Mi sento a disagio. Chi sono? Iside Fontana c’è scritto sulla carta d’identità. Un complesso arrangiamento di proteine, lipidi, glicidi, arricchito da vitamine e minerali, annaffiato con abbondante acqua, che si mette in posa sotto la guida delle istruzioni contenute nel DNA. Così direbbe la biologia. Figlia di Dio direbbe la Bibbia. Non si potrebbe dirlo più diversamente. Eppure sono sempre io, tuttavia da due punti di vista molto differenti. Si potrà trovare un incrocio a cui darsi appuntamento, una piazzuola per provare a parlarsi attorno al tavolo da picnic?
Allo scienziato che misura vorrei dire che non tutto in me è misurabile, che il mondo non finisce di là dal raggio d’azione del metodo scientifico. Tante volte si ha l’impressione che ogni esperto dia per scontato che il proprio settore sia il settore, l’unico ammissibile, oltre il quale non si può proferir parola.
Provo con il teologo che mi aspetto sia persona di fede in un Oltre sensato. Ma anche su questo lato mi potrei ritrovare in una situazione speculare, con la squalifica del corporeo ancora dietro l’angolo, pronta ad entrare in scena non appena la discussione si scaldi anche soltanto un po’. La Realtà rischia di essere cercata tutta, o quasi, fuori di me, in alto, nel profondo, le metafore spaziali fioccano. Anche il teologo, però, non può esimersi da un atto di umiltà, dal presupporre che non ha in mano tutte le risposte e che soprattutto i suoi tentativi di risposta non possono prescindere dallo sguardo scientifico sul mondo.
Il metodo scientifico è stato una grande invenzione umana, un modo per portare in bocca il mondo, come da bambini piccoli facciamo con le cose che ci circondano per conoscerle un po’ di più. Ma non tutto entra in bocca. E allora devo spezzettare, semplificare, dividere, altrimenti non si può scrivere l’equazione matematica descrittiva del fenomeno, a quel punto standardizzato. Così frantumo, rimpicciolisco e perdo di vista il tutto. Il campo visivo zooma così intensamente che vedo la briciola, la descrivo minuziosamente, ma non so più a cosa appartenga, da quale contesto provenga, ne dimentico la storia, le relazioni. L’iperspecialista si smarrisce non appena prova a girare gli occhi di un grado o due: l’ambiente gli è sconosciuto, allora si ritrae di nuovo nel guscio della sua comfort zone. Meglio limitare i contatti dei confini, sono le aree più pericolose, potresti fare strani incontri con altri iperspecialisti altrettanto spaventati di aver osato l’avvicinamento alle colonne d’Ercole.
Neanche però il caos dei miscugli dell’indifferenziato può aiutarmi a capire chi sono. Chi mescola i saperi, smozzicando bocconi qui e là, mi porge piatti variopinti, a prima vista anche attraenti, ma dal sapore confuso e confondente. Cercare soluzioni facili che mettano d’accordo un po’ tutti con un veloce concordismo è solo un inganno, l’illusione di scorciatoie che in realtà sono vicoli ciechi.
Del resto, le separazioni sono anacronistiche, i muri ormai sono stati abbattuti e chi vuole ricostruirli è fuori tempo.
Ci occorre un’opera di sintesi. Il metodo scientifico ci offre una conoscenza imprescindibile, non si può negare l’evidenza. Ma non tutto è evidente. La ragione e i suoi concetti non bastano per cogliere la Verità. Sento che sono di più di un ammasso proteico, per quanto ben organizzato. Lo sento, nella mia fede, nell’affidamento ad un Oltre-me che non conosco con il ragionamento. Perché il mio sentire dovrebbe valere di meno del mio ragionare? Non è questione di competizione. È questione di trovare un nuovo livello di fratellanza conoscitiva e sapienziale. L’effervescenza del nuovo sodalizio ha già iniziato a ribollire, pronta a rompere la crosta dura là dove ci sia un orecchio appoggiato sulla crepa ad ascoltare.
Bellissima limpida scrittura.
Bellissimo e limpido dubitare ed interrogare senza enfasi.
E bello quel perlustrare attento i confini tra un sapere e l’altro e perfino ammettere che qualcosa può dirci l’inevidente celato nel caos o nell’evidente.
“Ci occorre una fratellanza conoscitiva e sapienziale” tra chi pone l’orecchio tra le crepe e non s’affida soltanto al guardare.
