(…) Noi tuttavia,
ancor più che pianta o animale sia,
col rischio andiamo, lo vogliamo, e talora,
più arrischianti siamo (e non per propria sfoggia)
della vita stessa, per un soffio ancora
più arrischianti…(…)
R. M. Rilke
Il di volta in volta essente è l’arrischiato. L’Essere è il rischio puro e semplice. Esso rischia noi, gli uomini. Rischia i viventi. L’essente è in quanto rimane il sempre arrischiato. L’essente rimane però arrischiato nel fatto stesso di essere, cioè in un rischiare. L’essente è perciò abbandonato al rischio essendo esso stesso arrischiante. L’essente è quando va con il Rischio in cui è lasciato andare.
Martin Heidegger
“ A che poeti? ”
Durante questi primi due anni di cammino in Darsi Pace, ho sentito a più riprese nel mio cuore un richiamo, una spinta senza nome, almeno all’inizio, verso luoghi e desideri più grandi di me.
Ho sentito che mi spingeva, ma senza violentarmi, come una osmosi verso quelle regioni che allo stesso tempo volevo e non volevo attraversare. Piano piano, richiamo dopo richiamo, giorno dopo giorno, penso di avere iniziato un nuovo rapporto con il Rischio. Attraverso degli studi mi sono imbattuto nei versi di Rilke sopra citati che ora mi parlano e mi collegano con questa esperienza.
Che cos’è veramente il Rischio? Questa vita che ci chiama aldilà di noi stessi a sperimentare Altro, a diventare Altro?
Cosa vuole che io faccia?
E non sentiamo ripetutamente che non vorremmo avere una vita piatta, senza senso, senza suono, afona, in definitiva non vorremmo non sentirci morti? E invece continuiamo a morire nella quotidianità fine a se stessa, nelle promesse mai mantenute perché il cinismo e la realtà prevalgono comunque sempre sulla nostra speranza ritenuta infantile e soggiogata e relegata nelle varie gattabuie interiori.
Il Rischio come essenza dell’Essere è il desiderio, desiderio di vivere illimitatamente, aldilà della paura e della morte, aldilà di chi ci dice che non c’è niente da sperare e niente in cui credere. Questo rischio è un andare lì dove non saremmo più noi per come ci conosciamo ma sentiamo che potrebbe darci qualcosa di indescrivibilmente bello e nuovo, che solamente ci dona il gusto della vita.
Solo a partire da questo desiderio infinito che nell’uomo diventa libertà creatrice e poesia, religione, arte, società, cultura, politica, possiamo ripartire per trasformare efficacemente questa società e questo mondo ormai repressi e prigionieri di un pensiero senza rischi e senza desiderio.
Ormai è diventato un pericolo il rischiare aldilà di noi stessi, sempre più chiusi in noi e incapaci di guardare aldilà dell’orizzonte del mare, incapaci di amare. E il rischio quindi, essendo la nostra essenza, si disperde nei vari usi ed abusi in cui semplicemente viene corroso e non vissuto in una trasformazione continua grazie alla quale ci è data la grazia di crescere con il Rischio: di rischiare il Rischio: di giocarlo, di giocarci, veramente, di creare la nostra vita. Penso che l’unica speranza che abbiamo per il nostro futuro sia quella di potere creare la nostra vita solamente attraverso un cammino nel quale questa creazione divenga un’arte, una grazia, una bellezza continua e crescente, che liberi e salvi il mondo.
Penso che il Rischio, inteso come forza di crescita della vita, come desiderio di salvezza e di liberazione abbia a che fare con tutto questo. In questo primo scorcio di cammino in Darsi Pace ho imparato che convivere con questo desiderio, con questa forza è possibile e anzi è l’unica via attraverso la quale possiamo crescere veramente.
Ho imparato che Tutto è Via se abbiamo una direzione: se questa direzione è il Rischio che ci arrischia ad una nuova e più feconda vita: il futuro diviene allora veramente speranza, veramente anche un gioco, una promessa, un divertimento, infinitamente più divertente di ogni anestetico e di ogni diversivo.
Una nuova educazione al Rischio, al desiderio, una nuova educazione alla nostra essenza creatrice e quindi arrischiante: un luogo in cui imparare di nuovo a giocare.
Imparare a ridere di nuovo, imparare a diventare dei giocatori finissimi e abili a districarsi in ogni mossa. Forse allora anche il dolore più nero potrebbe trasformarsi in una parte del gioco, in una forza di crescita.
Cadendo in volo
più in alto del cielo:
è in questa promessa
che intravedo la grazia.
Bello Francesco,
leggo e nella raffica di suggestioni provo a scrivere qualcosa…
Il senso di vuoto della caduta libera per colmare il vuoto di senso della nostra esistenza, è un bel paradosso!
Il paradosso mi piace perché la mente normalmente rinserrata nell’ovvio come difesa, si scuote e apre il varco a qualcosa di nuovo.
Spinti da un desiderio irrefrenabile d’infinito ci gettiamo nel vuoto come nascenti che dal buio, guidati da una forza travolgente, si gettano verso l’ignoto.
Non resistendo, lasciando che l’evento accada, come una grazia, ci accoglie il volto sorridente e rassicurante della madre.
