“Non trovo io qualcosa cui si possa paragonare la grande bellezza di un’anima e la sua grande capacità. […] E veramente a stento arrivano a comprenderla le nostre facoltà d’intendere, per quanto acute, come non possono arrivare a considerare Dio, poiché Egli stesso dice di averci creato a Sua immagine, e somiglianza. […] Consideriamo la nostra anima come un castello, fatto tutto da un diamante, o da un cristallo chiarissimo, nel quale ci sono molte camere, come nel Cielo ci sono molte dimore […] castello meraviglioso e risplendente, questa perla orientale, quest’albero di vita piantato nelle stesse acque vive della vita che è Dio.” (Santa Teresa d’Avila)
Riprendo l’argomento di una chiacchierata con alcuni amici-compagni di corso. Lo spunto è venuto da una vecchia trasmissione radiofonica di Marco Guzzi, dal titolo “La parola interdetta dell’anima”. Fabio ce ne aveva parlato e poi ci ha mandato la trascrizione che ne aveva fatto all’epoca.
Le parole di Santa Teresa d’Avila, mistica di Spagna nata nel 1515 e morta nel 1582, sono un esempio del rapporto intimo dei grandi mistici con la propria anima. Le loro esperienze parlano di slanci, sfoghi, dialoghi intensi con quella parte intima di sé che resta fuori dal proprio controllo: l’anima, appunto. Ma oggi sembra che questa voce interiore non sia quasi più udibile per noi occidentali, presi come siamo dalle nostre vite caotiche e distratte.
Partendo da queste riflessioni la trasmissione radiofonica introduce così il dialogo con gli ascoltatori:
<<L’anima, dunque, sofferente. L’anima chiusa in un carro armato. Il carro armato delle nostre giornate, il carro armato dei nostri progetti, il carro armato del nostro io, io, io, che crede di sapere tutto, che crede di potere tutto, che crede di poter organizzare tutto. Ma, poi, se ne pagano molte conseguenze. Purtroppo, ne paghiamo molte conseguenze, perché l’anima, quando la vogliamo escludere dall’ascolto, ci rende la vita impossibile. Diventiamo nervosi, diventiamo intrattabili, diventiamo tristi. […] Noi oggi abbiamo lanciato una proposta forse un po’ provocatoria, quella di ascoltare la nostra anima, di dare voce a quella parte di noi più sensibile, più emotiva, che non riesce, quasi mai, nel contesto della nostra vita pubblica, a trovare spazio, e che troppe volte siamo costretti a reprimere, perché i programmi, i progetti, le modalità della nostra vita, non ci consentono di darle spazio. Questo è il tema della nostra serata. L’abbiamo chiamato “La parola interdetta”, in fondo, la parola dell’anima che non può proferirsi>>.
Con il piccolo gruppo di amici ci siamo chiesti: Ha ancora significato per noi oggi parlare di anima? La nostra esperienza o immaginazione come riempie questa parola, che significati vi attribuisce? E che rapporto abbiamo noi con la nostra anima?
Sono venute fuori risposte diverse, ma tutte cariche di senso. Se volete possiamo provare a parlarne anche qui nel blog.
Sollecitata dalla lettura de “Il castello interiore” di S. Teresa d’Avila, io ho provato a rappresentare l’anima con questo disegno. Ho immaginato che nelle fondamenta del castello della nostra vita ci sia un enorme cuore rosso, le cui arterie sono alimentate da un fiume sotterraneo di acque azzurre e limpide (“Il fiume di Dio è gonfio di acque” Salmo 65). Nelle arterie di questo cuore l’acqua azzurra di Dio diventa ad un certo punto rossa come il sangue, il nostro sangue. A queste profondità non c’è più separazione. Il nostro cuore, la nostra anima è “piantata nelle stesse acque vive della vita che è Dio “.
Quando Antonietta mi accennò al suo desiderio di proporre una discussione sull’anima, ebbi un’immediata sensazione di irritazione. Siamo ancora lì, divisi tra anima e corpo? Ma se sto frequentando i gruppi DP proprio per cercare di affrontare le mie separazioni e andare incontro ad una vaga forma di unità! Poi mi sono resa conto che ciò che mi irrita è tutto quel bagaglio storico che appesantisce la parola “anima”. Forse posso riempirla di nuovi significati, più integrati, e così rappacificarmi con la parola e con il suo significato.
