L’addestramento all’umiltà è una lunga e faticosa strada, piena di tranelli. Nella mia storia, il più evidente è quello della svalutazione di sé. La richiesta educativa dell’ambiente in cui sono cresciuta era quella di essere una bambina garbata e discreta, che non mostrasse i propri punti di forza perché tanto “non ti illudere, non ce ne sono e gli altri fanno e sono meglio di te”. Dunque, se starò da un lato, se terrò nascosto ciò che sono capace di fare, sarò accettata ed amata. Perché è per mendicare un po’ di quell’amore di cui abbiamo disperatamente bisogno che siamo disposti a tutto, anche a perderci. E a maggior ragione da bambini, dotati come siamo di strumenti di navigazione ancora acerbi e perciò facili da usare impropriamente.
Allora arrossisco di fronte a un complimento, indietreggio, divento schiva, ma in fondo al cuore sono contenta e mi piace sentirmi apprezzata. Dunque provo con la carta della sottovalutazione: ma no, non è vero, non è poi un granché, cercando di attrarre qualche parola buona che mi confermi nel mio valore.
L’arroganza è un peccato: devi essere umile! Dal catechismo tuonano insegnamenti piuttosto rozzi, senza aiuti precisi a districarmi nel mio mondo emotivo tumultuosamente affollato. Se inghiotto e soffoco ogni emozione condannata, sarò accettata ed amata. Altra ingiunzione che mi bacchetta da dentro.
Ma a forza di inghiottire e di disprezzare, si è accumulata tanta rabbia, ma anche la rabbia è un peccato! Sono accerchiata!
Come ne esco? Possibile che io sia soltanto questo cumulo di errori, peccati, sbagli, vergogne da tenere lontano?
Forse quella bambina compressa laggiù in fondo, messa all’angolo perché non aveva diritto di parola, se guardata con sguardo realmente umile, può osare fare un passo in avanti. Le bruttezze ci sono, adesso posso provare a non zittirle e mi posso anche permettere di non negare il dolore che le ha procurate, senza affondare nei sensi di colpa. Provo a guardare quelle ferite prodotte da richieste distorte di un mondo adulto a sua volta ferito. La paura si sta sciogliendo, poco, pochissimo, alla volta, ma sento crescere il coraggio di andarmi a prendere proprio là in fondo, per farmi coraggio, per darmi una possibilità di rimodellamento.
Inizio a comprendere allora che prendere consapevolezza di sé, così come si è, accettando i propri limiti è il primo passo verso la vera umiltà. Sapermi raso terra, aderente all’humus che mi costituisce, sapermi creatura, finita e limitata, ma anche morbida al punto da mettermi nelle mani di me stessa per forgiare ancora e sempre di nuovo la mia sostanza che chiede trasformazione per portare il suo frutto. Sapere che le mie mani sono avvolte dalle Sue, sapermi figlia di un Dio che mi ama incondizionatamente, tanto da raccogliere la mia finitezza per darle un compimento degno di tanta paternità.
Questa mattina, alla lettura del tuo post è seguita la pratica di meditazione e preghiera; mi è arrivato il Salmo 32, 8-9 che ho letto nel Salterio di Bose:
“Ti istruisco e ti indico la via da seguire
ti darò consiglio vegliando su di te:
non essere come il cavallo e il mulo
che sono privi di discernimento
e soltanto con il morso e con le briglie
è domata la loro impetuosità”.
Che coincidenza!
Nella fede del Figlio, siamo un solo Spirito e ciascuno un Sè.
Lavoriamo il nostro terreno perchè prenda la forma dell’Uomo Nuovo.
Così veniamo curati, guariti, salvati.
Grazie Iside e buona giornata.
Giuliana
Grazie Iside per l’argomento che ci proponi e ci fai riflettere. Hai proprio ragione l’umiltà non è disprezzare se stessi o sottovalutarsi, ma accettarsi cosi come siamo, con pregi e difetti. Infatti, nessuno ha solo pregi o solo difetti.
