Cattiva, invidiosa, superba: no, io non sono così. Eppure… gli esercizi dei primi due anni dell’Approfondimento mi hanno fatto vedere qualcosa di diverso.
La distruttività che demonizzo negli altri si trova anche a casa mia. Il mio modo di viverla non è eclatante, non è apertamente violento, ma dentro, quanto è potente, quanto mi scardina e mi consuma?
Il successo di qualcuno che stimo dovrebbe rendermi felice, ma allora perché tutto questo disagio? Perché vorrei anch’io quella stessa cosa, ma non ho il coraggio di dirmelo? Perché non potendo averla, desidero che anche l’altro ne senta la mancanza?
Ricevo un torto, ma non reagisco in maniera aggressiva. Poi capita l’occasione giusta e scelgo freddamente di non fare quello che potrei per recuperare quella relazione. La mia piccola vendetta personale si consuma con un silenzio, con una mano negata, con una distrazione voluta. Niente di drammatico, oppure no?
L’abisso dei sentimenti distruttivi agisce anche dentro di me: è una palude invisibile ma quotidiana. Proprio questo è il problema. Non sentire più la distruttività del male, del mio personale modo di fare il male, di farlo a me, di farlo agli altri. Perché questi peccati (se vogliamo usare il linguaggio della Chiesa) non sono solo una faccenda mia personale.
“Togli il mio peccato dal mondo“, chiedo tutti i giorni nella preghiera dei Figli di Dio. Come se il mio odio ben truccato e la mia superbia travestita da innocenza potessero nuocere al mondo intero, all’universo. E se fosse proprio così?
Io non voglio più reprimere le mie emozioni istintive. Non voglio e non posso più fingere che non ci siano. Ma che cosa ne faccio allora? Le guardo negli occhi e le chiamo per nome. Le prendo per mano e ci parlo un po’.
” Chi sei? Come ti chiami?
Perché sei arrabbiata?
Perché ti vuoi vendicare?
Dai, parliamo un po’…
Che cosa stai cercando di dirmi?
Cos’è che ti manca così tanto? “
Sotto la luce del pensiero cosciente, le emozioni parlano e assumono contorni più precisi. Se poi accettiamo il percorso che noi cristiani chiamiamo “perdono”, questa distruttività può anche cambiare segno e forma, può ricevere scioglimento e liberazione dalle mani amorevoli di un Altro.
E allora i miei lati cattivi, captivi, cioè prigionieri, hanno meno paura di venire scoperti, si fanno coraggio e vengono fuori, per essere liberati dalle loro antiche catene.
Grazie Antonietta per questi pensieri condivisi con precisione, brevità e chiarezza.
Mi hanno aiutato a rientrare in me stesso, a pormi qualche …domandina, e ad ascoltare qualche …rispostina.
Corrado
Cara Antonietta, buona continuazione nel cammino di autoconsapevoleza. È segno di umiltà riconoscere i propri limiti e fragilità, ma è segno di umiltà anche riconoscere i lati positivi che ci sono in noi per meglio lodare e ringraziare il Signore che opera nella nostra vita. Buon cammino.
Sì, cara Antonietta, la perlustrazione delle nostre emozioni negative e il ” dialogo ” con loro ci aiuta a liberarcene per un po’ e il lavoro diventa continuo….senza però inutili e tormentosi sensi di colpa! Buon lavoro su sé stessi a tutti! Mariapia
Noi dobbiamo vivere in armonia con le leggi della natura, altrimenti soffriamo, la sofferenza è il segnale che ci avvisa del nostro errore.
Alcune di queste leggi le conosciamo bene, siamo consci delle conseguenze negative e viviamo cercando di armonizzarci con loro.
Ad esempio per uscire di casa scendiamo per le scale, non passiamo dalla finestra, perché siamo ben consapevoli delle conseguenze negative del nostro violare la legge di gravità.
Però non siamo altrettanto consapevoli di altre leggi che se non rispettate ci fanno soffrire.
Come il giudizio malevolo verso gli altri che ci separa dolorosamente da loro e si ritorce contro di noi.
Il cammino di Darsi Pace ce lo insegna, il tuo post così sincero ce lo ricorda.
Pian piano impareremo, imparerò.
Un caro saluto
Mi si accende sempre ‘una lampadina’ quando la parola CATTIVI risale al suo significato originario per diventare CAPTIVI/PRIGIONIERI…prigionieri della propria negatività, distruttività, risentimenti e rancori. E allora m’ invade un senso di pena verso me stessa e verso coloro che ne sono vittime. Non so ancora se si tratta di perdono…forse è solo un primo passo.
maria carla
Una ferita ci segna e insegna, se impariamo a guardarla e ad attraversarla.
La tua riflessione, cara Antonietta, descrive un passaggio difficile e faticoso del cammino di liberazione: il riconoscimento della distruttività che ci abita.
Siamo cattivi/captivi, ma nelle mani amorevoli di un Altro, venuto a curare i malati, possiamo sperimentare la Luce risanante che sfonda gli abissi della nostra carne.
Grazie e un abbraccio.
Giuliana
Potremmo vedere le nostre parti distruttive come una malattia subdola, silente, c’è ma non ne siamo consapevoli sentiamo magari qualche sintomo, stanchezza, irritabilità ma li attribuiamo al nostro stile di vita alle relazioni, questo male però ci logora internamente.
Il riconoscimento della sua esistenza è il solo presupposto per la guarigione: solo quando capisco di essere malata inizio a curarmi, curandomi recupero una gran parte di energie che la malattia stava sottraendomi e mi rendo conto che forse mi stavo abituando a stare un po’ male, il male stava diventando la mia normalità.
Il riconoscimento e lo smascheramento delle nostre parti distruttive funziona un po’ così e pensando al nostro processo di guarigione non è più così penoso incontrarle e dialogarci, in fondo sono parti che chiedono la nostra cura e la nostra attenzione.
Grazie Antonietta, per la bella e precisa riflessione al termine del nostro approfondimento sul perdono!
Un caro saluto
Daniela
Adesso che inizio ad essere un po’ più addentro alle dinamiche di DP, vengo presa da un sentimento di tenerezza per tutti noi, esseri umani, che trasformiamo in aggressività le nostre paure. Cercare di entrare un po’ più in contatto con le angosce che mi atterriscono e con gli automatismi violenti, anche di violenza sottile, mi fa iniziare ad essere un po’ più incline a quello sguardo misericordioso verso gli altri che chiedo per me.
È un intreccio difficile ma affascinante e, anche se a brevi sprazzi, inizio adesso ad apprezzare la bellezza di un tale cammino, quando riesco a mettere il naso fuori dal mio guscio giudicante e aprire uno spiraglio a quella dimensione di libertà dello Spirito di cui siamo impastati.
iside
Vedere meglio le parti meno carine di sé non è piacevole, all’inizio, ma è liberatorio. Poi pian piano si diventa meno preoccupati, e serenamente consapevoli che questo lavoro è necessario e non per forza gravoso.
Almeno a me è successo così. E il “perdono” da concetto astratto e clericale sta diventando una cosa concreta e fattiva.
Un augurio di buon cammino a chi ha appena iniziato gli intensivi dell’Approfondimento 1 e anche a tutti noi che il prossimo mese entreremo nell’Approfondimento 2.
Ciao
Antonietta