Riceviamo ogni giorno notizie di tragedie, di sofferenze collettive, provocate soprattutto dagli uomini, di guerre, di violenze e di odio e leggiamo e ascoltiamo parole, discorsi di commento molti, troppi, alcuni disorientanti, superficiali, insulsi, vanamente ripetitivi, che non aggiungono nulla alla comprensione dei fatti. Se siamo cristiani convinti sappiamo rivolgerci a fonti più autorevoli che ci spingono a cambiare atteggiamenti, a prendere decisioni nuove in questo tempo di rivolgimenti antropologici?
Vi faccio una proposta: leggete, possibilmente in atteggiamento meditativo, il testo che vi trascrivo. A me ha fatto bene, mi ha ricordato che si può crescere nell’Amore, anche in quello che sembra impossibile.
E’ il testamento spirituale di frére Christian de Chergé, priore del monastero cistercense di Tibhhre in Algeria:
“Se mi capitasse un giorno (e potrebbe essere oggi) di essere vittima del terrorismo che sembra voler coinvolgere ora tutti gli stranieri che vivono in Algeria, vorrei che la mia comunità, la mia chiesa, la mia famiglia, si ricordassero che la mia vita era donata a Dio e a questo paese. Che essi accettassero che l’unico Padrone di ogni vita non potrebbe essere estraneo a questa dipartita brutale. Che pregassero per me: come potrei essere degno di una tale offerta? Che sapessero associare questa morte a tante altre, egualmente violente, lasciate nell’indifferenza dell’anonimato.
“ La mia vita non ha più valore di un’altra. Non ne ha neanche meno. In ogni caso non ha l’innocenza dell’infanzia. Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei mie fratelli in umanità, e nel tempo stesso di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito.
“Non potrei auspicare una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che amo sia indistintamente accusato del mio assassinio. Sarebbe un prezzo troppo caro per quella che forse chiameranno “ la grazia del martirio” il doverla a un algerino, chiunque egli sia, soprattutto se dice di agire in fedeltà a ciò che crede essere l’islam. So il disprezzo con il quale si è arrivati a circondare gli algerini globalmente presi. So anche le caricature dell’Islam che un certo islamismo incoraggia. E’ troppo facile mettersi a posto la coscienza identificando questa via religiosa con gli integralismi dei suoi estremismi.
“L’Algeria e l’Islam, per me, sono un’altra cosa, sono un corpo e un’anima. L’ho proclamato abbastanza, credo, in base a quanto ne ho concretamente ricevuto, ritrovandovi così spesso il filo conduttore dell’evangelo imparato sulle ginocchia di mia madre, la mia primissima chiesa, proprio in Algeria e, già allora, nel rispetto dei credenti musulmani. Evidentemente, la mia morte sembrerà dar ragione a quelli che mi hanno rapidamente trattato da ingenuo o da idealista: “ Dica adesso quello che ne pensa!”
“Ma costoro devono sapere che sarà finalmente liberata la mia più lancinante curiosità. Ecco che potrò, se piace a Dio, immergere il mio sguardo in quello del Padre, per contemplare con lui i suoi figli dell’Islam come lui li vede, totalmente illuminati dalla Gloria di Cristo, frutti della sua passione, investiti del dono dello Spirito, la cui gioia segreta sarà sempre lo stabilire la comunione e il ristabilire la somiglianza, giocando con le differenze.
“Di questa vita perduta, totalmente mia, e totalmente loro, io rendo grazie a Dio che sembra averla voluta tutta intera per quella gioia, attraverso e nonostante tutto. In questo grazie in cui tutto è detto, ormai, della mia vita, includo certamente voi, amici di ieri e di oggi, e voi, amici di qui, accanto a mia madre, alle mie sorelle e ai miei fratelli, e ai loro, centuplo accordato come promesso!
E anche te, amico dell’ultimo minuto, che non avrai saputo quel che facevi. Sì, anche per te voglio questo grazie e questo ad-Dio da te previsto. E che ci sia dato di ritrovarci, ladroni beati, in paradiso, se piace a Dio, Padre nostro, di tutti e due. Amen! Insallah.” Christian
Algeri, 1 dicembre 1993 – Tibhire, 1 gennaio 1994
Il 21 maggio del 1996 l’autore di questo scritto fu trucidato insieme con sei suoi fratelli monaci.
La loro morte è stato il frutto maturo della loro vita, donato all’Algeria e al mondo intero.
