Mentre politica, giornali e tv sono sempre più ossessionati dalla mancanza di crescita economica, un pensiero diverso si sta diffondendo nel sottobosco mediatico: l’idea che sia necessario ripensare la nostra società non in termini di crescita, ma di decrescita. Ho iniziato a leggere qualcosa sull’argomento un paio di anni fa, e mi piacerebbe condividere con voi alcune idee alla base di questo pensiero e alcune mie riflessioni.
Il maggior teorico della decrescita, l’economista-filosofo francese Serge Latouche, teorizza da anni il passaggio verso una società più sostenibile, attraverso una riduzione volontaria e controllata della produzione e dei consumi. Solo la scienza economica sembra oggi non riconoscere il senso del limite insito nel nostro ecosistema terrestre, dice Latouche. Le risorse sono limitate e devono servire per tutta l’umanità, quindi perseguire ciecamente una crescita sregolata e fine a se stessa è un paradosso che ci porta all’autodistruzione.
La riduzione della produzione e dei consumi per l’economia classica è uno spauracchio terribile, un gorgo di recessione e disoccupazione, ed è in parte quello a cui stiamo assistendo in Italia e in altri paesi occidentali da almeno un decennio. Per i sostenitori della decrescita, invece, solo un’uscita programmata e controllata dalla società dei consumi potrà evitarci gli effetti sempre più rovinosi della crisi attuale e consentirci di costruire una società nuova, alternativa, di prosperità senza crescita, o di abbondanza frugale, come la chiama Latouche.
L’economia non deve più essere finalizzata a se stessa, ma alla soddisfazione dei bisogni delle persone e, si potrebbe dire, spingendosi un po’ in avanti, alla loro felicità. Quindi meno beni tangibili, meno scambi monetari e finanziari, produzioni ecologicamente sostenibili, e più beni relazionali, di scambio e di dono. Il saldo finale sarebbe più che positivo per le nostre vite.
La decrescita non è quindi da confondere con la crisi economica, ma è uno slogan provocatorio per indicare la necessità di studiare concreti progetti di svolta proprio per uscire dalla crisi e dal tipo di società che l’ha creata. Questa svolta è orientata decisamente verso un nuovo paradigma economico, che rimetta al centro le persone e loro relazioni, l’uomo e il rispetto della natura. Non più l’economia come religione incontrastata della nostra vita sociale, ma un’economia in funzione di una vita sociale più umana.
Questo salto però non può avvenire senza un radicale cambio di mentalità, che Latouche sintetizza in un’espressione molto efficace: “decolonizzare l’immaginario“.
Le nostre menti, i nostri desideri sono un ambitissimo territorio di conquista, sono invasi senza tregua da ogni forma di pubblicità, ed è proprio questa a rappresentare, insieme al credito e all’obsolescenza programmata degli oggetti, il pilastro che tiene in vita la nostra attuale società dei consumi di massa. Occorre quindi una conversione culturale che destrutturi i nostri pensieri e, di riflesso, azioni e comportamenti.
Tradurre in pratica la teoria della decrescita mostra subito, però, quanto le cose siano complicate. Le ripercussioni sociali di un simile passaggio possono essere pesanti nel breve e medio periodo. Inoltre è molto difficile concepire proposte e forze politiche in grado di rendere sostenibile, anche dal punto di vista elettorale, un simile programma nel tempo. La critica sociale è giusta, dicono i detrattori, ma manca la concretezza politica e storica. In fondo si tratta di un’utopia, e tradurre un’utopia in realtà può diventare una catastrofe, come la storia spesso ci ha insegnato.
Tuttavia esistono già molti progetti locali di decrescita, anche in Italia: esempi di autoproduzione alimentare, autolimitazione nei consumi e riciclo, riduzione dell’uso del denaro e creazione di relazioni di scambio. Tutti esempi che si diffondono dal basso, creano movimenti e associazioni, e si mettono in rete, sul territorio e sul web. La decrescita, come dice Latouche, non è infatti un modello unico e rigido, ma una matrice di alternative tutte da inventare e realizzare. La prospettiva è rivoluzionaria, ma la strada per arrivarci è assolutamente riformista e aperta alla creatività.
