No, non è affatto immediato realizzare sempre e comunque di essere un astrofisico. Ci sono situazioni e momenti privilegiati, dove ti accorgi che la parola ha un suo determinato effetto. Se vogliamo magari dirlo in maniera scherzosa, dove comprendi che te la puoi vendere bene. Così è accaduto nella settimana a Trevi, e quello che è accaduto mi ha versato nel cuore una buona dose di stupore e — ultimamente — anche di gratitudine.
Perché gratitudine? Perché da questa posizione privilegiata — certo a volte scomoda ma indubbiamente privilegiata (i.e., quella di un astrofisico cui la scienza va un po’ stretta se non si ibrida e non si confronta continuamente ed accanitamente con le altre branche del sapere umano)— capisco che si riesce a vedere bene, si riesce a vedere molto.
E non sto parlando appena della posizione o della luminosità delle stelle.
Intendo, dell’animo umano nonché dell’umanissimo desiderio di conoscere e di sapere. E leggere l’uomo attraverso le stelle (calmi, niente a che vedere con l’astrologia) ho scoperto nel tempo che rappresenta una modalità particolare, una posizione probabilmente anomala ma veramente privilegiata, per arrivare esattamente lì, al cuore dell’umano. Il centro vero e pulsante dell’Universo, se vogliamo.
E’ come se, in un certo senso, si dovesse andare lontanissimo, spingersi in alto fino a domandarsi cose anche un po’ scomode, come cos’è tutto quello che c’è intorno a noi, qual è la natura dello scenario in cui siamo immersi. E arrivando così in alto, ecco, si compie un giro, si connettono gli universi, si attraversano di schianto — per qualche ancora sconosciuta legge di natura — misteriosi ed elusivi buchi neri, per sbucare infine dalla parte più interna di tutte, nel centro esatto del cuore dell’uomo.
Perché il cuore dell’uomo sia così legato alle stelle, così in connessione con le stelle, questo non lo so. Ma lo vedo, lo avverto: è così. E più vado avanti, più capisco che è esattamente così. E che forse è il vero ed unico motivo per cui uno come me — con una forte passione per la letteratura e lo scrivere— abbia intrapreso questa carriera di studi così “scientifica”.
Sì, anche nel mio cuore per certi versi si chiude un cerchio. I conti cominciano a tornare — ed iniziano curiosamente a tornare proprio quando mi apro ad altri saperi oltre la matematica, oltre il regno delle scienze esatte.
Così ho attraversato i miei giorni di permanenza ad una settimana di seminari ed incontri decisamente interessante tenutosi a Trevi, L’insurrezione della nuova umanità.
Ed ecco, quella frase buttata lì quasi per caso all’atto della mia presentazione, io sono un astrofisico, sì è presto rivelata un formidabile generatore di incontri, colloqui, conversazioni. Un catalizzatore indomito e potente di aperture, spunti, approfondimenti, domande, confronti. Fatti della pasta più preziosa che si può trovare in circolazione, fatti di vera umanità.
Vi avverto: sull’essere astrofisico in mezzo a tanta umanità in ricerca, potrei riempire un libro. Da chi mi raccontava dello stupore dei “suoi” soldati in Afghanistan davanti al cielo stellato, a chi mi domandava dei destini ultimi del cosmo, a chi voleva sapere cosa la scienza ci dice dei multiversi e delle proiezioni olografiche con le quali secondo alcuni modelli matematici si immagina l’universo, a discussioni su quel che dicono persone come la Giuliana Conforto, a tante tante altre ricche occasioni di dialogo.
Alla fine mi sono convinto che sì, c’è bisogno di più astrofisici in giro. Tanto che mi verrebbe da dire, conviene disperderne qualcuno un po’ in ogni ambiente (va bene anche uno per chilometro quadro, come prima stima).
C’è una grande fame di senso, di significato, avvertibile ormai a tutti i livelli.
Questo è abbastanza evidente per quasi tutti (ed è il motivo fondante, tra l’altro, di iniziative come quella di Trevi). Ma il fatto bello e forse non ampiamente meditato, è che questa domanda del chi siamo si incontra e si ibrida quasi inevitabilmente con la domanda del dove siamo. Dove siamo a vasta scala — ovvero cosa è tutto quello che esiste intorno a me.
E non per gioco, o per passatempo intellettuale: perché mi serve per capire cosa c’è dentro di me.
Non c’è niente da fare: devo (anche) capire dove sono per capire profondamente chi sono.
In fin dei conti è stato sempre così, fin dai tempi più antichi. Le stelle — lo sappiano o meno— hanno sempre avuto a che vedere con noi, con il nostro stesso destino. E se oggi giustamente rigettiamo l’astrologia come tentativo credibile di connessione tra l’infinitamente grande e il nostro piccolo, ci tocca comunque di fare il salto, di inventare ed abitare un nuovo modo di collegarci agli astri.
Voglio dire: se finalmente all’astrologia non ci crediamo più, al di là della curiosità o del folklore (e senza dimenticare comunque che per molto tempo è stata intimamente legata all’astronomia stessa, in maniera difficilmente rescindibile), forse vuol dire che da adesso in poi l’astronomia stessa si deve far parte di quella carica di umanità che comunque è parte vitale del nostro vivere e della nostra connessione con il cosmo.
