Funziona così: vi serve una particolare qualità in questo periodo della vostra vita?
Ebbene, poiché quella qualità è dentro di voi, come centinaia di altre immerse nel sonno dell’inconscio, basta evocarla con sufficiente convinzione e lei, prima o poi, si farà sentire.
Per favorirne l’emersione, sono consigliate attività riflessive intorno al tema, la scrittura ripetuta della parola che la sintetizza, addirittura l’esposizione della scritta in bella vista, ove lo sguardo tenda a fermarsi.
Aiutano anche immaginazioni guidate in cui la qualità desiderata venga, con il potere dell’immaginazione, pienamente vissuta, ma più importante di tutto è cercare di esercitare quella qualità ogni volta che se ne presenti l’occasione, con un certo slancio, per superare le resistenze che l’io frappone ogni volta che ci si impegni a smontarne gli automatismi.
Questa è una esposizione, semplificata al massimo grado, di una tecnica di Psicosintesi che ho innestato nel corpus psicologico di Darsi Pace, con risultati di solito apprezzabili.
La qualità su cui lavoro da qualche tempo è il coraggio; la primavera e una cura obbligata al fegato (ove si dice che il coraggio abbia le radici), mi sembrano due fattori facilitanti.
Il coraggio.
È una qualità indispensabile per chi voglia fare un lavoro serio su di sé, non solo per superare gli ostacoli, ma anche perché guardare se stessi, per come veramente si è, ne richiede tanto, e poi per trasformare lo slancio, che pure è indispensabile, in un impegno costante, quotidiano, per non farsi scoraggiare dai tanti: non è per me, non ce la faccio, è troppo tardi, etc etc..
Così, da un po’ di tempo, agli abituali esercizi di Darsi Pace ho aggiunto un lavoro per l’attivazione del coraggio e fino a ieri mi sembrava di avere ottenuto dei buoni risultati, ho imparato a riconoscerlo ad esercitarlo, ci ho fatto amicizia.
Mi è sembrato un coronamento del lavoro fatto, sentirne forte la presenza, l’entusiasmo e l’urgenza, nell’eco che mi hanno suscitato le parole di Marco nella conferenza congiunta con Mauro Scardovelli (presenza a sua volta molto significativa), intitolata: ‘L’insurrezione dell’anima’. Le parole dette erano infuocate, capaci veramente di seminare insurrezione nei cuori. Quegli ‘eroici furori’ mi hanno fatto sentire possibile un’altra realtà, suggerito una visione di cambiamento radicale, dentro e fuori di me, e risvegliato un entusiasmo di fare che da molto non sentivo.
E perché allora il giorno dopo mi sono alzata con la mortale convinzione di non essere mai stata così lontana dal concludere qualcosa?
Mi sono tornati alla mente, con dovizia di particolari, tutti, ma proprio tutti, gli episodi in cui ho avuto comportamenti vili: quella volta all’ufficio postale, quell’altra con lo psicoterapeuta, e quell’uscita ingloriosa dal bar, dopo lo scontro col cassiere! E la paura di parlare in pubblico?
Episodi di viltà.
Anzi, la parola viltà è inappropriata, il suo tono aulico nobilita, è vile il re che non si schiera con i suoi soldati in battaglia, ma una figuraccia come la chiami? Vigliaccheria, vera e propria vigliaccheria.
Che vergogna!
Mi ricordo di quel sogno (cosa darei per poterlo risognare!) dove fuggo incalzata dall’angoscia.
La paura che sorge e ingigantisce se, durante gli esercizi di Darsi Pace, trovo paralleli con alcune fasi dell’analisi, i suoi momenti difficili, la certezza di trovarmi negli stessi bivi, di rifare gli stessi errori, di incontrare ancora quei giorni angosciosi e mortiferi in cui mi sentivo minacciata, assediata da un pericolo che mi poteva schiacciare.
E lo sgomento che provo sempre quando inizio a meditare e mi ritrovo con tutto quel tempo vuoto davanti che non posso proprio riempire in nessun modo?
E la paura infantile del buio contro cui ancora mi devo misurare?
