Darsi Pace è una proposta di un percorso concreto capace, in prima battuta, di alleviare la sofferenza, il disagio che comporta il vivere in questo mondo. Un vivere di cui non si riesce più ad afferrare il senso. Un mondo dove la vita non è ormai più che una “smania vuota” vissuta sotto il segno del bisogno. In seconda battuta, è una risposta concreta al desiderio, all’aspirazione, anche latente o semi-cosciente, di poter “rifare la vita”.
L’elemento della concretezza è, a mio avviso, l’aspetto più determinante della credibilità (e successo, posso dirlo?) dei Gruppi Darsi Pace. Concretezza significa reale possibilità di cambiamento a partire da sé qui ed ora. Ma anche vicinanza, prossimità al destinatario della proposta. Concretezza significa anche creatività perché le due cose sono inscindibili.
Proposta, quindi, che intercetta il bisogno che ciascuno ha di sapere che può agire efficacemente e responsabilmente nel concreto della sua personale esistenza.
È questo, a mio avviso, lo sfondo dal quale nasce la proposta dei Gruppi DP: la percezione profonda che sia finita l’epoca delle visioni del mondo (ideologiche o teologiche) come orizzonti di senso “chiavi in mano”.
In effetti DP intercetta questa presa di coscienza che rifiuta proposte che non prevedano il vaglio di una radicale, concreta e disincantata ricerca di un riscontro con la propria personale verità nella profonda e magari solo inconscia convinzione che [ormai?] come scriveva Teresio Olivelli: “non ci sono dei liberatori ma solo degli uomini che si liberano”; che, appunto, SI danno pace.
Ed ecco qui, tra l’altro, la forza attrattiva della meditazione come strumento di liberazione interiore.
A mio modo di vedere, quindi, ciò che caratterizza i Gruppi DP come risposta alla domanda di senso è la sua schietta radicalità nell’affrontare, senza ipocrisia, in modo disincantato, il “disagio esistenziale” dando voce a ciò che non si osava esprimere prima ma che spingeva per venire alla luce dal profondo delle nostre emozioni e “vite vissute”.
I Gruppi DP non propongono nessuna visione “consolatoria” di un mondo a venire ma provano a rispondere a chi vuole vivere in pienezza il presente della sua vita come il luogo della sua verità.
Per questo, quella dei Gruppi DP, è una risposta/proposta, che può essere condivisa sia dal credente sia dal non credente.
Infatti, centrale dei Gruppi DP è il linguaggio. Linguaggio in parte nuovo che attinge dalla filosofia, dalla psicologia/psicanalisi e che fa ampio riferimento alla religiosità Buddista. Ciò consente di mostrare/svelare l’universalità di concetti espressi, fino ad ora, con parole e simboli che, ripetuti acriticamente all’interno del mondo ”religioso”, avevano perduto di senso e di forza evocativa.
Un linguaggio nuovo e accessibile a tutti, credenti e non, ma che consente di mettere in luce le risonanze nascoste che quei simboli e concetti hanno con il desiderio di ri-fare la vita, di cui parlavo all’inizio e, quindi, anche come desiderio di un nuovo linguaggio.
Per questo motivo, anche il non credente scopre una trama fatta di concetti, esperienze, intuizioni con cui si trova in sintonia e che probabilmente non sospettava. Un linguaggio che risponde al bisogno di radicalità che credo stia alla base di chiunque sia alla ricerca di senso, sia esso credente o ateo.
Inoltre, la concretezza, cioè il bisogno di prossimità, immediatezza, di autonomia responsabile che caratterizza i Gruppi DP trova ulteriore riscontro nella forma organizzativa del gruppo o cenacolo.
Anche in questo i Gruppi DP si caratterizzano per aver intercettato questo bisogno di socialità che permetta una più intensa e più profonda prossimità e condivisione.
Tutta la storia bellica dell’umanità ha aspettato i liberatori, di questo o quel popolo, in tante terre e lungo i secoli.
Perfino gli Apostoli aspettavano un messia potente, un capo politico-militare che con la spada spezzasse il giogo di Roma.
Nell’immaginario collettivo l’insurrezione cos’è se non pietre, spade, assalti alla Bastiglia o al Palazzo d’inverno?
Oggi molti blak-blok sognano o vaneggiano una liberazione che le bombe molotov mai porteranno loro .
Robespierre è sì riuscito a mettere il re sulla ghigliottina, ma ci è finito anche lui stesso, e alla fine è arrivato Napoleone.
Ora noi, col cammino di “darsi pace” stiamo imparando che l’insurrezione non può che essere quella dell’anima, che permette a ciascuno di noi di far emergere la nostra nuova umanità, attraversando il “vergognoso” disagio esistenziale.
E’ ridare senso alla vita, è praticare realmente e concretamente la creatività, o meglio la co-creatività.
Quindi non esistono liberatori, ma ciascuno può solo liberare sè stesso, per favorire la liberazione vera del mondo.
Ma, caro Buffolo che non conosco, io devo anche dire che ho avuto bisogno di qualcuno che mi rivelasse questo, e che mi avviasse al processo iniziatico in cui mi sono inserito: qualcuno un po’ liberatore c’è stato, anche se solo per aiutarmi a spiccare il mio volo.
Mi piace l’immagine delle ideologie e delle teologie “chiavi in mano” che non funzionano più: grazie a Dio.
Ciao Mario, mi allaccio con piacere al tuo pensiero riguardo la – concretezza – e nel ricercare – un senso – … e concordo per come lo spieghi.
“ … Concretezza significa reale possibilità di cambiamento a partire da sé qui ed ora. … “dici in semplici parole e già queste bastano a dare un – senso – a tutto il lavoro su di sè, che ognuno qui in questo luogo svolge, nel procedere a liberarsi, sempre più, di pesi che gravano in modi talvolta ormai insopportabili, insostenibili, sulle nostre vite quotidiane.
Confermo a testimonianza già come nell’accoglienza e in una reciproca concreta e reale condivisione nei gruppi, tra persone anche molto diverse tra di loro per età ed esperienze di vita, si apra la possibilità alla libera espressione per ognuno, nel tentativo, o meglio, nell’intenzione a recuperare, ricontattando in noi quella parte creativa proprio perché spirituale e che senza questo lavoro, ognuno di noi rischia di perdere e magari, in alcuni casi, senza neppure mai aver conosciuto.
Felice d’esser qui insieme, Grazie e ciao, Barbara
Caro Mario!
Mi piace questo tuo insistere sulla concretezza, che significa che ognuno di noi può agire per la trasformazione di sè stesso in ogni situazione della vita, soprattutto in quelle quotidiane; ma concretezza non è, secondo me, immediatezza, facilità, assenza di diuturno esercizio, la fatica è inevitabile, non facciamoci illusioni, ma è anche bello incontrare difficoltà e impegnarsi a superarle, è l’avventura della vita, non ci si annoia mai . Mariapia
Grazie per la tua bella riflessione sulla ricerca di un Senso, l’ho collegata a quella frase di di René Char che compare sulla pagina facebook di Darsi Pace e che ho cercato di tradurre, spero esattamente.
“L’Essenziale è costantemente minacciato dall’insignificante”
Questa frase mi ha stranamente rincuorato, perché afferma che nell’immenso disordine che ci circonda è comunque presente, anche se nascosto e fragile, un Ordine, un Senso, che può essere trovato se “Su di esso si esercita la preghiera della decifrazione” (U. Eco).
Un caro saluto