In questo caso penso si sia realizzata la preghiera con cui si apre una poesia di Rilke:
“O Signore, concedi a ciascuno la sua morte:
Frutto di quella vita
In cui trovò amore, senso e pena.”
Le sfide che il nostro tempo ci propone possono essere affrontate con coraggio e intelligenza solo se sostenuti da questi esempi! E dalle parole del Vangelo: “Amate i vostri nemici!” ( Matteo,6,12) Ci sembra troppo arduo questo insegnamento? Solo per Santi agli ultimi livelli del paradiso?
Gesù ci dice anche: pregate per i vostri nemici, e la preghiera può a poco a poco trasformarci; intanto ci si può esercitare a pregare per le persone che, se non sono proprio nemiche, ci sono antipatiche e ci mettono in qualche modo in difficoltà. E la persona più antipatica a noi stessi non siamo talvolta proprio noi?
Riconciliamoci dunque, anche a piccoli passi, con noi stessi, con gli altri, supposti amici e nemici. Ritorniamo spesso a guardare al Crocifisso, da cui è salita la prima e la più grande preghiera di perdono: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!” ( Luca 23,34).
Voi cosa ne pensate? Potete proporre alla nostra meditazione e formazione testi significativi come questo? Grazie!
Grazie Maria Pia!
Cito alcuni brani da ‘ Il bene quotidiano’ di Etty Hillesum, nei quali mi pare riecheggino gli spunti su cui riflettere e meditare da te proposti.
(23 settembre 1942)
“E ho ribattuto, con il solito trasporto di sempre, benché cominciassi a sentirmi un po’ noiosa perché arrivo sempre alle stesse conclusioni: è l’unica, klaas, l’unica non vedo altra strada, che ognuno rientri in se stesso e in se stesso sradichi e distrugga ciò per cui pensa di dover distruggere gli altri. E cerchiamo di essere convinti che ogni atomo di odio che aggiungiamo a questo mondo lo rende più inospitale di quel che è già.”
E ancora:
(3 ottobre 1942)
“Non c’è alcun poeta in me, c’è solo un frammento di Dio in me che potrà crescere fino a diventare un poeta. In un campo, bisogna pure che un poeta ci sia, che da poeta viva questa vita, proprio questa, e in futuro la possa cantare. Questa notte, mentre me ne stavo distesa nella mia cuccetta, attorniata da donne e ragazze che russavano sommessamente, sognavano a voce alta o piangevano silenziosamente e si agitavano, le stesse che durAnte il giorno dicevano: ” non vogliamo pensare, non vogliamo sentire, se no diventiamo pazze”, mi trovavo presa, a volte da una tenerezza infinita, rimanevo sveglia e lasciavo che mi passassero davanti i fatti, le tante, troppe impressioni di un giorno sempre troppo lungo, e pensavo: ” lasciate che io possa essere il cuore pensante di questa baracca”. Voglio esserlo di nuovo. Vorrei essere il cuore pensante di un intero campo di concentramento. Sto qui distesa, adesso, così paziente è nuovamente calma, e mi sento già un pochino meglio, non forzatamente ma davvero meglio, leggo le lettere di Rilke ‘Su Dio’, ogni parola è colma di senso per me, se fosse capitato a me di scriverle le avrei scritte proprio così e non avrei voluto scriverle in nessun altro modo-
Sento di nuovo in me la forza di andare, non penso più in termini di progetti e di rischi, vada come vada, comunque sarà bene-
(…)
Si dovrebbe pregare, giorno e notte, per queste migliaia. Senza preghiera non si dovrebbe stare un solo minuto.”
A presto, Lidia
Riconciliarsi con se stessi e con gli altri. Ti ringrazio di avermelo ricordato, lo dimentico così in fretta.
Lo si dimentica e automaticamente si cerca di risolvere le contraddizioni col rancore o con uno scatto rabbioso e tra le nazioni con una guerra.
E’ l’ignoranza della nostra vera natura che provoca questo disastro dentro di me e nel mondo.
La meditazione, la preghiera, quel testo che hai riportato, ci collegano alla nostra vera natura, alla nostra origine.
Lo esprimono le parole di John Main, monaco benedettino:
“L’insegnamento di Gesù ha lo scopo di ridestare in noi la verità del nostro essere, e questo è possibile solo attraverso ciò che l’esperienza diretta della preghiera ci offre.
L’essenza della missione di Gesù non era quella di liberarci dal peccato, ma di liberarci dall’ignoranza della verità per quel che riguarda il nostro vero e autentico essere, ed è precisamente questa ignoranza che causa il peccato.