Mi sembra che i punti di contatto con quella “trasformazione del mondo” che troviamo nello slogan di Darsi Pace siano numerosi. Ma forse manca ancora qualche tassello.
Mentre cercavo di capire meglio questo pensiero, mi è sembrato di percepire un possibile fraintendimento: che il passaggio ad un’economia diversa possa essere di per sé garanzia di relazioni interpersonali migliori, di maggiore libertà, di una vita più felice. È un vecchio equivoco che la storia del secolo scorso ha tragicamente smentito e la cui lezione non possiamo dimenticare.
Inoltre l’attenzione è rivolta soprattutto ai singoli progetti concreti, alle possibili proposte politiche, ma non si parla molto di come dobbiamo cambiare noi individui per pensare queste proposte e realizzarle. Sia che siamo semplici consumatori di fronte alle nostre scelte di acquisto, sia che abbiamo il potere di articolare vere e proprie politiche nazionali. È un dettaglio irrilevante? Credo di no.
Resistere agli stili di consumo che abbiamo intorno e creare qualcosa di nuovo richiede motivazione, forza interiore e visione. Che non vengono dall’esterno e che non vengono una volta per tutte. Queste qualità o sensibilità vanno alimentate ogni giorno ad una fonte viva, fresca e credibile. Una fonte che non abbia niente a che fare con il nostro ego, potremmo dire noi, neanche con le sue varianti ecologiche o rivoluzionarie.
Come si fa allora a tradurre nella pratica personale e politica questa bella utopia? Da dove si comincia? Dove si trova la forza?
Al termine di una conferenza che Latouche ha tenuto in Italia un paio d’anni fa, una persona del pubblico ha fatto proprio queste domande. La risposta dell’economista è stata generica e un po’ pessimista, ai miei occhi insoddisfacente.
Forse perché la scienza economica, anche nelle sue proposte più alternative e illuminate, da sola non basta più.
Mi sembra che un tassello mancante sia proprio il fatto che abbiamo bisogno di ritrovare integrità psicologica, spirituale e relazionale per rendere le nostre azioni più efficaci. La forza per agire positivamente sul mondo, a qualsiasi livello, viene da un’integrità individuale che pochi ancora ci insegnano a coltivare. In questa prospettiva le pratiche concrete di vita interiore, come la meditazione e la preghiera, assumono un valore che va ben oltre a quello individuale. Possono darci forza e creatività per cambiare in meglio il nostro mondo, quello piccolo e, insieme agli altri, magari anche quello grande.
Ho letto con piacere questo interessante post, con vari passaggi molto lucidi e che mi indurrano a ritornarvi per riletture, riflessioni e meditazione-interiorizzazione. Si’, come si scritto con molta chiarezza, quanto e’ critico il passaggio da grandi-ispiranti-nobili affermazioni di principio (o revisione dei principi) alla riposta della domanda “e quindi cosa devo fare, ADESSO? E quindi, in cosa si fa materia e atto di vita, per me, la decrescita, o l’abbondanza frugale?”
C’e’ un’area estesa e profonda del mio spirito che mi pare vada in cortocircuito nel tentativo di una risposta immediata (e quindi…rassegnarmi a uno spazio mio e famigliare soffocato/cante? E quindi… Dire no allo sperato prossimo aumento di stipendio?E quindi… Sacrificare una passione gia’ liofilizzata nei tempi minimi di liberta’, passione inutile ma portatrice per me di profondi soffi di gioia di essere, che sacrificata libererebbe quel quanto di tempo e di “euri” ( per fare cos’altro? Qualcosa che mi dia piu’ o meno gioia?) che pur mi arrivano da quest’ economia tiranna? E quindi, rilassare l’impegno per provare a fondare un futuro per mia figlia che possa aprirsi a qualche opportunita’ di istruzione/formazione/impresa?…Eccetera, eccetera eccetera…
E’ ora di uscire – scrivendo questo post, mi sto attardando rispetto al ‘doveroso’ orario di inizio del lavoro- lascero’ respirare a lungo nel tempo e nell’anima tante domande e suggestioni che questa lettura, per me molto attuale, induce.
