Ricominciare: una parola, un verbo, che presuppone almeno due orizzonti, uno alle spalle, compiuto, e uno nascente e possibile, da compiersi, davanti ai nostri occhi.
È questo un orizzonte che avanza e si sposta progressivamente ad ogni passo, proprio perché ci troviamo a distanza da esso, separati da un intervallo di spazio e tempo incolmabile e sempre rinnovato: di qui la sua irraggiungibilità, e la frustrazione che ne deriva.
E tuttavia, ad ogni passo fatto in avanti, è come se venisse generata, assieme alla distanza, nuova terra, nuovo paesaggio, nuova esperienza ricomposta in cellule e memoria. È spingendo avanti il passo che si srotola il nastro del mondo. Si può quindi dire che il mondo, ad un tempo, non soltanto si riveli ma venga quasi “creato” dall’azione compiuta: un potere immenso e gestito per lo più involontariamente, in modo meccanico. Non è certo un caso che uno degli esiti di un primo barlume di coscienza sia la paralisi, il terrore di fronte a quello che viene avvertito come un continuo bivio. Ma si sa, la vita, anche da fermi, scorre da sé, e la stasi prolungata è comunque destinata a subire l’incrocio di orizzonti diversi dal proprio: agiamo pur stando fermi, e allo stesso tempo siamo agiti pur agendo a nostra volta.
Si è accennato alla frustrazione: in un determinato stato e a determinate condizioni infatti l’esperienza orizzontale, quella che viviamo in quanto terrestri, può configurarsi come una vera e propria pena, può portare a pensarsi come minuscoli patetici ginnasti, destinati a far girare un’immensa palla da circo, la nostra terra, la nostra vita: sempre al punto di partenza, ad ogni orbita, ad ogni rivoluzione, ad ogni piccola irresoluta decisione.
Pausa. E alle spalle? Cosa c’è alle spalle? È chiaro, un altro orizzonte, ma ormai avvolto nella memoria, non accessibile. Può essere un paradiso perduto, una terra desolata, un tempo piatto e senza storia. Comunque separato da una frattura, perché il ricominciare presuppone la fine di un ciclo, un segno d’interpunzione, più o meno forte, comunque deciso. Quindi punto, riprendiamo le fila.
Ricominciare: lo si fa sul ciglio di una crepa, pausa, ferita, parentesi: questa attesa può assumere tante forme quante sono le forme di frattura che l’hanno prodotta. Può essere molto doloroso il tempo della pausa, arido come una boccata di sabbia, sterile come l’attesa inutile di una qualcosa che si sa già che non arriverà mai.
Ma il tempo della pausa può anche essere terapeutico: nella stasi a volte si respira, in una parentesi si può trovare un luogo di conforto. L’imprevisto che spezza il tempo costringe quindi sì a interrompere la strada, ma permette anche di recuperare il fiato, guardarsi più attentamente attorno, fare la cernita degli strumenti e delle forze, fare pulizia di idee e sentimenti cattivi. Si apprezza il paesaggio, si nota qualcosa che solo occhi nuovi potevano afferrare.
Si può respirare nella stasi, è vero, ma dopo un po’ si soffoca: bisogna ricominciare.
Si ricomincia sempre per necessità, a volte in salita, a volte in risalita, altre volte in una pianura esplorativa, raramente in discesa. L’orizzonte che si ha di fronte è una promessa che si concede sempre più quanto più il passo prosegue. Ma è una proporzione generosa questa, perché moltiplica il passo in un’intera prospettiva, è una scoperta che cede tanto filo quanto più ne avvolgiamo, offrendo un panorama inatteso, inattendibile, comunque al di fuori dalla sfera del possesso: una volta raggiunto, infatti, l’orizzonte è già alle nostre spalle.
Nella propria ricerca personale, il ricominciamento è un evento ciclico, e si direbbe per fortuna. Ad ogni giro di ruota il ritmo del respiro impone una pausa che può essere innescata da un dubbio, da una delusione, da un vicolo cieco, dal prevalere dello scoraggiamento. A volte il peso della gravità, della “pesantezza” strutturale dell’uomo – quella forza oscura, quella materia nera, quel cuore di pietra che per le leggi del mondo è attratto verso il basso – questo peso ci schiaccia a terra, rendendoci talmente pesanti da farci perforare i diversi strati geologici del malessere fino a un regno sotterraneo davvero di morte, dove tutto è distorto, tutto è male e tutto è visto male.
Ma poi, prima o poi, un’inattesa inquietudine rimonta, è un impeto di cieca e prepotente rinascita: avere la forza e la fortuna di cogliere l’istinto di risalita è, contro il peso che reclude nei sotterranei, un’occasione di grazia. Da cogliere.
Darsi Pace è, tra le altre cose, un laboratorio di cordata, per ricominciare. Una palestra di umanità per vivere la frattura personale e quella dei tempi, per cavalcarne il crinale in modo “spericolato”.
Nel nero della ferita gli strumenti perduti: si pesca umilmente nel fango. Si cerca di tenersi svegli di volta in volta, o almeno di ricordarsi di aver dimenticato. Non è comunque poco.
Si ricomincia con la pratica di studio, ogni giorno, ci si ricorda quindi di ricordare. Si ricomincia a lavorare sulle gambe della ricerca personale, sul cuore di pietra con la meditazione e la condivisione, si tempera la vista per cercare di leggere il presente del tempo che ci troviamo a vivere, per tentare di decodificarlo. È una comunità di camminatori che hanno tra i loro obiettivi quello di sviluppare il cuore, la forza e il coraggio di essere eterni ricomincianti, orgogliosamente “principianti”. D’altronde si cerca di accordarsi al moto della vita, che più che essere caratterizzata dal senso della morte, stupisce per il suo continuo, ostinato, a volte irragionevole ricominciare.