Tutte le peggiori dimostrazioni di pavidità, le paure passate e presenti, mi sono sfilate davanti agli occhi. Dove pensavo di andare con quel bagaglio?
A fare la rivoluzione?
Ma dai, non scherziamo!
Dove lo trovo il coraggio di morire?
Io invoco la presenza del coraggio, ci lavoro su, ma è un’illusione che il coraggio possa prendere stabile dimora in me, si tratta di pura evasione nel mondo della fantasia, sono costituzionalmente vigliacca, e se non posso cambiare questo dato di fatto, come sembra, almeno me lo devo riconoscere con responsabilità.
È un aspetto di me che, siccome preferisco ignorare, dimentico facilmente, o mi dico che non è così importante nella totalità della mia dinamica psichica, ma ora mi è balzato incontro in tutta la sua evidenza e si è ingigantito ai miei occhi tanto da farmi credere che io sia proprio e solo così.
Ma non è vero.
Ascolto con piacevole sorpresa la voce fuori del coro unanime di condanna dei ‘signori giurati’ che sostiene che non è affatto così, è solo successo che da una polarità sono finita all’altra.
È una voce che sale dal profondo, dal nucleo, una voce che da molto tempo chiamo ‘ll Maestro interiore’ e che certo appartiene alla trascendenza e rispecchia una luce divina. Essa mi dice che all’interno dell’io, il coraggio e la paura sono le due facce della stessa dinamica, le vittorie dell’uno sull’altra o viceversa sono sempre parziali e temporanee, sono possibili compromessi, aggiustamenti, ma per trovare una vera soluzione bisogna cercare nella dimensione verticale.
Bisogna cercare nella mente-cuore, è lì che il coraggio dà i suoi frutti, nella loro varietà tutti danno la capacità di accettare la differenza dai modelli collettivi dell’io, per trovare la tranquilla forza di essere quello che si è, la dignità di essere quello che si è.
Allora questo è il compito.
Si tratta di trovare, di evocare, una nuova forma di coraggio e, come spesso accade, sembra un ossimoro: è il coraggio della paura, della propria vigliaccheria, smettere di ignorarla, far finta di non vederla; in questa chiave il coraggio consiste nel non resistere, non nel superare la paura tenendosi aggrappati all’io e alla sua enfasi. Il coraggio qui è Parsifal non Sigfrido, e l’importante per trovare il Sacro Graal, non è vincere battaglie, ma formulare la domanda giusta.
Carissima Grazia,
grazie per questa profonda e chiara pennellata sul coraggio …. anche l’immagine è eloquente! Mentre ti leggevo pensavo a come il vero coraggio ci renda anche vulnerabili cioè non ci orienta in modo automatico e consueto alle abitudini della maggioranza, ma alla propria coscienza. Guarda in faccia ai problemi e cerca di rimanere saldo, direi che le sfumature legate al coraggio sono la costanza e la fermezza è ciò che ci fa rimanere stabili di fronte agli automatismi interni ed esterni. Queste attitudini aiutano ad aprire gradualmente gli occhi interiori alla libertà. Non posso non concludere in risonanza al tuo bel commento con dei versetti della seconda lettera di S.Paolo ai Corinzi: “Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; incerti, ma non disperati, cacciati, ma non abbandonati; atterrati, ma non uccisi”. GRAZIE/GRAZIA!! Chiara
Cara Grazia,
Anche io sto lavorando molto su questo tema ultimamente. Io penso che al coraggio bisogna anche un po’ allenarsi, cercando di avere pazienza per tutte quelle volte in cui proprio non ce la facciamo, senza forzature. A volte si rischia che per dimostrare agli altri e a noi per primi che siamo coraggiosi ci sottoponiamo a inutili prove che non ci fanno un gran che bene. Penso che bisogna lasciare il tempo che questa qualità fiorisca dentro di noi come una qualità spirituale e non come una maschera , una dimostrazione di essere come se…Dici bene infatti, bisogna cercare nella mente-cuore, è lì che il coraggio da i suoi frutti, anche perchè è proprio lì che entriamo in relazione con il Principio che questi frutti li fa maturare. Il seme però riposa a lungo nel buio e per molto tempo ha solo bisogno di nutrimento, quindi accoglienza, fiducia, ascolto…E poi penso che si procede per tentativi, a volte per compromessi e aggiustamenti,come scrivi tu. A volte prevarrà il coraggio, molte altre volte no. La traccia delle nostre qualità è già presente in noi come le venature del marmo. Ci vuole una vita prima che a forza di scolpire dalle venature nasca l’opera compiuta, ma nel frattempo la bozza prende forma. È un processo dinamico e ci vuole la pazienza di accontentarsi di quello che intanto è già venuto fuori.