Tuttavia, quando si tratta di esseri umani, preferisco far riferimento al corpo, inteso come l’interezza di me e cioè la mia identità a tutto tondo, incorporando – per così dire – l’idea di anima dentro una imprescindibile unità con il corpo, anch’esso nei secoli piuttosto bistrattato.
Mi pare che distinguere tra anima, coscienza, cuore ecc. sia una modalità comoda dal punto di vista didattico, ma piuttosto scomoda dal punto di vista del percorso nella direzione dell’integrazione di una frammentarietà che forse dovremmo evitare anche, o innanzitutto, nelle parole. Ma qui ci troviamo, come spesso constatiamo anche per altre questioni, piuttosto sguarniti, dato che la ridefinizione antropologica che stiamo attraversando ha nella ridefinizione del linguaggio un punto fondamentale.
iside
“Dovremmo arrivare a cambiare il nostro sguardo, dovremmo guarire dall’abitudine di vedere soltanto in superficie, mentre tutto si svolge nelle profondità dell’essere, in ciò che tocca la volontà e il cuore…. ”
Ciao a tutti. Sr. Teresa
Bello e significativo il post, parimenti bello e significato l’intervento di Iside, che sento “mio” tantissimo. Anche a me parlare di “anima” mi crea un istintivo senso di irritazione, addirittura di “repulsione”. Quando sento da preti o laici che bisogna badare più all’anima che al corpo (bistrattando il secondo, che poi giustamente si vendica), secondo me fraintendendo alquanto il pensiero cristiano autentico, mi ribolle il sangue… ho una reazione nel corpo, proprio. Sento il pericolo della propagazione reiterata di una divisione lacerante, laddove l’unica speranza è il cammino verso l’unità di tutto, verso l’Uno. Come può l’Uno creare frammentazione? Luigi Giussani (persona difficilmente tacciabile di carenza di fede o di visioni eterodosse) ha voluto addirittura intitolare un suo libro “Vivendo nella carne”, d’altra parte. Io ho bisogno più che mai di un percorso spirituale che renda di nuovo amica l’anima e il corpo. Altre cose non mi interessano: troppi danni mi hanno già fatto, a livello psichico: semplicemente non me le posso più permettere, nemmeno se si mettono addosso un cappello “cristiano”.
Ricollegandomi a quello che Marco Guzzi diceva nella conferenza di Misano, sulla fisica quantistica: la materia (il corpo) nasce dall’energia e l’energia è guidata da una intelligenza, una intelligenza che modifica la sua azione in base a come si cerca di conoscerla.
Chi conosce e ciò che si cerca di conoscere, si influenzano e si modificano a vicenda.
Il modo di conoscere crea il conosciuto, crea mondi, come dice Marco, mondi conflittuali o armoniosi.
Questa capacità di conoscere-agire, penso sia la nostra anima, che vive e interagisce con le altre anime e con l’Anima.
Scusate il mio intervento un po’ confuso.
Un caro saluto
“ Anima mia che una tua pena hai vinta, vieni :andiamo a riposare” ( U.Saba)
Spesso mi rivolgo queste parole del poeta, dopo un’esperienza faticosa ,che magari, mi ha sconvolto. Sono di grande tenerezza e mi aiutano a ritrovare la calma. Quando le uso non penso a una parte di me separata dal corpo, ma a tutta me stessa nella sua realtà più profonda. Perché l’anima, ritengo, è questo: è la nostra realtà integrale , quella che ci fa la persona che siamo e non un’altra.
Anche in alcune espressioni del linguaggio comune si intende così: “ Gli voglio un bene dell’anima”, “E’ un anima buona”, oppure “ E’ un’anima persa” , e così via. Forse la cultura moderna sta allontanandosi dallo spiritualismo più spinto, tranne , sempre forse, un certo integralismo religioso.
