No, no. Certo non mi fa piacere riconoscere di avere delle ferite. Non mi fa piacere nemmeno ammetterlo perché – dopo l’imbarazzo iniziale – questo mi lascia più scoperto, più esposto. Ma anche, devo dirlo, “stranamente” più lieto. Insomma, come se mi fossi tolto un peso di dosso che non mi faceva respirare.
Perché l’istinto è quello: quando mi trovo addosso l’evidenza della ferita, quando avverto il disagio, l’istinto è quello di correre a nascondermi. Ok, aspettiamo tempi migliori, momenti più adatti. Poi ci ripresentiamo in pubblico, davanti al mondo. Mi costa molta più fatica ammettere il disagio – ammetterlo prima di tutto davanti a me stesso. Accettarlo, farlo entrare nella vita, dargli cittadinanza. Mi è costato molta fatica e molta incertezza, percorsi tortuosi, indecisioni e tormenti, ammettere il mio bisogno di aiuto, di “cura”.
E’ una decisione di ogni giorno, di ogni momento. Accettare il proprio limite o no, le proprie parti oscure, oppure no. Accettare il fatto di non poter decidere di “guarire”, di non poter gestire la cosa completamente “da soli”. Bello schiaffo alle proprie pretese di autosufficienza, tra l’altro! E anche così, anche assodato che da soli non siamo capaci, resta l’accettare che c’è prima di tutto da fare un cammino.
E anche questa non è una cosa immediata. Riflettevo tempo fa, come in pochi ambiti siamo ormai disposti a permettere che vi sia un tempo di svolgimento, di evoluzione. Tutto e subito, altrimenti non sembriamo efficienti! Eppure – grazie al cielo, mi verrebbe da dire – la cura dell’anima, della psiche, insomma ogni percorso psicologico e spirituale, è qualcosa che ordinariamente richiede tempo. Richiede tempo, perché si innesta nel tempo e lo rende significativo.
Uso il termine cura nel senso più allargato possibile, che può certo comprendere un percorso strettamente terapeutico ma non si esaurisce in esso. Cura, per come lo intendo, è qualcosa di opposto alla “angosciosa illusione dell’autonomia” (Giussani), cura è essere disposti ad uscire da sé per trovare davvero una fratellanza umana, cura è anche accettare i propri fantasmi e cercare di parlarci (ecco un bel compito): scendere nell’ombra per incontrarli, andare a vedere qual è il tesoro che proteggono – invece di schiacciarli o nasconderli sotto il tappeto. Che poi tanto vengono sempre fuori più incattiviti (penso sempre a San Franscesco e al lupo… a come il lupo sia diventato mansueto solo quando Francesco ha accettato di “parlarci”, di ascoltarlo, di dargli legittimità di esistenza, in pratica).
Ecco. Dar loro legittimità di esistenza, un primo passo per muoversi verso la pace. Tutt’altro che scontato, nella pratica quotidiana di vita.
Ecco perché i momenti in cui sto veramente giù, sto davvero male, sono quelli in cui agisco e penso fuori dal “contesto della cura”. Azioni e pensieri che si muovono fuori da questo contesto di guarigione/conversione (fatemelo pensare così, morbido e dorato) sono quelli più duri, meno articolati. Sono i pensieri malati, proprio quelli che negano ogni svolgimento nel tempo: vorrei essere arrivato ora a star bene, ad avere le idee chiare, ad avere un comportamento magari lineare e coerente. Con le mie sole forze è impossibile, ma faccio orecchio da mercante, non lo voglio intendere. Nonostante l’esperienza me lo suggerisca ogni giorno. Eppure bisogna ammetterlo, una buona volta: concepirsi artefici di sé stessi è davvero angosciante. All’opposto abbassarsi a domandare è risanante, è liberante…
Ogni giorno convivo con idee di cura e idee ‘malate’. Queste ultime si riconoscono facilmente, perché fanno fuori prima di tutto la mia umanità, in nome di un malinteso efficientismo e un asfissiante e sterile perfezionismo. Ma quando le seguo mi ingrippo, mi metto presto fuori gioco da solo. Allora devo riconoscerle come sono, riconoscere che sono appunto idee malate, e che invece c’è una cura, un percorso, che traversa regioni più assolate, schiude panorami più confortanti. E che la cosa più semplice e sicura che posso fare è affidarmi, riconoscere pacificamente l’enormità del mio bisogno, contemplare di più e ragionare di meno, seguire il sentiero…
E’ il lavoro di ogni giorno. Più lo accetto, più lo faccio mio, più respiro.
E più tornano a risplendere, ai miei occhi, i colori del mondo.
Marco grazie di questa ulteriore testimonianza di difficoltà e nello stesso tempo di speranza. Più ci spogliamo, più rinunciamo , più scopriamo il vero Io . Ci “caratterizziamo”. Forse è’ questo il significato di abbandonarsi semplicemente nell’espiro quando il peso delle emozioni , sensazioni della mente , maschere e quant’altro hanno caricato di Ego il primo inspiro della giornata . Lo sguardo misericordioso si raggiunge con l’umiltà .