Bellissimo tema. Grazie!
Maila
Questa mattina ho letto la conclusione della Regola di San Benedetto.
“Tu dunque, chiunque tu sia, che ti affretti verso la patria celeste, metti in pratica, con l’aiuto di Cristo, questa minima Regola quale semplice inizio di vita monastica; e allora, con la protezione di Dio, giungerai a quelle cose più alte che abbiamo sopra ricordato: le vette della dottrina e della virtù. A CHI ATTUA QUESTO, SI APRIRÀ IL REGNO DEI CIELI. AMEN.”
Avremmo bisogno di una Regola, che ci insegni il difficile equilibrio tra rigore e accettazione.
Un caro saluto
Parafrasando e rispondendo alla domanda di Totò: io non nacqui coraggiosa, ma abitata dalla paura, da strati di paura che affondano in una cupa disperazione, in un senso profondo di solitudine.
Nel laboratorio Darsi pace imparo a riconoscerli, ad accoglierli senza giudicare, a comprenderne l’origine, ad attraversarli, a danzare sull’ orlo dell’Abisso che mi sostiene, ora lo comprendo, a vent’anni no, ma nemmeno a quaranta.
Eppure alla fine del triennio di base, nell’ ultimo esercizio di auto conoscimento, ho individuato nel coraggio una delle mie qualità spirituali.
Cara Grazia hai ragione, il coraggio e la paura sono due facce della stessa dinamica; ci manca coraggio perché abbiamo paura, paura delle conseguenze di una azione audace, ma anche paura del cambiamento, paura di vivere, paura di morire.
Se ritorno ad alcuni momenti della mia vita in cui la mia esposizione mi contrappose al mondo intero (questa era la mia percezione) vedo in essa non tanto un gesto audace quanto un atto disperato, un atto incomprensibile alle persone che frequentavo se non come mio disagio, malessere e rabbia che si ritorceva contro di me e mi faceva sentire sbagliata, inadeguata, incapace di adattarmi agli altri e al mondo.
Per me non seguire ciò che profondamente sentivo significava morire ed io, nonostante la paura, volevo vivere e sentivo possibile spingermi verso ciò che non sapevo e nemmeno riuscivo ad esprimere.
Sperimentiamo il vero coraggio quando non sopportiamo ciò che ci dà questo mondo e sotto sotto sentiamo possibile andare oltre, anche se l’Oltre ci è ignoto; quando impotenti restiamo a galla come morti e sperimentiamo di essere vivi, un po’ più veri perché davvero noi stessi.
Comincio a comprendere che attraversando la paura di vivere e di morire ricevo il coraggio di vivere e di morire, un coraggio che non è mio, mi viene donato da Chi con una dolcezza inaudita non si stanca di ripetere alla paurosa testarda che sono:
Giuliana non avere paura, io ho vinto la morte.
Grazie in un abbraccio.
Giuliana
A Chiara e Giuliana
Chiara ciao, le tue risonanze arricchiscono ed amplificano la mia testimonianza, sento anch’io che il coraggio può farci sentire più vulnerabili nei confronti del collettivo, può succedere che la tua verità, quella che senti l’obbligo di portare avanti, non sia condivisa, non sia neppure capita, e anzi, come ci racconta Giuliana, ci esponga ad essere guardati come alieni da coloro che ci stanno intorno e proiettano su di noi contenuti che ci fanno sentire sbagliati. Anche sul piano interiore, interpretare il coraggio, implica un incontro/scontro con la nostra vulnerabilità che, avendo trovato un obiettivo vitale a cui tendere, teme sempre più di non avere le capacità di raggiungerlo. Ma anch’io credo, come Giuliana che, a chi non ha paura della paura, il coraggio venga donato, e posso dire che l’attendo.