L’astronomia, l’astrofisica si prestano assai bene a fare da cornice ad un nuovo modo di concepire la scienza nel suo insieme, ad una AltraScienza dove tutte le discipline possano non più contrapporsi ma accomodarsi l’una vicino all’altra, in modo dialogico e non conflittuale (quel modo che è stato il perno vivo dell’esperimento di Trevi).
L’astronomia, che scopre sempre di più di abitare un universo misteriosamente relazionale e compartecipe in qualche misura di quel che accade al suo interno, può e deve iniziare ora la paziente tessitura di un quadro nuovo della struttura del cosmo. Nel quale l’uomo, finalmente, può riprendere il posto che gli spetta: quel punto privilegiato in cui l’universo stesso si ricomprende e si abbraccia, in una misteriosa profondissima connessione con tutto.
Caro Marco Castellani GRAZIE.
Grazie per la condivisione di questa connessione tra terra e cielo che si realizza nella tua persona. Si spalanca una finestra su un panorama mozzafiato. Anche per me, che vivo nel piccolo angolo di terra dove sono nata, dove incrocio relazioni ancora un po’ sbagliate e ogni giorno guardo in faccia i miei mostri e accetto finalmente il mio buio interiore, aspettando che qualcosa accada lì dove il cuore pulsa.
Vorrei porre una questione all’astrofisico (ma non solo): a proposito del progetto E-ELT, mi incuriosirebbe sapere quale è la tua VISIONE.
Cara Lidia,
grazie a te per le tue gentilissime parole! Comprendo bene, sai, l’accenno al buio interiore. Forse per il mestiere che faccio, sono abituato al brilluccichìo delle stelle, ma ahimé anche al senso di buio, molto più faticoso da sopportare quando è interiore, rispetto a quando è “appena” nel cielo. Accettarlo, capisco, è il primo passo per trasformarlo. Non è sempre facile… io in fondo sono in DP proprio per questo.
Per quando riguarda E-ELT, ovvero l’European Extremely Large Telescope, ebbene a mio avviso è un progetto di grandissimo interesse, per varie ragioni. Primo, è il telescopio prossimo di punta per ESO (l’agenzia spaziale europea), un ente a cui dobbiamo tantissimo della nostra conoscenza dello spazio profondo, e questo è già un ottimo biglietto da visita. Secondo, è (appunto) pienamente europeo: penso sia importante, perché l’unificazione dell’Europa, affinché non sia appunto solo dei banchieri e dell’economia, deve passare attraverso – anche – grandi progetti che ci vedono uniti, e questo è veramente ambizioso e realistico, al contempo. Dunque prezioso. Come ho avuto modo di studiare (e di riferire, ad un congresso di qualche anno fa ad Ischia, http://www.eso.org/sci/meetings/2011/feedgiant.html) si sposa benissimo con progetti di punta come GAIA, attualmente in fase di raccolta dati, per concorrere a formare una conoscenza dell’universo quanto mai dettagliata e precisa.
Per tutti questi motivi, mi auguro che venga costruito al più presto!
Un abbraccio,
Marco
Grazie, carissimo, mi pare proprio una sorta di manifesto per l’Altrascienza, abbiamo infatti tutti fame di un discorso sul senso ultimo, che non dimentichi i significati che la scienza ci offre, liberati dalle limitazioni di uno scientismo fuori moda, che pure pervade tuttora il senso comune. Un abbraccio. Marco
Grazie Marco,
le tue parole ci aiutano a individuare un percorso sicuro per AltraScienza, un compito di cui avvertiamo sempre di più la responsabilità e anche direi l’urgenza.
Un abbraccio!
Marco
Ottimo! ne sono felice, tenetemi al corrente degli sviluppi. Ciao. Marco
E’ per me una gioia che ci siano astrofisici che si occupino anche del nostro mondo interiore! Se entro nello stato del sé, sono in relazione con Dio, con gli altri e con tutto l’universo! Con Darsi Pace lavoro sugli ostacoli, sulle barriere che mi tengono lontano da questa certezza. Auguri! Mariapia
Cara Mariapia,
grazie per le tue parole! Io penso che per gli astrofisici sia piuttosto evidente che sono tempi “estremi” in cui la conoscenza dell’universo viene scossa dalle fondamenta, e questo provoca quasi inevitabilmente verso la necessità di recuperare un senso in quanto si osserva nei cieli…
Le notizie ormai si susseguono incessantemente e perturbano un sistema di pensiero, un modo di guardare al comso, che rischiava di sedimentare. E’ come se “qualcosa” ci esortasse a tenerci desti, momento per momento. Dopo le onde gravitazionali, nemmeno spentasi l’eco, ecco la scoperta assolutamente imprevista, di un pianeta come la Terra, nel posto più vicino possibile alla Terra… http://www.gruppolocale.it/2016/08/terre-gemelle-pensieri-nuovi/
Anch’io amo l’astrofisico ( in questo caso proprio te, caro Marco Castellani!!!).
Ti sento e sei davvero un fedele ricercatore di senso che sbriciola il suo sapere con umiltà, sapendo di sapere poco ma anche con grande riconoscenza verso i maestri e attenzione verso i Pollicini come me che senza le briciole rischiano di smarrirsi nella contemplazione del cielo e nella difficile coniugazione con la Terra. Grazie e Buon cammino sempre. Giuseppina Nieddu