Sì Mirko, siamo quanto mai in combattimento.
I miei giorni in questo “strano” periodo descrivono delle ampie oscillazioni tra abbattimenti e speranza. Sento però che con questo nostro lavoro qualcosa sta cambiando: ancora non posso evitare di agire, spesso, completamente all’interno dello stato egoico. Però, a differenza di prima, mi viene da osservarmi con più distacco. E a volte, mi viene da sorridere a certe mie reazioni, ad avere un po’ più di dolce compassione… e questa è una bella novità, ed è anche una promessa. Per il cammino.
Forse è proprio questo che ci dona Darsi Pace e cioè la speranza che il male che affligge la nostra mente non è incurabile!
Le oscillazioni di cui parli, caro Marco, sono una costante nella nostra vita, ma come ben comprendi già accorgersene è un bel passo avanti.
La cura è lunga e richiede un impegno laborioso certo, regala però momenti di intensità e di pienezza unici. … stupore, condivisione, abbandono ….
quale migliore medicina!
Grazie Marco per la leggerezza e la profondità insieme con cui sai leggere l’umano. Prendiamoci allora il tempo per la nostra cura vicendevole.
iside
Ottima questa tua descrizione, Marco, profonda e rasserenante: riconosciamoci bisognosi di tanta cura, di tanto aiuto, di un aiuto talmente immenso, che solo qualcosa di assoluto, solo qualcosa di divino e di eterno, può offrircelo. Un abbraccio. Marco
ciao Marco: i pensieri malati, quelli che negano uno svolgimento nel tempo. Verissimo! si sono incastrati nei ghiacci del passato e resistono, prendono forza dalle nostre debolezze, si nutrono di paura e la rabbia li consolida,
l’uomo vecchio resiste, non vuol mollare la presa sulle nostre anime che cercano spazi aperti, vita nuova, ma a tratti col nostro percorso ci riusciamo. ripenso alla meditazione, nei momenti in cui, per effetto della Grazia (che precede sempre le opere), mi son sentito veramente una porta aperta all’infinito. quello che ci frega, però, è che siamo sempre in oscillazione.
parlare con i fantasmi per non incattivirli. Vero anche questo, se non lo facciamo diventano punti neri indistinti che possono appiccicarsi agli occhi e spegnere ogni luce.
che posso dirti ancora. Coraggio per tutti noi che vogliamo liberarci dai ferri delle illusioni e trans-formarci, rinascendo dall’alto.
ciao Massimo “2 anno dell’avventura”
Caro Marco, mi pare utile il suggerimento proposto di cura e di ricerca, grazie!, Anch’io combatto ogni giorno. Utilizzo anche le parole dei salmi.
E se può far piacere riporto alcuni versi del Salmo di oggi.
Sal 34(33),
Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi in lui si rifugia non sarà condannato.
Un saluto Fabio
…E chi non le possiede, le proprie oscillazioni, di cui parli, caro Marco, finché siamo qui, nel tempo e nello spazio limitati, dove tenebra e luce necessariamente si alternano…Ma chi lo sa riconosce, questo non è destino per sempre: è solo per quest’ attimo, concesso, di esperienza, guarigione, scelta…Un buon procede a noi tutti
Hai voce e ordine a pensieri e stati d’animo, alle idee di cura e quelle malate.
Fraternamente ti ringrazio di questo post, che è d’aiuto e in tutto condivisibile.
Un saluto.
Stefania
Grazie davvero a Marco e a tutti i caminantes.
Le condivisioni cosi’ trasparenti e profonde ci aiutano a Darci Pace,
i nostri percorsi oscillano sempre più consapevolmente tra tenebre e luce e ci permettono di prendirci cura ed”avere un pò di dolce compassione…” persino di noi stessi.
Allora, sempre camminando tra tenebre e luce, arriveremo a riconoscere che tutto è Grazia e Dio ci conduce.
Che questo tempo di Avvento dentro il Giubileo della Misericordia, apra definitivamente le porte dei nostri cuori.
Vieni Signore a fecondare le speranze deluse, armati di Misericordia rendici artigiani del Perdono che viene da Te e conservaci sempre mendicanti di Grazia e di Pace.
GLORIA AMEN ALLELUIA
Grazie Marco!
Mi riconosco nelle tue parole che descrivono così bene i percorsi quotidiani dell’io in conversione.
Con uno sguardo di dolcezza e tenerezza, Darsi Pace ci guida nelle profondità del nostro cuore e nella incoraggiante prospettiva di diventare, verso noi stessi e verso gli altri, misericordes sicut pater.
Auguri di buon cammino verso la mangiatoia!
Lidia
I really like to walk in places the shorts are far from the human eye, where you can walk and think without fuss