, abbiano una grande importanza.
Leggendo il tuo post, Iside, mi sono chiesta qual è la mia metafora fondamentale.
La vita la sento come un serissimo gioco in cui mi “gioco”, appunto, tutto.
Questa metafora mi è sempre piaciuta perché mi restituisce il gusto del fare e provare e mi consente quel minimo (proprio minimo..) distacco per non farmi travolgere dalle esperienze negative.
Ma il mio rischio è sempre stato quello di puntare troppo su di me e sulle mie risorse e di mettere in secondo piano le relazioni. Invece il gioco funziona solo se impariamo a giocarlo bene insieme: l’autosufficienza, la chiusura difensiva non proteggono e, alla lunga, distruggono.
Mi piace il “parallelismo intrecciato” di cui parli: nessuna invasione o ambiguità, ma vicinanza, empatia e costruzione comune della strada da percorrere. Una strada magari diversa da quella che avevamo immaginato da soli.
Questo vorrei tanto imparare.
Ciao
Antonietta
Grazie Iside di queste belle riflessioni, ne avevo bisogno.
Le metafore con le quali affrontiamo la vita è un bellissimo tema, devo dire che anche per me la lotta interiore di cui spesso si parla anche nella vita spirituale non calza a pennello, forse proprio per l’immagine contrappositiva che la parola lotta evoca e in cui mi sentivo pienamente immersa prima di iniziare questo percorso, sempre in lotta sempre armata fino ai denti tesa e pronta a difendermi dall’attacco dell’altro che può solo essermi nemico, in una spasmodica e incessante strategia di difesa, stressante e risucchiante vitalità ed energia!
L’immagine con la quale ora mi immedesimo spesso è quella dell’equilibrista o del funanbolo, ma a pensarci bene contro quante paure il funambolo deve aver lottato prima di decidersi a salire sulla fune! Una volta poi mosso il primo passo bisogna permanere nella fiducia di non cadere, svuotarsi, alleggerirsi, mollare le tensioni, è questione di vita o di morte, ma tutto va fatto con la leggadria di un danzatore che sorride e va, in una piena fiducia che lo rende piacevole allo sguardo, come se fosse la cosa più naturale del mondo, lasciando così tutti a bocca aperta!
Buon cammino sulla fune!
Daniela
E’ molto bello questo intervento.
Sono cose che provo anche io.
Anche io vivo il mio percorso come una lotta. Una lotta continua contro la fortissima tentazione della disperazione. Lotta nella quale sono sostenuto dalla speranza nel Nostro Signore.
è una cosa a volte estenuante. IL conforto è però rappresentato dall’avere un sentiero da seguire, dal sentirmi comunque protetto dalla fede.
Questa è la via che preferisco, perché la trovo meno “equivocabile” e di più semplice ed immediata applicazione.
Ho provato anche io sulla mia pelle la metafora dell’equilibrista e capisco benissimo anche cosa intende Daniela.
Ma (e parlo sempre di esperienza strettamente personale), la trovo per me troppo labile e, soprattutto, poco efficace nei momenti di maggiore tensione e difficoltà.
Maurizio
Credo che ognuno, in base al periodo della vita che attraversa, si proietti in cangianti metafore fondamentali, anche perchè danno più concretezza e senso di realtà al personaggio e/o alla situazione che in quel momento si vivono. Sono stata anch’io una grande lottatrice, non verso gli altri, ma verso la conquista della vita in generale, per poter vivere il quotidiano possibilmente com’era conveniente e in base ai miei desiderata. E’ stata dura! ed è stato duro soprattutto constatare/subire ripetute sconfitte a fronte dei notevoli investimenti : affettivi, di energia, di entusiasmo, di fede, di…
La vita mi ha condotta dove voleva lei, e nonostante io abbia raccolto la sfida di giocare con lei in una comune danza, nell’illusione/fiducia di una reciproca/complice azione,tendenzialmente, ho dovuto solo seguirla!
Ho accettato, non potevo far diversamente, ma non ho subito!
Con questo spirito, e in questa fase, ho iniziato il lavoro DP!
Ora mi sento un’importante opera d’arte, forgiata dalLo Spirito! Sento che la pesante impronta di un tempo, della vita , è quasi inesistente e sicuramente ininfluente!
Attendo/ascolto in me l’intervento del Grande Artista : espongo tutta me stessa e, partendo da me e sulla base di Ciò che secondo Lui è giusto, Si compie la Sua Opera!