La redenzione, la salvezza è sapere con tutto il nostro essere chi siamo e da dove veniamo”.
O le parole di Silvano Fausti, sacerdote gesuita:
Facciamo fatica a trovare tempo per la preghiera, mentre è facile trovarlo per le altre cose, ma la preghiera può diventare come il respiro: qualcosa che accompagna tutte le nostre azioni. In ogni nostra azione, in ogni momento della giornata possiamo stare davanti a Dio.
La preghiera semplice dello stare davanti a Dio, con l’atteggiamento di figlio, sapendo che Lui è Padre, l’abbandonarsi con fiducia al Signore e al suo amore per noi, questa preghiera ci costituisce nella nostra vera identità, è il senso della nostra vita, il respiro della nostra vita, ci fa’ vivere una vita tutta sensata. La vera arte della vita è saper pregare, la mia esistenza si gioca nel mio rapporto con Dio, perché è pregando, cioè mettendomi in comunicazione con Lui che scopro di essere amato da Lui e allora posso amarmi e amare gli altri come me stesso.
@ Grazie, Lidia, per la tua attenzione e per averci ricordato la grandezza spirituale di E. Hillesum!
Fa molto bene leggere e rileggere gli scritti di queste persone che hanno vissuto delle situazioni di vita estreme e sono maturate in una eccezionale apertura verso gli altri e verso Dio. Non spaventiamoci troppo delle vicissitudini anche tragiche, possono diventare occasioni per crescere! A questo proposito ricordo anche D. Bonhoeffer, teologo luterano, che fu ucciso dai nazisti dopo circa due anni di carcere. Le sue riflessioni, espresse anche in lettere a familiari e amici, sono di una grande ricchezza. Chissà che qualcuno non faccia qui un post su di lui!
@ Caro Aldo, grazie anche a te, il mezzo migliore per conoscere ed amare noi stessi è la preghiera , è il porsi davanti a Dio, dopo aver pulito e svuotato la nostra mente da tanti pensieri e ansie inutili, con la meditazione , una delle nostre pratiche. Conosco già J. Main, non Silvano Fanti, un gesuita che mi propongo di leggere! Il blog serve anche per questo: conoscere nuovi autori! Mariapia
Sì, concordo con te Mariapia, che il mio primo nemico sono io stessa. Non mi resta, allora, che l’affidamento ad una misericordia che deve per forza essere più grande del mio peccato affinché la promessa di riscatto si possa compiere. Solo sapendomi preceduta da un Amore che non si lascia spaventare da ciò che combino, per quanto terribile possa essere, solo sapendomi nelle braccia calde di un Padre che ha ancora e sempre desiderio di accogliere/perdonare per ritrovare ancora di nuovo ciò che era perduto, solo lì posso avere la forza di tentare di spegnere l’emettitore di giudizi in me, sentirmi un po’ sollevata dalle sue trappole mortali e tentare di aprire qualche fessura che mi insegni a perdonarmi e a perdonare. Perché tutto ciò che noi siamo e facciamo, lo siamo e facciamo per la prima volta, da principianti che devono scoprire cosa significhi essere esseri umani, perciò sappiamo davvero poco di ciò che stiamo facendo.
Grazie per le citazioni di frère Christian e Etty Hillesum.
iside
Com’è meraviglioso credere nella Vita (nonostante l’orrore della morte). AdorarLa senza fine….
Molto intenso il testo che ci proponi, cara Mariapia: la lettera del frate algerino è struggente. La mia prima reazione è di dire che questa è una vetta inarrivabile, tanto vale lasciar perdere. Poi però penso che esiste un filo che collega tante persone nei secoli, come Etty Hillesum e tanti altri sconosciuti. Persone che davanti alla violenza hanno agito (e non reagito), usando lucidità e allo stesso tempo affidamento ad un amore più grande, ad un orizzonte più ampio.
Questa visione chiara del problema unita all’affidamento forse è possibile anche a noi, per le nostre forze, nei piccoli o grandi conflitti che abbiamo vicino a casa, o dentro casa.
Questo certo non toglie la sofferenza ma pacifica il cuore e, speriamo, le nostre azioni.
Ciao
Antonietta
Cari Iside, Giovanni e Antonietta!
Vi ringrazio perché tutti e tre avete riportato in qualche modo il discorso al nostro quotidiano: è lì, nelle sfide di ogni momento che si gioca il nostro eroismo. Sempre da principianti e zoppicanti , impariamo cosa vuol dire far tacere le nostre pretese, liquidare la nostra egoità e abbandonarsi fiduciosi e adoranti alla Salvezza . Lasciamoci fare! Tanti affettuosi auguri ! Mariapia
Bel testo, e aa proposito di visione e chiara del mondo, porgo alla vostra attenzione questo bel testo di Rosa Luxemburg. Buona lettura!