Un ringraziamento e un saluto
Alfredo
Mi piace l’idea di decrescita e di abbondanza frugale.
Nel mio piccolo, anche se non sono mai stata una fan dell’oggettistica, ho notato che man mano che approfondisco il discorso sulla dimensione spirituale della vita, le cose mi interessano sempre meno, mentre aumenta la mia fame di relazioni sensate. Così sto diventando sempre più esigente sulle relazioni che stabilisco, su ciò che desidero condividere, su quali livelli di condivisione mi piacerebbe raggiungere. Invece per quel che riguarda gli oggetti sono abbastanza ridotta all’osso per non parlare di quelli tecnologici. Infatti, mi attiro i commenti sarcastici dei colleghi che non riescono proprio a capire come io possa vivere senza uno smart-phone, senza what’s up, ecc ecc.
Per quanto mi riguarda, sto cercando di discriminare ciò che ha un valore di crescita personale-relazionale da ciò che non ce l’ha, smascherando come illusione la potenza che deriva dal possedere le cose. Il marketing fa leva sui nostri bisogni fondamentali, il vigilare evangelico è la “virtù” per non cadere nell’equivoco di scambiare per appagamento del desiderio ciò che è soltanto l’illusione di un godimento mai colmabile.
A me serve riportare, ogni volta che mi distraggo, l’attenzione su ciò che mi appassiona veramente, dando ascolto al desiderio che viene dallo Spirito.
iside
Grazie, Antonietta, per aver portato la nostra attenzione sul tema della decrescita felice, come alternativa al consumismo ansiogeno di cui siamo vittime forse un po’ tutti.
Io, proprio i questo periodo ho letto un libro di Maurizio Pallante, sostenitore anch’esso di una economia alternativa a quella dominante, si intitola “ Monasteri del terzo millennio” dove porta l’attenzione anche sull’aspetto per così dire spirituale di una nuova economia. Perché, come sostieni anche tu, saranno anche gli educatori, i formatori, gli uomini di preghiera che cambieranno il mondo.
Dunque M. Pallante nel libro sopracitato sostiene che ” la vita monastica, che ha rappresentato per secoli uno dei modelli vincenti di utilizzazione delle risorse e di aggregazione sociale, ritrova i questo momento storico la sua attualità: l’organizzazione comunitaria , il rapporto tra la dimensione del lavoro e la dimensione spirituale degli antichi monasteri possono offrire indicazioni importanti per la rivoluzione dolce di cui c’è oggi bisogno.”
Grazie a tutti quanti, “in primis” ad Antonietta che dopo il recente “tourbillion” consumistico delle feste cosiddette “natalizie” (almeno nel nome, anche se già ci sono segnali di cambio linguistico) ci stimola a riflettere sul modello di sviluppo-e di consumo- in cui siamo immersi, ormai percepito da molti come insostenibile, sia a livello individuale che comunitario e planetario.
Quel desiderio che “viene dallo Spirito” (per dirla con Iside) sta lavorando parecchio anche dentro di me che mi ritrovo sempre più insofferente di fronte alla enorme quantità di cose che ci circondano (spesso inutili e superflue) e che ci prosciugano un mare di energia nella fatica quotidiana di occuparci di loro (a scapito a volte delle persone).
Sono sempre più protesa a ‘levare’ piuttosto che ad ‘aggiungere’ e ho sempre più bisogno di tempo…per leggere, scrivere, ascoltare musica, disegnare, meditare, frequentare persone con cui ho uno scambio autentico!