E’ necessario accettare di correre il rischio ma ne vale la pena!
Un caro saluto
Daniela
Caro Francesco,
con la tua riflessione mi hai portato ai miei vent’anni e in particolare all’ inizio dell’insegnamento.
Insieme ad amici e colleghi parlavo, discutevo, litigavo, sognavo, desideravo una società e un mondo diversi.
Mi appassionava vedere i nostri progetti prendere forma in azioni precise, in realizzazioni.
Dopo la metà degli anni ottanta tutto si è fatto difficile, ho sofferto la chiusura dentro un individualismo con il quale ci siamo illusi di essere più liberi e di stare meglio.
Ciò che maggiormente mi mortificava era l’attenzione, per me eccessiva, all’ esteriorità, all’ immagine dimenticando completamente che anche il pensiero e le parole hanno bisogno di cura.
Soffrivo la difficoltà di comunicare il mio disagio e mi sentivo sbagliata ogni volta che provavo a farlo cadendo negli automatismi che nel laboratorio Darsi pace imparo a depotenziare guardando senza giudizio la mia umanità ferita, sentendomi una voce tra le altre, consapevole di essere chiamata, come ogni essere umano, ad un compito specifico che mi realizza ma che non posso compiere da sola.
Questo mi diventa sempre più chiaro come chiara è l’illusione di nascondere il limite, la fragilità della condizione umana.
Con la consapevolezza di oggi, ho ancora voglia di insorgere, di provare a districarmi in ogni mossa nel libero rischio della fede.
Il Dio che promette perdono e consolazione a chi si gioca nella libertà e nella responsabilità, contrariamente agli uomini, mantiene la promessa, non delude mai.
Grazie in un abbraccio.
Giuliana
È rischioso uscire dalla gabbia, perché significa uscire allo scoperto! Le paure della nostra parte egoica ci ricacciano dentro continuamente. Meglio rimanere incatenati… che “rischiare” il giudizio degli altri….. “rischiare” di far intravedere la nostra vera identità.
Ma così come ben dici caro Francesco è perduta la nostra libertà!
Si è giunto il momento di convivere con questo desiderio e con la speranza che si realizzi.
Non è mai tardi per sperare!
Il tempo (la vita) si è fermato
Adesso come allora il tempo si è fermato
Per me rinchiuso nella prigione della paura
Un caro saluto
Carissimo Francesco
grazie! Mi hai riportata indietro negli anni, quando, ancora non chiari gli obiettivi, sentivo che dovevo Rischiare, nella vita personale e professionale, perchè lì , nel Rischio, avrei trovato la Via e la Meta. Intuivo che in quel Richiamo profondo, avrei trovato Ciò che cercavo! La strada è stata tortuosa e confusa e soprattutto ha continuamente cambiato sembianze!
Spesso, anzi quasi sempre, l’ho percorsa da sola, perchè i temporanei “amici di viaggio” si fermavano e/o sceglievano altre vie.Nel mio procedere è diventato sempre più chiaro il Senso del Rischio e DP me Lo ha reso ancora più limpido e chiaro! Quel Rischio è stato il Senso della mia vita che mi ha permesso di non morire/spegnermi dentro: cosa per me insopportabile ed inaccettabile!
Ora, e non ultimo, cammino in compagnia……, e credimi, mi si riempie il cuore quando incontro amici di viaggio come te: giovani profondi e pieni di promesse!
Un abbraccio Maria Rosaria
Bel tema, Francesco che non conosco.
Il terrore del rischio e l’ebrezza del rischio.
Nella prima giovinezza mi sono vietato i rischi a livello personale.
Poi li ho assunti forte ma fuggendo sul livello culturale e politico.
Poi ho oscillato tra il rischio del nuovo, necessario e ignoto, e il rischio del vecchio binario rassicurante.
Ora provo a tenere insieme i due corni della contraddizione, come mi ha insegnato la guerra del Kosovo.
Anche se accade che mi senta dare del confuso da uno dei miei figli, giusto ieri sera.
Io penso di aver diritto al rischio delle mie confusioni, dalle quali esco gradualmente, caso per caso.
Posso trovarmi sul vuoto, ma la mia fede mi dice che non sono gettato a caso nell’Uni-verso, e allora il rischio ci sta.
buon lavoro
Penso che il Rischio sia quel richiamo, quell’Appello imprevedibile e ignoto ma al tempo stesso evidente che bussa incessantemente alla porta del cuore della storia per rinnovarla. Ma come dice Simone Weil la porta stessa è il Cristo,
che chiama tutto il nostro essere ad essere una nuova esperienza, a rischiare la vita perché solo così possiamo dare senso al tutto. La vita si compie solo nel nostro rischiarla veramente, nel tentare di vivere questo sogno in cui siamo. La felicità è una esperienza di crescita comunitaria nella quale rischiamo assieme ciò che siamo. L’essere umano è questo rischio perché è divino: potrebbe essere divino se solo desiderasse di rischiare se stesso, dopo avere raschiato il fondo del barile per troppo tempo. Questa è l’unica speranza: rischiare ciò che siamo: quale alternativa abbiamo?
Buona serata Francesco