“A tutti voi, se ricevete questa lettera significa che sono ancora ostaggio, ma i miei compagni di cella (a partire dal 2/11/2014) sono stati rilasciati. Gli ho chiesto di mettersi in contatto con voi e di inviarvi questi miei pensieri. È difficile trovare le parole giuste. Sappiate che io sono in un luogo sicuro, completamente incolume e in salute (ho messo su peso, infatti); sono stata trattata bene, con il massimo del rispetto e della gentilezza. Avevo il desiderio di mandarvi una lettera su cui avessi riflettuto molto (ma non sapevo se i miei compagni di cella sarebbero stati liberati nei prossimi giorni o nei prossimi mesi, riducendo così il mio tempo).”
Lettera di Kayla Mueller, americana, cooperante nell’ospedale di Aleppo, in Siria, fatta prigioniera nell’agosto del 2013 e dichiarata morta nel febbraio del 2015 dall’Isis; all’indomani della notizia della sua morte la famiglia ha deciso di rendere nota questa sua lettera.
“Ho potuto scrivere questa lettera solo un paragrafo alla volta e solo a pensarvi mi viene un sussulto di lacrime. La mia unica sofferenza in tutta questa esperienza è sapere quanta sofferenza ho procurato a voi tutti; non vi chiederò mai di perdonarmi perché non merito il perdono.
Ricordo che la mamma mi diceva sempre che tutto sommato alla fine l’unica cosa che hai davvero è Dio. Sono arrivata ad un punto della mia esperienza in cui, in ogni senso della parola, mi sono arresa al Creatore perché letteralmente non c’era nessun altro… E nella caduta libera mi sono sentita teneramente cullata da Dio e dalle vostre preghiere. Mi è stata mostrata nell’oscurità la luce e ho capito che, persino in prigione, uno può essere libero. Ne sono grata. Sono arrivata a vedere che c’è del buono in ogni situazione, qualche volta dobbiamo soltanto cercarlo.
Prego ogni, ogni giorno che, se non altro, abbiate sentito una certa vicinanza, anche un arrendersi a Dio, e che abbiate formato un legame di amore e sostegno tra di voi…
Mi mancate tutti come se fosse stata una separazione forzata di una decina d’anni.
Ho avuto molte lunghe ore per pensare, per pensare a tutte le cose che farò con Lex, alla nostra prima vacanza di famiglia in campeggio, al primo incontro all’aeroporto. Ho avuto molte ore per pensare a come solo in vostra assenza, a 25 anni, sono arrivata a rendermi conto di quale sia il vostro posto nella mia vita. Del dono che è ognuno di voi e della persona che potrei o non potrei essere, se voi non foste parte della mia vita, della mia famiglia, del mio sostegno.
Non voglio che le negoziazioni per il mio rilascio siano compito vostro, se c’è una qualunque altra opzione, sceglietela, anche se ci volesse più tempo. Questo non avrebbe mai dovuto diventare un peso per voi. Ho chiesto a queste donne di sostenervi; per favore, cercate il loro consiglio. Se non lo avete già fatto, […] può contattare […] che potrebbe avere un certo livello di esperienza con queste persone. Nessuno di noi poteva sapere che ci sarebbe voluto così tanto tempo, ma sappiate che anche io sto combattendo dal mio lato nei modi che mi sono possibili e ho ancora molta volontà di combattere in me.
Non sto andando in pezzi e non cederò, non importa quanto tempo ci vorrà.
Ho scritto una canzone alcuni mesi fa che dice: «La parte di me che fa più male è anche quella che mi fa alzare dal letto, senza la vostra speranza non rimarrebbe più niente…», cioè – Il pensiero del vostro dolore è la fonte del mio, contemporaneamente la speranza della nostra riunione è la fonte della mia forza. Per favore siate pazienti, date il vostro dolore a Dio. So che vorreste rimanessi forte. Questo è esattamente ciò che sto facendo. Non temete per me, continuate a pregare come farò io e, se così vuole Dio, saremo presto insieme. Kayla”
Nella lettura il pensiero corre veloce ad un’altra ragazza ventenne vissuta più di 70anni fa. Mi sembrano evidenti diversi collegamenti con Etty Hillesum. Lo stesso Spirito ci parla attraverso di loro.
“Poi, capitano degli eventi che ci mettono di fronte alle nostre paure più profonde. Sale la paura, l’angoscia prende il sopravvento. Il canale fra terra e infinito si chiude fino alla gola in un irrigidimento fisico, fino all’apnea. La paura assale, blocca fisicamente. In questo stato agitato di paure note, dal quale automaticamente cercavo di fuggire, ho visto un’unica frase: “Mi sono arresa al Creatore”. E lì in un grido di aiuto, la resa si è rivelata l’unica soluzione possibile.
La resa. In quel momento quella è la “parola” che blocca la fuga, che fa mollare la presa, che genera un rilassamento muscolare, riaprendo il canale e cadendo sempre più giù mi sono accorta che non cadevo rovinosamente a terra senza speranza, ma venivo accolta in una consolante tenerezza che non andava ad eliminare la sofferenza, ma la paura non esercitava più il suo potere asfissiante. La sofferenza, la paura non è eliminata, ma non esercita più il suo potere di carceriere.