Sono contenta di avvertire questo bisogno anche da parte vostra e di poterlo condividere con voi, ciao, mcarla
Desiderare e consumare sempre di più sono un qualcosa verso cui veniamo dolcemente costretti fin dalla nascita, per cui provare a ridurre e orientare meglio i nostri acquisti non è affatto semplice.
A me questa cosa a volte dà anche un po’ di angoscia. Ma se in questo momento non mi serve niente… allora cosa faccio? Sto rattrappendo la mia vita, mi sto privando di qualcosa mentre tutti gli altri ce l’hanno?
Lo stesso nome “decrescita” non aiuta, e questo anche Marco Guzzi l’ha detto in alcune occasioni. Dà l’idea di una privazione, mentre nessuno di noi vuole diminuire, la vita vuole sempre crescere, espandersi, anche attraverso le cose che usiamo.
Paradossalmente però, e lo vediamo man mano che le nostre case si riempiono di oggetti, proprio questo accumulo ci rende sempre meno liberi, come ha espresso bene Maria Carla.
Andando avanti con il lavoro di Darsi Pace anche a me sembra che l’alleggerimento e la semplificazione diventino più naturali, e siano più un fiorire, un crescere, che un privarsi di qualcosa.
Credo comunque che sia importante anche studiare pensieri economici diversi da quello dominante, che ci sta schiacciando, e, parallelamente, essere consapevoli del potere, piccolo ma reale, che abbiamo in mano come consumatori. Senza forzature ideologiche, ma con la convinzione che macro e micro si possono alimentare a vicenda, come anche l’esperienza di Darsi Pace ci insegna.
Ciao
Antonietta
Ciao Antonietta
Ieri sera con Roberta,mia moglie,ci siamo messi a fare un bilancino dell’ultimo mese.in 35 giorni .entrate 3300 e perdite 4750.(vabbè che c’erano le feste di mezzo ma mi reputo abbastanza oculato essendo come te un bravo capricorno).ho pensato al tuo post e alla parola decrescita che da buon italiano percepisco solo come un costo della vita meno caro.
Comunque non mi piace il termine decrescita che è poi poco evangelico;infatti quel gran economo che è Gesù mai parlava di trattenersi dall'”investire” e dall'”intrapprendere” e aveva parole durissime per chi non si esponeva al rischio.Infatti come ci ripete Marco parla sempre di un sovrappiù.
Ora qui il rischio è certamente serio( il clima ,le fonti energetiche che ci dicono scarseggiare,la nostra psiche…che sballa)e bisognerebbe anche capire fin quanto serio…infatti allo stesso tempo ho l’impressione che dietro queste formule(la decrescita)ci sia sempre lo stesso sistema che ha cavalcato la crescita selvaggia(infatti a lato pratico come dici tu fanno fatica a dirci come intervenire).se propio devo scegliere mi piace di più lo slogan”piccolo e’ bello”che era poi il titolo del libro di Schumacher uscito negli anni 70.forse anche in ambito economico la vera crescita sarà possibile in piccole comunità empatiche in un mondo globalizzato che per ora di empatico ha veramente poco
Davide C.da C.
Ciao Davide,
Il libro di Schumacher che hai citato è importante perché questo economista-filosofo è uno degli autori di riferimento del movimento della decrescita.
Anch’io penso che la parola decrescita possa creare fraintendimenti, però capisco anche la difficoltà di tradurre in un titolo o in uno slogan un pensiero abbastanza articolato.
Per quello che ho capito dalle cose che ho letto, decrescita non vuol dire non investire e non produrre, anzi, ma provare a pensarlo in modo diverso, mettendo al centro la sostenibilità umana e ambientale di quello che si sta facendo. E valorizzando anche tutte quelle forme di scambio materiale e immateriale che non comportano un passaggio di denaro. Sono invisibili per il Pil, ma spesso sono proprio questi scambi e relazioni a rendere più felice la nostra vita.