Bellissimi stimoli: grazie!
Il “Ri” (ri-fare, ri-cominciare, ri-leggere, ri-ascoltare….) ha il fascino delle opportunità scoperte dentro a ciò che in prima battuta non abbiamo colto.
Il “Ri” nasconde in apparenti ripetizioni un potenziale di creatività.
Il “Ri” porta anche il peso dell’opacità, dell’ottusità, della cecità, della sordità esperite; ma proprio nel ri-proporsi mi invita a incuneare un tempo sospeso per cui nel ri-fare quella cosa, ri-leggere quel testo, ri- ascoltare quella persona…., vedo, ascolto, leggo , faccio …sciogliendo un po’ di quella patina di opacità, di cecità, di sordità… perciò con una me stessa rin-novata, almeno un poco.
Grazie a te Eva! È vero, è un aspetto importante quello che sottolinei, ricominciare è anche tornare sul già fatto e aguzzare la vista e l’esperienza. Si percepiscono nuovi dettagli, anzi a volte ci si accorge di percepire proprio l’essenziale che prima era sfuggito.
Divago, ma non resisto: mi hai fatto venire in mente, a proposito di sguardo che si fa più forte, a seguito di un irrobustimento spirituale, questi versi di Dante (Paradiso, XXXIII, 112-114):
“ma per la vista che s’avvalorava
in me guardando, una sola parvenza,
mutandom’ io, a me si travagliava”.
Dante è in Paradiso e sta contemplando la luce divina. Continuando a guardare, riguardando, sostenendo lo sguardo oltre ogni ragionevolezza il poeta acquista una capacità di penetrazione sempre maggiore (“la vista che s’avvalorava” – si rinforzava – “in me”), ed è la sua sostanza, il suo corpo, che in questa esperienza cambia, si tempra, si forma (“mutandom’io”). È così che arriva a vedere l’essenziale, un’immagine tanto più nitida e ricca (“una sola parvenza…a me si travagliava”) quanto più nitido e forte è il suo occhio. Mi sembra calzare a pennello con il nostro lavoro!
Grazie, caro Giuseppe, le tue riflessioni sulle dinamiche del ricominciamento mi sembrano essenziali, anche perché l’intero movimento di Darsi pace può essere interpretato proprio come un moto di Ricominciamento, sia a livello personale, che a livello antropologico, che a livello ecclesiale.
Non a caso il libro-intervista che scrissi con Enzo Bianchi, nel 1990, si intitola proprio “Ricominciare – nell’anima, nella Chiesa, nel mondo”.
Ciao, e grazie. Marco Guzzi
grazie Giuseppe, leggendo il tuo articolo mi si apre il cuore alla speranza, si attenua il senso di solitudine che attanaglia l’anima, che rende difficoltoso scegliere un nuovo cammino da percorrere quando la vita, in modo ineluttabile, pone davanti a sé un bivio che fa paura affrontare, una decisione dalla quale si cerca di sfuggire perché mette a repentaglio quelle poche certezze che si pensa di avere faticosamente raggiunto. La frattura con il passato non si può fingere di ignorarla, ma si preferisce l’inazione, la pausa che vanamente si dilata nel tempo, quando intorno tutto scorre e cambia, e se non si agisce si è comunque agiti. Per me è come sostare ai piedi di una montagna, possente nelle sue asperità, temibile da affrontare anche se, una volta raggiunta la vetta, potrei forse godere di un panorama diverso, più ampio, e cogliere meglio i veri valori dell’esistenza. Mi è di conforto sapere che altri si cimentano in questo percorso di cambiamento e di ricominciamento, cercando di superare le proprie paure e resistenze per intraprendere un nuovo cammino di vita.
Grazie a te Nicoletta! A volte, davvero, ogni passo avanti è a suo modo una piccola insurrezione, specie se siamo zavorrati. La stasi è morte quando non è più riposo, ne facciamo esperienza tutti anche nelle cose più semplici. Ma vincere la pesantezza, anche di un grammo, aiuta a breve e lungo termine, anche di questo facciamo esperienza.
Tu parli di una montagna, sì, è vero, a volte l’impressione è quella: un muro di roccia insormontabile e scoraggiante (e capita in certi sogni che ci si sgretoli mortalmente addosso). La nostra misura reale è il passo, forse è proprio una sorta di unità di misura iniziatica, inevitabilmente lenta, o comunque definita: i voli sono dello sguardo o del pensiero, e servono a darci una prospettiva, ma sappiamo bene che la fatica poi è delle gambe. Il ritmo dei passi è “uno alla volta”, così inevitabilmente si resta con-i-piedi-per-terra.
Grazie Giuseppe. Grazie di questo respiro di speranza che ci hai regalato .
Bellissime le riflessioni sul tempo (TERAPEUTICO) della pausa prima del ricominciamento!
Grazie, mcarla
Grazie, ciò che hai ricordato è terapeutico.
E’ strano, come a volte, all’improvviso si comprendano le cose.
La Parola e lo Spirito.
La Parola detta 2000 anni fa e lo Spirito che agisce, fa comprendere e illumina nei secoli e per i secoli.
Ricominciare.
La continua alternanza della tristezza e della gioia.
Uscire dalla tristezza e ricominciare a gioire.
Il ricominciare che diventa sempre di più un atto libero.