“Creata” continuamente e in tutti gli ambiti/relazioni, così io ora procedo e finalmente sono io che traccio la (mia) Vita!
Un abbraccio Maria Rosaria
Ciao Marco! Sono contenta che la mia esperienza possa servire da specchio per la tua; da parte mia, sono sempre felice ogni volta che sento di non essere sola dentro lo scuotimento delle emozioni.
Dal tuo commento, Rosella, mi sono resa conto di non essermi spiegata come avrei voluto. La foto che ho scelto mi è piaciuta perché non l’ho letta nel senso della lotta, ma nel senso di un movimento di danza coordinato tra due persone che mi richiamava l’immagine delle arti marziali cui ho fatto riferimento nel post, in termini di acconsentire/collaborare piuttosto che di contrapporre.
Inoltre, per metafora radice non intendo l’ingiunzione fondamentale di cui parliamo nei gruppi dP. Mi riferisco invece all’immagine con cui leggiamo la vita nel suo complesso, che appunto non è l’ingiunzione fondamentale anche se certamente non può non richiamarla per derivazione.
La diversità è una precisa ricchezza della Vita: anche noi che ci riconosciamo viaggiatori in una stessa direzione, sappiamo di procedere, ognuno, per la sua personalissima strada.
Grazie Giuliana per la citazione di Enzo Bianchi.
Davvero un bel gioco, carissima Antonietta, e come sottolinei tu, un gioco di squadra.
Anch’io ogni tanto mi rivolgo alla metafora del funambolo, equilibrista preciso che sa porre il piede esattamente sul filo sottile. Ammetto però che più spesso mi sento Tombolo Dondolo! E come Maurizio cerco ancora altro. Allora mi viene alla mente l’immagine del contorsionista e vorrei tanto arrivare alla sua sinuosità per schivare i fili di zizzania e affidarmi soltanto agli steli del grano buono.
Se solo fossimo in grado di guardarci vicendevolmente con la passione dell’artista che sa riconoscere in sé come nell’altro la sorgente spirituale della creatività: grazie Maria Rosaria!
iside
Cambiare metafora nell’interpretare la vita che viviamo è importante.
A me piace , specialmente ora che ho già un’età avanzata, quella del fiume che scorre, scorre inevitabilmente, ma sereno, verso la foce. Mi aiuta a conciliarmi con il pensiero del continuo e inevitabile cambiamento e della morte che sarà l’ affacciarsi su un altro impensabile orizzonte. Abbandonarsi alla corrente con lucidità e vigilanza resta in certi momenti il mio ideale.
Per me più che una lotta è una fatica (che poi forse è lo stesso) vedo sempre tutto in salita con un senso del dovere estenuante! Diciamo che ho fatto passi da gigante, la salita sta diventando pianeggiante. Darsi Pace mi ha insegnato che non è necessario faticare e soffrire per avere riconoscimento e amore, ma soprattutto mi ha illuminato…..a volte dipende da come ci poniamo di fronte alle situazioni della nostra vita e il gioco è scoprire la bellezza la novità nascosta in ogni cosa.
Che bella l’idea di Maria Rosaria di sentirsi un’opera d’arte nelle mani dello Spirito! Quando mi abbandono sento molto questa metafora.
Un caro saluto a tutti Gabriella
Cara Iside,
tu ti sei spiegata molto bene nel tuo post, ed ancor meglio hai chiarito nel rispondermi sono io che fatico ad esporre semplicemente il senso delle parole che uso.
Il fatto è che per me l’integrità è “una perfetta PURA coincidenza” e la mia ingiunzione fondamentale NON MUOVERTI è esattamente il luogo della mia purificazione, perchè possa essere risorta: la stessa eppur diversa (immobile nella gioia del fare quotidiano), esattamente dove sono; proprio lì o qui, dove la Vita o il caso mi hanno posto per grazia e stante i miei limiti..
E’ vero la nostra diversità è sempre una ricchezza, al prossimo post ci riprovo a corrispondere, grata per le parole che mi hai rivolto, e tu continua a portare pazienza con me.
Un caro abbraccio
Rosella
In effetti, Gabriella, ci sono molte salite ma ciò vorrà pur dire che ci saranno anche delle discese ;-)! Uno slalom gigante giù per la montagna!
Ciao Rosella! Siamo belli così, nelle nostre diverse sensibilità!
iside