Espressivo anche il disegno: c’è un castello sullo sfondo, ma in primo piano c’è un cuore grande che irrora con il suo sangue le nostre vene ancora un po’.. glaciali. E’ così?
Leggendo la citazione dalla trasmissione radiofonica di Marco, rimpiango quel suo lavoro attraverso l’etere!
Nella trasmissione radiofonica del 1999 (spero di ricordare bene) Marco diceva: “Se non ci occupiamo dell’anima chiusa in un carro armato, dovremo occuparci di carri armati sempre più muniti, sempre più chiusi, sempre più serrati e intensificare la quantità della violenza, innanzitutto della violenza difronte a noi stessi o a parti di noi e poi, di conseguenza, della violenza che riverseremo contro gli altri.”
Quanto è vero!!
E’ questa l’occupazione principale nel laboratorio dP per rianimare la nostra vita e la cultura.
L’anima grida quando si sente aggredita e violentata, non ce la fa a stare dentro contenitori troppo stretti che soffocano il suo desiderio di movimento libero e leggero.
Ammorbidire e addolcire la sostanza dell’anima significa farla cantare, sognare, immaginare, creare.
Grazie al gruppo di amici-compagni di cordata che attraverso Antonietta hanno allargato al blog il tema della loro riflessione.
Cara Antonietta, la rappresentazione dell’anima che hai fatto è davvero bella, l’ho salvata e stampata.
A tutti un grande abbraccio.
Giuliana
Era la stagione delle trasmissioni Rai Radio Due di “DENTRO LA SERA” del 1992/’93 e fu la prima delle tante registrazioni che decisi di non cancellare e che tuttora custodisco preziosamente.
Marco Guzzi suggeriva ad un ascoltatore che era intervenuto di porre delle domande alla propria anima e poi trascrivere le risposte, potrebbero sorprendere ed essere molto interessanti.
Anch’io allora provai a scrivere diversi dialoghi con l’ anima, che definivo anche come fonte dell’essere o stato della coscienza più profonda. Le risposte che trascrivevo erano sempre cariche di fiducia e di un paziente benevole incoraggiamento.
Questo dialogo mi aiutò molto in una maturazione sul livello relazionale, e sulla coniugazione del mio carattere con l’ambiente esterno, per accettare la difficile e dura convivenza con le forti limitazioni visive e motorie provocate da una rara e pesante malattia neurologica.
E allora adesso mi fa piacere riportare anche le parole della seconda parte dello scritto di S. Teresa d’Avila
Un testo che ho memorizzato da anni e continua a donarmi nel pensiero un grande senso di respiro e libertà!
Ecco la continuazione:
“Consideriamo la nostra anima come un castello, fatto tutto da un diamante, o da un cristallo chiarissimo, nel quale ci sono molte camere, come nel Cielo ci sono molte dimore.
Le cose dell’anima, si devono valutare sempre con ampiezza, pienezza, grandezza, che non la maggiorano affatto, poiché essa è più capace di quanto noi riusciamo a valutare.
Oh! L’incomparabile felicità di chi ottiene questa grazia, consistente nell’uniformarsi in tutto alla volontà di Dio, in modo che, fra Dio e l’anima, non vi sia alcuna divisione, e non regni fra loro che una sola volontà, non a parole, non a desideri, ma ad opere.
L’anima giunta a questo stato non ha più nulla a temere, se non di non dirsi degna che Dio si serva di lei inviandole prove ed occasioni anche penosissime per lavorare alla Sua Gloria.
L’anima non vuol giovarsi di quanto le insegna l’intelletto, anzi, tiene l’intelletto sotto i piedi, perché dall’unione della sposa con lo Sposo, ha imparato tante Verità, a cui l’intelletto non può arrivare.”
Un carissimo saluto e un abbraccio a ciascuno di voi, ringrazio Antonietta per aver proposto il post con il suo bel disegno dell’anima, commenti intelligenti e ottimi, e ringrazierò sempre Marco per quel suggerimento al dialogo e alla trascrittura come valvola di sfogo e via d’uscita.
Fabio
Vedi, carissimo Fabio, già allora si preparavano gli strumenti dei nostri gruppi … Un abbraccio. Marco