Ogni combattimento spirituale segna una tappa importante nel nostro cammino e anche le sconfitte, che apparentemente possono sembrare un totale fallimento del nostro impegno e dei nostri buoni propositi, diventano occasione di crescita, in quanto sperimentiamo la nostra piccolezza, la nostra inadeguatezza e quindi l’assoluta necessità di rimetterci nelle mani del Signore.
L’umiltà, quindi, ridimensiona la vita dell’uomo, lo semplifica e lo libera da tutto ciò che è di ostacolo all’azione della grazia, insegna ad avere la giusta considerazione di se stessi, a non diventare padroni assoluti della propria esistenza, ma piuttosto ad accettare, in maniera pacifica i propri limiti: ” non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.” (Rm. 12,16).
Un caro saluto. Suor Teresa
Ciao Iside, quanti errori dietro la parola umiltà, usata come paravento di un perbenismo sociale e religioso e di un certo modo di educare le bambine (almeno fino a 30-40 anni fa): sempre brave, buone, obbedienti. Ma allora perché il genere femminile intorno era pieno di donne che dietro le quinte erano rabbiose, invidiose e sempre pronte a criticare tutto e tutti? Proprio per questo non ho mai amato la parola umiltà.
Ora invece questa parola per me è diversa, e significa:
saper ascoltare, saper aspettare, saper ringraziare, saper chiedere e anche saper gioire.
Antonietta
Grazie, Iside, sei proprio brava, e non arrossire, né minimizzare, ma goditelo questo piccolo e sincero complimento.
Sì, la vera umiltà la si può riconoscere facilmente, in quanto è quello stato in cui possiamo esultare e dire: grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente! e tutte le generazioni mi diranno beata!
Se non percepiamo a volte questa esultanza, oppure se ne facciamo qualcosa di cui vantarci e gonfiarci come la rana della fiaba, allora vuol dire che stiamo ancora nell’area della difesa, e cioè in quello stato di separazione, che sta alla base dell’orgoglio egoico, comunque camuffato.
Un abbraccio. Marco
Quando penso all’umiltà , seriamente e in punta di piedi, come hai fatto tu, Iside e quanti ti hanno commentato, mi viene sempre in mente che la parola deriva dal latino humus, terra, e questo mi richiama l’espressione: stare con i piedi per terra. Un aspetto importante dell’umiltà è il realismo, ma anche la concretezza, la rinuncia a progetti fatiscenti o superiori alle mie forze. Questo comporta anche una conoscenza , secondo verità, di sé stessi.
Il motto socratico: conosci te stesso è il fondamento della saggezza umana.
Quando si sanno distinguere bene le proprie possibilità e i propri limiti, si possono affrontare con serenità varie situazioni. Ma il difficile è proprio scrutare con imparzialità il nostro potenziale, quali doni abbiamo ricevuto e quali no. Ringraziando per i primi , ma anche senza rammaricarsi e turbarsi per le proprie carenze. Forse ci vuole tutta una vita per riuscire a comportarsi così. Umile è la persona che serenamente fa quello che può fare e che per il resto… lascia fare gli altri e ne riconosce i meriti. E si rallegra! Mariapia
Cara Iside hai espresso con le tue parole il “combattimento” che ogni giorno mettendomi davanti alla Parola di Dio devo compiere dentro di me per accettarmi nel profondo con le mie possibilità vere e i miei limiti e dire con umiltà : mi affido totalmente a Te ascoltando, aspettando, ringraziando, chiedendo aiuto, e poter gioire (riprendo le parole di Antonietta).
Come compagni di questo viaggio ci sosteniamo nei giorni di sole, in quelli nuvolosi, nelle notti stellate e in quelle buie.
Grazie
ho dimenticato di firmarmi, scusate
Grazie per questa comunanza di esperienze. In questo momento per me di rigurgito di ferita, mi conforta ricordarmi di essere insieme ad altri, nella fatica ma anche nell’apertura gioiosa per il sorprendente.
iside