Come dici tu, le piccole comunità, i piccoli gruppi sono la scala ideale per iniziare a creare questo tipo di rapporti, economici e non. Tutto questo mi sembra molto più evangelico rispetto ai deliri economicisti che ascoltiamo tutti i giorni, ma è vero, la strada è ancora tanto lunga, e non sappiamo neanche se è quella giusta….
Ciao
Antonietta
Cara Antonietta,
la strada è lunga e impervia… almeno quanto vivere la vita.
Nella mia esperienza l’unica cosa che realmente mi ha emancipato dal consumismo, sono stati gli affetti.
Tra chiaroscuri, senso distorto del dovere e del piacere, è stata una lunga, lenta e faticosa crescita, spesso piena di ostacoli, interni ed esterni, che però non mi ha mai fatto perdere la rotta della “relazione”.
Relazioni appaganti non hanno prezzo ed ora mi pare finalmente di coglierne i frutti, proprio come a suo tempo io li ho donati a mia madre, riconoscendo la sua abnegazione ed il suo amore (aveva quasi 80 lei, non mi torna facile la gratitudine).
A mio parere, oltre che lavorare “giustamente” sulle nostre distorsioni è importante anche rendere grazie a coloro che ci hanno dato la vita e che continuano ad amarci, pur tra mille difficoltà e limiti.
Senza custodire il cuore della vita, lo spirito d’amore che fa nuove tutte le cose, qualsivoglia progetto tecnico, fallisce.
Ho apprezzato molto il tuo post, anche se può sembrare che non lo abbia letto.
Ti abbraccio con affetto
Rosella
Grazie Rosella,
Forse hai centrato proprio il cuore del problema. Se il nostro centro è al posto giusto, se il cuore si fa abbracciare da relazioni autentiche, profonde, a partire dalla relazione con Dio, allora il resto trova pian piano la giusta collocazione, senza troppi patemi e inutili compensazioni, anche consumistiche. È una lunga strada, certo, ma mi sembra che abbiamo iniziato a percorrerla.
Ciao, un abbraccio
Antonietta
Perché non iniziare a pensare a una comunità ispirata alle idee di una crescita sostenibile e a Darsi pace? Fatemi sapere
Di seguito potete trovare un estratto dell’interessante testo scritto da Aldo Sottofattori (http://www.criticadelleteologieeconomiche.net/il%20cannocchiale%20di%20galileo.pdf) dove in maniera acuta ed intelligente ci svela una “chiave” interpretativa del nostro tempo. Ho trovato questo testo “illuminante”. Buona lettura per chi desidera approfondire. Un caro saluto, Fabio
….Anche lasciando da parte le posizioni retrograde di coloro che vorrebbero sostituire il
motore a scoppio con la trazione dei cavalli e considerando quelle meno
strampalate, le posizioni dei decrescenti non sono posizioni politiche, non si
strutturano in movimenti politici con programmi precisi; si spingono fino a
credere che sia possibile un cambiamento grazie a una decolonizzazione
dell’immaginario collettivo come se le rivoluzioni, i grandi cambiamenti della
base sociale, si manifestassero agendo sulla psicologia delle persone, facendo
prendere loro coscienza affinchè cambino stili di vita. In effetti i decrescenti
pretenderebbero di agire proprio sull’individuo anziché sulle strutture economiche
della società in cui operano.
In secondo luogo le proposte che giungono da questi soggetti costituiscono
un insieme disorganico di indicazioni spesso contraddittorie che non collimano le
une con le altre. Si tratta semplicemente di una lista di titoli buttati giù alla rinfusa
che funzionano nella testa dei loro proponenti, giacché, non potendo essere
applicati nel mondo reale, mantengono l’appeal delle cose buone e giuste.