A Maila
Cara Maila, per quel po’ che ti conosco, così giovane come sei, di coraggio ne hai dimostrato tanto e su molti fronti: il trasferimento, la nuova vita, le nuove iniziative, il lavoro interiore, e credo che tu faccia bene ad avere pazienza e a non forzare, a lasciarlo fiorire in te come qualità spirituale, perché sicuramente le radici (e solide), le ha già messe. Grazie del tuo contributo.
Ad Aldo
Ho dato un’occhiata su Wiki alla ‘Regola di San Benedetto’, caro Aldo, ma quando ho visto che consta di ben 73 capitoli, ho pensato di lasciar perdere, perciò non so se ho capito bene quello che vuoi dire, ma se vuoi dire che a tutti noi servirebbe una regola capace di darci l’accesso ad un superiore mondo di sintesi tra gli opposti, sono certamente d’accordo con te. Purtroppo una simile regola non esiste e ognuno di noi deve cercarla in sé.
In quello che hai scritto mi ritrovo:tutti i miei problemi sono derivati dalla mancanza di coraggio,ma…scesa poi nel baratro ho trovato il coraggio della “disperazione” che mi ha dato la forza di agire e trovare una soluzione.
Sono sincera il coraggio me lo ha dato Lui al quale mi sono sempre rivolta ,che mi è stato sempre vicino.
Anche io ho paura e anche se il cammino che stiamo facendo mi è di grande aiuto, credo che senza il SUO aiuto non potremmo fare nulla;ho trovato la forza nell’affidamento che non mi è tanto facile mettere in atto.Ho sempre la certezza comunque che abbiamo chi pensa a noi e ci è sempre vicino.
Ti ringrazio per questa tua riflessione
Cari amici di Darsi Pace,
GRAZIE di avermi dato l’occasione per riflettere sul tema del CORAGGIO. Nei prossimi giorni sarò impegnata in un evento particolare di “discernimento condiviso”, che è il Capitolo Generale dell’Istituto a cui appartengo. Tante sono le mie paure: da quelle più immediate come la paura di dover parlare in pubblico o di vedere il riacutizzarsi di vecchie ferite nelle relazioni, a quelle più profonde come la paura di un cambiamento di vita, di guardare verso un futuro ignoto, di operare un’azione audace …
Mi ha consolato il sentir ripetere da voi che il coraggio non è mio, ma mi viene donato da Chi, con dolcezza inaudita, mi ripete senza stancarsi: “Non avere paura, io ho vinto la morte!”. Il Maestro Interiore che mi ha guidato in questi ultimi anni anche attraverso il cammino di Darsi Pace, ora – ne sono certa – mi darà la pace di accogliere me stessa con i miei limiti, la benevolenza nel guardare al presente della mia Congregazione e i suoi errori passati, il coraggio di formulare le giuste domande per il nostro futuro.
Ed è per questo che mi nasce dal cuore questa preghiera:
“Signore, pacifica il mio cuore perché possa condividere con altri la tua stessa pace.
Signore, rendi il mio cuore mite e umile, capace di vedere solo il bene e il bello che c’è nell’altra.
Signore, donami un cuore coraggioso capace di guardare OLTRE, di andare OLTRE e poi di vivere l’OLTRE. Amen!”
Un caro saluto a tutti
Cara Tiziana,
il tuo contributo ha il sapore dell’esperienza sofferta, grazie di averlo dato.
Cara Suor Filomena auspico che la perfetta riuscita dell’evento a cui devi partecipare non solo plachi le tue ansie, ma sia
propedeutico al proseguimento del cammino intrapreso in DP e che, come desideri ti apra l’Oltre.
Cara Suor Filomena, grazie della sua bella preghiera. Non so perchè ma ho sempre pensato che i religiosi non dovessero vincere ansie e paure come noi tutti, e mi dà conforto vedere che i nostri limiti umani ci accomunano, che non siam soli a cercare il coraggio e vincere paure profonde
Auguri affettuosi
Nicoletta