Grazie, Iside!
Noi non siamo esseri umani in un viaggio spirituale, siamo esseri spirituali in un viaggio umano (Stephen Covey).
Forse se la vedi da questo punto di vista può risultare più comprensibile.
Per quello che è la mia esperienza è meglio non arrovellarsi troppo la mente ma cercare la pace nel cuore e le risposte arriveranno!
Mi associo pienamente a quanto ha scritto Eva. Complimenti per questo post! Sto scoprendo gradualmente, proprio in questi giorni, che per rispondere alla domanda che è il titolo di questo post è utile fare memoria, ma nella calma e nell’integrità, della nostra vita , degli eventi , magari anche di quelli minimi, che però affiorano soltanto quando scendiamo nel profondo, dove la scala dei valori muta, si sovverte, si apre a nuove prospettive. Mariapia
Da biologo non posso che ammirare questo piccolo miracolo . Bisogna sempre ascoltare perché il ribollio della scienza o di una denaturazione di una proteina ci può dire molto sulla fine ma ancora di più sull’inizio
Bello.
Grazie
Penso che di più e di meglio non si possa dire…complimenti per la sintesi…ma che risposta a quella che è in breve “la domanda”? Ringrazio Giuseppina per la citazione! Ma quanto è lontana la cosapevolezza spirituale! Vorrei “iniziare” il cammino, che forse già iniziare è gran cosa, grazie per avervi incontrato!
Cara Iside, non posso fare a meno di dirti che leggerti è sempre una meraviglia.
Complimenti!
Il titolo che hai dato al post mi porta in un luogo relazionale, accogliente, dentro una storia.
Il racconto avviene attraverso parole e in una relazione; il racconto è narrazione di una storia.
Il mistero dell’Io nel quale ci addentriamo lentamente, gradualmente, dolcemente richiede un ascolto sempre più profondo di noi stessi che si faccia parola.
E le parole possono essere muri che imprigionano o finestre che aprono alla libertà.
Quando il nostro terreno è arido e duro non solo siamo incapaci di ascoltare la parola, ma ci priviamo della possibilità di essere soggetti di una parola.
E non stiamo bene. Non riusciamo a capire e nemmeno ci sentiamo capiti.
Se troviamo il coraggio di dissodare il nostro terreno e impariamo ad approfondire l’ascolto possiamo scoprire in noi la Parola e lasciare che germogli e cresca.
Allora cominciamo a comprendere la bellezza e l’infinità del mistero che siamo partecipando all’ opera creativa in atto dentro una storia di liberazione e di salvezza.
Grazie!
Giuliana
Ci tenevo a precisare che questo tipo di riflessione, che mi accompagna da tanti anni ormai, è stato ultimamente sollecitato dalla condivisione nel Gruppo Culturale di Darsi Pace ed in particolare in AltraScienza. Infatti, all’interno del percorso in DP, Marco Guzzi ha lanciato nel novembre 2014 questa ulteriore passaggio, per rendere l’esperienza dei Gruppi Darsi Pace ancora più aperta e pratica. Marco Castellani ha poi a sua volta lanciato la proposta di provare a riflettere sulla possibilità di un pensiero scientifico che non si irrigidisca nel razionalismo riduzionista, ma si apra con uno sguardo più ampio, che riscopra la propria più profonda natura del mettersi in umile ricerca dell’ignoto, guidati da domande che sgorgano moltiplicate ad ogni piccola conquista. Deponendo ogni presunzione di possedere la verità, da qualunque parte questo atteggiamento provenga – e che sappiamo è sotteso da insicurezze e paure abissali – proviamo a scoprire una forma di conoscenza più relazionale, più cordiale, dove ogni espressone dell’umano indagare sia alleanza che ogni volta rilancia oltre i confini angusti delle nostre paure e ci faccia vedere un paesaggio che si ricrea ad ogni istante, dalla buona intenzione originaria alla compiutezza che richiede affidamento per essere sentita.
iside
Grazie Iside, molto bello.
“ci occorre un’opera di sintesi”
io direi che “ci occorre RI-CONOSCERE l’opera di sintesi in atto”
Ri-conoscere: conoscere – nuova – mente, è un opera di sintesi trasformativa che umana – mente si riduce ad essere ambivalente sia nell’uomo che nell’universo.
La ri-conoscenza procreativa di vita abbondante e di bene-dizione ci è ostica poichè siamo spiriti eterni, incarnati in un corpo che sembra mortale e in un tempo che ci appare finito.