Infine la visione dei decrescenti si presenta come un’insieme di
trasformazioni dal basso. Ora, se una realtà strutturata come il mondo attuale
collassa, di sicuro tutto ritorna “verso il basso” e verso i territori i quali si
ridurrebbero a luoghi ad alta conflittualità di straccioni senza prospettive né legge
nello sprofondamento in un nuovo evo oscuro. Altro che farsi lo yoghurt in casa
anziché comprarlo al supermercato! Se invece il sistema globale regge (finché
regge), allora il decrescente può farsi lo yoghurt in casa ma di certo la
maggioranza non seguirà le sue fantasie. I neomarxisti hanno ragione a pensare
che senza una politica di pianificazione da parte di strutture statali che
nazionalizzino la disponibilità globale delle risorse – soprattutto strategiche – e ne
indirizzino le destinazioni accompagnando la trasformazione (però quale
trasformazione? questo, come vedremo, è un altro paio di maniche…) parlare di
decrescita è semplicemente un atto demenziale. Del resto non occorre molto
acume per comprendere cose semplici. Come si è visto in precedenza, un
“territorio” avrà ben le sue risorse, ma dipende fondamentalmente dalle risorse
che derivano dall’esterno. Prova a pensare a quante cose – pur considerando una
economia austera quanto si vuole – dovrebbero provenire dall’esterno. E pensa ai
rifiuti che dovrebbero essere stoccati nel territorio stesso! Non solo. Pensa alle
città d’Italia e alle megalopoli e del mondo. Per i grandi agglomerati urbani le
ricette dei decrescenti non funzionerebbero mai e perciò le popolazioni delle
grandi città dovrebbero essere ricollocate nei piccoli centri. Strana proposta in una
fase storica in cui le popolazioni mondiali tendono ad urbanizzarsi. In Italia cosa
accadrebbe? Anche nell’ipotesi assurda di un accordo tra i 60 milioni di soggetti
sulle politiche da intraprendere, la loro distribuzione nelle campagne
trasformerebbe i piccoli centri in centri di dimensione media e gli spazi sarebbero
tutti occupati con effetti pesanti sulla biocapacità dei territori. Insomma, cara
amica, i decrescenti non sanno di cosa parlano e i loro critici di sinistra hanno
tutte le ragioni per scorgere in loro la natura di piccoli bottegai di paese animati
da vacue aspirazioni piccolo-borghesi…….
Personalmente non conosco le basi teoriche del pensiero della decrescita. Mi limito a guardare il mondo in cui vivo. L’umanità ha fatto certamente dei grandi passi in avanti grazie all’avanzamento scientifico e alle applicazioni tecnologiche e l’economia si è strutturata intorno ai conseguenti vantaggi. Tuttavia mi pare che siamo preda di grandi fraintendimenti che, a mio avviso, abbiamo bisogno di prendere sul serio e di affrontare con precisione. Non credo si tratti di tornare al trasporto con i cavalli: occorre saper apprezzare gli avanzamenti del progresso, ma quelli che realmente hanno un impatto positivo sulle nostre vite. Intanto stiamo parlando di un livello economico che finora riguarda una parte del mondo, che ha caratteristiche evidentemente non sostenibili già per noi e che, con l’arrivo di Asia, Africa e America del Sud, lo sarà sempre meno – bene fanno le agenzie spaziali a pensare ai viaggi verso Marte: una colonia da quelle parti potrebbe tornarci utile!
Le grandi multinazionali che, insieme ai grandi imperi della finanza, tirano le fila delle nostre vite volendoci consumatori compulsivi e quindi docili acquirenti, spendono miliardi in marketing per intrappolare le nostre menti, segno che la psicologia ha un grande peso nei loro bilanci. A me pare che i reali cambiamenti possano avvenire soltanto a partire dal basso e dalle menti e dai cuori di persone che piano piano prendono coscienza della vera libertà di cui sono costituite. Certo viviamo in società strutturate, ma queste strutture, in regini democratici, si possono cambiare attraverso un confronto politico serio che sappia ascoltare le istanze portate dalle persone che vivono sulla loro pelle le conseguenze delle strutture in cui sono inserite. Le strutture sociali non sbucano dal nulla, ma dalle scelte possibili. Del resto, dai vertici, per loro semplice iniziativa, non potrà venire nessun cambiamento perché chi occupa posizioni di potere non ha nessun interesse a cambiare ciò che gli produce quel potere.