La resa conduce alla presenza di Colui che ci cerca, che attende, ma non impone … presenza consolante e di speranza … Colui che ci accompagna solo se lo vogliamo.
“Quando sono arrivata in lager ero atea. Ma una notte che non riuscivo a dormire, ho incominciato a chiedermi chi mi poteva essere vicino in quel momento d’angoscia, e ho passato in rassegna tutti, proprio tutti quelli che conoscevo e amavo (…) Poi, all’improvviso ho capito che c’era Cristo, lui era veramente vicino. Da allora è sempre stato con me».
Ancora una testimone dello stesso Spirito: Ella Markman, cittadina sovietica di famiglia comunista, prigioniera politica condannata a venticinque anni di reclusione in un gulag.
La strada della resa, dell’abbandono, dell’affidamento fiducioso si impara ogni giorno di nuovo.
Si sceglie ogni volta di nuovo.
Ormai è chiaro con quale facilità si dimentica, si perde o non si vuole percorrere.
Non per dormire un sonno tranquillo, ma per stare nell’adesso senza inutili fardelli, senza tentare la fuga. E quindi, ogni giorno, di nuovo l’accompagnamento delicato del corpo alla postura regale, ma non rigida per fluire come fluisce il respiro, per imparare a vedere con altri occhi, ad ascoltare con altri orecchi…
La battaglia non è facile, ma credo non ci sia altra possibilità o meglio, non credo ci sia altra possibilità che non sia inutile, perché di altre possibilità di fuga senza alcuna speranza questo mondo ne offre tante.
Etty, Ella, Kayla, dalla loro situazione estrema ci lasciano la loro testimonianza, parlano la medesima Parola, invitano al medesimo percorso . E’ come se ogni volta lo ripetessero dandocene certezza.
“Solo in Dio riposa l’anima mia poiché da Lui proviene la mia speranza”(Sal 61)
Grazie, perché queste persone hanno veramente offerto la loro vita perché noi comprendessimo la verità di questo cammino, si sono trovate davanti improvvisamente un compito grandissimo e “totale”… e non hanno detto di no.
Mi ha fatto pensare a questa storia, che pure mi aveva molto compito…
“«Ancora una volta rendo grazie a Dio, che attraverso chi mi ha rapito mi ha messo a confronto con la Sua parola, facile a leggersi e a comprendersi. E sono grato anche ai sequestratori. Non avrei mai immaginato, in quel momento, la meraviglia che sarebbe stata per me passare quei mesi ascoltando Nostro Signore».”
http://www.tracce.it/default.asp?id=266&id2=358&id_n=48492
Ho corretto l’autore
Ciao Marco,
sì, proprio vero quanto scrivi, attraverso queste testimonianze comprendiamo la verità del cammino che stiamo facendo.
Avevo letto la lettera di Kayla su un quotidiano e non mi ero assolutamente accorta che quella frase: “Mi sono arresa al Creatore” fosse rimasta in me.
Eppure c’era ed è venuta fuori in una circostanza per me difficile. Benedetta frase … mi ha aiutato a mollare la presa. Ad arrendermi alla Sua Opera, a lasciarmi lavorare.
Non è forse questa l’azione dello Spirito ?
Non credo che Kayla scrivendo questa lettera avesse pensato che poteva agire al di là delle sue intenzioni.
un saluto.
alessandra
Grazie, carissima Alessandra, molto toccante questa testimonianza, che ci ripropone l’antica domanda: quando dobbiamo resistere e operare, e quando invece non possiamo far altro che abbandonarci nelle mani della vita, in un’impotenza che però non perda la speranza?
E’ in fondo il tema su cui rifletteva anche Bonhoeffer: Resistenza e resa …
Un abbraccio. Marco
Il tuo post, carissima Alessandra, mi fa ri-attraversare la mia vita e vedere quanto tempo mi ci è voluto per giungere alla resa, non percepita come fallimento, ma come assunzione di responsabilità.
Ora è la pratica quotidiana che mi aiuta ogni giorno a non lasciarmi rinchiudere dai raggiri mentali nell’ illusione egoica di autonomia per abitare un po’ di più nella Parola che mi salva.
Grazie e un abbraccio.
Giuliana
Carissimi, non posso non concludere questo post raccontandovi che la sua pubblicazione è avvenuta “per caso” proprio mentre, di nuovo,a distanza di tempo, sto rivivendo una situazione molto simile a quella che ha generato “la resa”.
Qualcuno le chiama “Dioincidenze”.
La paura c’è, ne sono sempre più consapevole; ma lo stare nella situazione è vissuta in modo diverso.
Non è possibile, secondo me, non continuare nel lavoro.
un saluto
Alessandra
La pazienza sia nella resa che nella resistenza mi sembra e credo sia la via più corretta su cui puntare e mantenere la forza fino alla fine.
Un saluto a tutti e grazie per i commenti e il bel post.
Fabio
Che gioia condividere con Fabio le riflessioni sul post e scrivere il suo commento!
Se fossi stata meno impulsiva prima di inviare il commento avrei tolto il mio nome; mi accolgo sorridendo e lascio andare.
Quando sono debole, è allora che sono forte.
Ti abbraccio con affetto.
Brunella