C’è un grande no in me che si oppone ancora alla libertà dell’amore necessario a proferire quel “si” creativo di vita infinitamente grata all’eterno “presente” in cui sono contemporaneamente “dono”.
Non so chi possa raccontarmi chi sono, ma, posso a tratti vivere l’esperienza di questa sintesi cosmica e generazionale aderendo con fiducia al frammento di vita quotidiana nella quale opero giorno dopo giorno.
Ciao e complimenti ancora
Rosella
Grazie Iside le tue parole mi riempiono di gioia e di emozione e penso a chi possa essere io con tutti i miei limiti fisici, culturali e spirituali!
Comunque un essere umano, una creatura (di Dio dico io) che esiste sempre, come anche in questo caso, nel dialogo e nella relazione.
Relazione tra chi parla, scrive o semplicemente ti abbraccia e chi ascolta, legge o semplicemente….ricambia l’abbraccio.
Si hai ragione che evoluzione in questi ultimi tempi nei nostri gruppi tra gruppo Cultura, Altrascienza, fb nascenti. Il coro di voci si allarga e ognuno ne riceve una grande ricchezza.
Ancora grazie Gabriella
Cara Iside,
grazie di queste parole che giungono nel luogo di incontro con un Altro inconoscibile eppure vivente,
nella dimora che condividiamo in questa quotidianità da sempre inattesa.
Ci tengo solo a dire che ciò che dici è quanto mai attuale, nel mondo scientifico e in quello filosofico,
nonostante qualche risposta, sebbene parziale, ovviamente, esiste e opera da almeno un secolo.
Heidegger, per esempio, ci ha fatto capire che lo sguardo egoico-rappresentativo della scienza nella sua essenza metafisico-tecnica, è solo l’ultimo gradino di un processo conoscitivo che nel suo complesso rivela un meccanismo e una realtà molto più ampia e ramificata. Per semplificare, posso affermare che l’acqua sia H2O, ma non per questo sto riassumendo l’essenza dell’acqua; sto piuttosto riducendo il fenomeno “acqua” ai suoi minimi termini, al fine di poterne disporre per esempio in ambito chimico, e nessuno può negare i vantaggi di questa operazione. Ma se la mattina, asciugandomi il viso per avviare la giornata, dicessi a me stesso “ho proprio bisogno di lavarmi la faccia con un po’ di H20” sarebbe alquanto strano. Non perché l’acqua non sia H20, ma perché lo sguardo scientifico può definire l’oggetto solamente a patto di ridurne l’essenza nella sua entità semplicemente presente, dimenticando però la realtà della realtà nella sua ampiezza, del “mondo della vita” direbbe Husserl. L’errore sta nello scambiare l’entità ridotta con l’essenza del fenomeno, come quando parliamo del pensiero in termini di rappresentazioni mentali e cognitive operanti a livello cerebrale. Non è solo una questione di punti di vista, ma di punti di vita, vitali, ovvero di ricomprendere la natura dell’Essere, direbbe Heidegger, è qui c’è bisogno davvero di una nuova scienza. Per capire chi sono è necessario ritornare in relazione con questo sono, con quest’essere di cui non possiamo parlare se non in termini relazionali, esperienziali, ovvero iniziatici, trasformativi, aprendoci ad una domanda che ci coinvolge con tutto il corpo, in quanto esseri umani, ovvero colloquiali, da sempre nella ricerca di noi stessi.
Francesco
Grazie Francesco, per mettere in campo la tua competenza filosofica – qui e in AltraScienza…
iside
Iside dice: “Sento di essere di più di un ammasso proteico per quanto ben organizzato”, e anch’io sento nello stesso modo.
E mi viene da pensare:” Sento di essere di più di un ammasso proteico “in quanto” ben organizzato”.
E lì c’è l’atto di fede. La scommessa che potrei fare con chi pensa che siamo gettati casualmente nell’universo, la scommessa con Darwin che deve avere una fede grandissima per credere a milioni di casualità concatenate che hanno creato gli esseri viventi. Io preferisco pensare ad un Logos, un Pensiero di Amore, che convive con la scarsità di Amore e col mistero del dolore. Almeno questo mi permette di mettermi in gioco, di impegnarmi con speranza,di usare la mia libertà per contribuire a far crescere l’amore e a ridurre il limite, in me e quindi un po’ nel mondo che mi circonda.