Rosa Luxemburg in una delle sue ultime lettere scritte dal carcere di Breslavia in attesa di essere uccisa.
Dicembre 1917, lettera dal carcere
“Oh, Sonjušcka, qui ho trovato un forte dolore. Nel cortile dove passeggio arrivano spesso dei carri dell’esercito stracarichi di sacchi o vecchie casacche e camicie militari, spesso con macchie di sangue…., vengono scaricati qui, distribuite nelle celle, rappezzate, poi ricaricate e spedite all’esercito. Recentemente è arrivato uno di questi carri, tirato da bufali invece che da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Sono di costituzione più robusta e massiccia dei nostri buoi, con teste piatte e corna ricurve basse, il cranio quindi è simile a quello delle nostre pecore, sono completamente neri, con grandi, dolci occhi neri. Provengono dalla Romania, sono trofei di guerra… I soldati che guidavano il carro raccontarono che fu molto faticoso catturare questi animali selvaggi e ancor più difficile – essendo abituati alla libertà – usarli come animali da tiro. Furono orribilmente percossi finché non appresero che avevano perso la guerra e che per loro valeva il motto vae victis. A Breslavia vi devono essere un centinaio di questi animali; essi, che erano abituati ai rigogliosi pascoli romeni, ricevono un misero e scarso foraggio. Vengono sfruttati senza pietà per trainare tutti i carri possibili e così vanno presto in rovina. Dunque, alcuni giorni fa arrivò qui un carro carico di sacchi. Il carico era così alto che i bufali all’entrare nel portone non riuscivano a superare la soglia. Il soldato accompagnatore, un tipo brutale, cominciò a picchiare così forte gli animali, con la grossa estremità del manico della frusta, che la sorvegliante, indignata, lo riprese chiedendogli se non aveva proprio alcuna compassione per gli animali. ‘Neanche di noi uomini ha nessuno compassione’ rispose egli sogghignando, e picchiò ancor più sodo… Alla fine gli animali tirarono e scamparono il peggio, ma uno di essi sanguinava… Sonjušcka, la pelle dei bufali è proverbiale per lo spessore e la durezza, eppure la loro era lacerata. Poi, mentre scaricava, gli animali stavano muti, sfiniti, e uno, quello che sanguinava, guardava lontano con sulla faccia nera e nei dolci occhi neri un’espressione come di un bambino rosso per il pianto. Era esattamente l’espressione di un bambino che è stato duramente punito e non sa perché, non sa come deve affrontare il supplizio e la bruta violenza… Io stavo lì e l’animale mi guardò, mi scesero le lacrime – erano le sue lacrime – non si può fremere dal dolore per il fratello più caro come io fremevo nella mia impotenza per questa muta sofferenza. Come erano lontani, irraggiungibili, perduti i bei pascoli liberi e rigogliosi della Romania! Come era diverso lì lo splendore del sole, il soffio del vento, come erano diverse le belle voci degli uccelli che lì si udivano, o il melodico muggito dei buoi! E qui: questa città straniera, orribile, la stalla umida, il fieno ammuffito, nauseante, misto di paglia fradicia, gli uomini estranei, terribili e le percosse, il sangue che colava dalla ferita fresca…. Oh, mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, noi due stiamo qui impotenti e muti e siamo uniti solo nel dolore, nell’impotenza, nella nostalgia. Intanto i detenuti si muovevano affaccendati attorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano nella casa; il soldato, invece, con le due mani nelle tasche passeggiava a grandi passi per il cortile, rideva e fischiettava una canzonetta. E così mi passò dinanzi tutta la magnifica guerra.”
Rosa Luxemburg
Un po’ di compassione
Adelphi, Milano, 2007
Grazie , Fabio, per la lettura che ci proponi. Ho riflettuto: gli esseri umani sono grandi anche perché hanno la capacità di identificarsi con ogni dolore, ogni sofferenza, anche quella di un animale! Qui Rosa Luxemburg piange per un bufalo, percosso a sangue, maltrattato, lontano dal suo ambiente naturale. Forse si commuove così, perché lei aveva accettato fino in fondo la sua sofferenza di prigioniera ed era preparata a dire addio alla vita, pur amandola fino in fondo. Mariapia