Mi pare, poi, che abbiamo bisogno di pensare ad un nuovo equilibrio tra locale e globale. La globalizzazione ci procura molti vantaggi sul piano delle comunicazioni, degli scambi culturali, della possibilità di cooperazioni internazionali, ma poi sfociamo in scelte deliranti: francamente non mi pare un gran guadagno al mio ed altrui stile di vita quello di avere le pere dell’Argentina nei supermercati vicino a casa mia, piuttosto che mangiare un biscotto con la farina africana, il cioccolato brasiliano, impastato in Olanda, confezionato in Veneto con un dispendio energetico incalcolabile, tanto che appunto non è proprio calcolato. Il 20% del cibo viene sprecato perché il packaging non consente di raggiungere tutto il prodotto confezionato. Forse decrescita non è il termine più corretto, magari si potrebbe andare su termini più tradizionali come moderazione, parsimonia ma anche più semplicemente e radicalmente intelligenza e furbizia nel saper discriminare tra ciò che veramente ci aiuta a vivere da ciò che invece ci illude che la scelta tra Pespi e Cola sia a fondamento delle nostre giornate.
iside
Provo a rispondere al commento anonimo e a quello di Fabio.
Riguardo all’idea di una comunità per coniugare crescita sostenibile e Darsi Pace io credo che i punti di contatto ci possano essere, magari si potrebbe provare a presentare il nostro itinerario proprio a chi già frequenta associazioni di questo tipo. Forse potrebbe venir fuori un dialogo interessante.
Riguardo al commento di Fabio: mi sono presa il tempo per leggere il documento di cui ci hai riportato un estratto.
La critica alle varie teorie (o teologie, come le chiama l’autore) economiche è radicale e spiazzante ma, come hai scritto tu, illuminante.
Sorvolo invece sulle proposte concrete dell’autore, che mi lasciano come minimo perplessa.
In quest’ottica apocalittica (ma tutt’altro che assurda) parlare di decrescita è solo una perdita di tempo (prezioso).
Però se si scava a fondo, circa la reale portata del problema economico, o di altri che riguardano l’essere umano su questa terra, mi sembra che la questione diventi ancora più radicale, e arrivi inevitabilmente alle domande ultime: chi siamo e perché siamo qui?
Vecchie domande davanti alle quali la nostra intelligenza si perde e può solo chiedere aiuto, se vuole, ad altre Voci, o Speranze o Promesse.
Ciao
Antonietta
Cara Antonietta,
grazie per avere letto con attenzione il documento che ti ho (vi ho) indicato.
Come al solito, forse, il segreto per rendere questo mondo migliore e permettere a tutti gli esseri viventi di restare in armonia su questo unico pianeta comune, è quello di “perdersi”. Ciò significa rivolgere le proprie energie non verso se stessi (in maniera centripeta) ma verso gli altri, verso l’alterità che travalica anche i limiti di specie (in maniera “centrifuga”). Solo così, dimenticandosi, possiamo veramente affacciarci a qualcosa di nuovo trovando la nostra vera Natura (sia spirituale che materiale). Per chi desiderasse approfondire questa tematica con l’aiuto di Marco Guzzi, potete ascoltare l’intervista che mi ha gentilmente concesso a questo indirizzo: http://www.radiohinterland.com/?q=node/12428 . Buon ascolto! Un fraterno abbraccio, Fabio
Grazie Fabio per il link all’intervista a Marco Guzzi.
La cura per il creato e per le sue forme di vita è un tema importante, da cui dovrebbe partire qualsiasi discorso economico, per cui ti ringrazio per gli stimoli che ci hai dato.
Ciao
Antonietta