Oggi sono in vena di viaggi. Scelgo una cellula del mio corpo e mi ci tuffo. Mi infilo nel suo nucleo e rimango affascinata dai metri di DNA che si arrotolano e si dipanano a velocità vertiginose. Sono regali soltanto di mia madre e di mio padre? Sembra che narrino una storia molto più antica. Retrocedendo di divisione cellulare in divisione, ritorno zigote, poi cellule germinali di due corpi diversi, e così, riavvolgendo il nastro della storia, le molecole che mi costituiranno si diluiscono sempre di più, sparpagliate nell’ambiente. Vortici e scossoni, approdi quieti prima di ripartire di nuovo per un cammino tutto da scoprire, in un gioco continuo di mettere insieme e smembrare, di dividere e unire, di toccarsi e lasciarsi andare. Di catastrofi e di ricominciamenti.
La scienza racconta di cinque estinzioni di massa di cui si è finora a conoscenza, riferite agli ultimi 500 milioni di anni quando, ogni volta, una grande fetta di biodiversità è stata spazzata via. Forse tutti abbiamo in mente la grande estinzione dei dinosauri 66 milioni di anni fa quando, in realtà, si estinse circa il 70% delle specie – anche se a noi piacciono tanto Dino e i suoi da dimenticarci degli altri.
Dopo ciascuna catastrofe, però, la vita ha saputo sempre riadattarsi, rifiorire. La crisi abissale è stata trasformata in opportunità di vita rinnovata: nuove specie appaiono su linee evolutive inaspettate.
Ma allora io sono fatta della sostanza di cui sono fatte le catastrofi – e chissà, forse non è solo una metafora.
Quando l’angoscia preme, mi manca l’aria, non respiro più, mi sento all’angolo, non c’è soluzione, non c’è scampo, è tutto inutile: le lame taglienti sul rotore mi fanno a fettine, passata al tritacarne, spossata mi acquieto poltiglia. Quando ho toccato il fondo dell’abisso che mi divora e continuo a precipitare, qualcosa perturba il nero assoluto, una screpolatura lascia intravedere un debole alone più chiaro, chiamarlo luce è troppo, ma mi ci attacco: non ho altro. E allora se gli do credito, se affino la percezione, quel debole segnale si irrobustisce quel tanto che basta per farmi intuire che il nero assoluto non esiste, che è un’illusione ottica. La vita riprende, nella sua costitutiva precarietà che imparo a riconoscere come l’oscillazione del costante rifacimento.
Noi oggi, dicono gli scienziati, abbiamo sotto gli occhi le avvisaglie di una sesta estinzione di massa, quali ad esempio l’acidificazione dei mari e l’aumento delle temperature. Questa volta Homo sapiens è in prima fila a godersi lo spettacolo, ma è anche aiuto-regista tanto che, negli ambienti scientifici che occhieggiano all’inventiva del Premio Nobel Paul Crutzen, si sta valutando di ribattezzare la nostra epoca geologica come Antropocene. Questa volta abbiamo voce in capitolo.
Dall’evoluzione, con noi e in noi, è emersa la coscienza, un altro passaggio non previsto che ha prodotto una potenza inaudita, con conseguenze disastrose quando perdiamo l’orientamento, il nostro reale punto di appoggio, la fondazione in un Altro da cui soltanto possiamo attingere la nostra identità in creativa costruzione. Ma correggere il tiro non è senza prezzo. Gli sconquassi delle catastrofi nella storia della Terra risuonano nella nostra carne, ci appartengono come esseri terrestri. Il tempo in cui viviamo, che ha i segni di una potenziale crisi ecosistemica di vasta portata, ha questa volta un antropo che può decidere per un’altra traiettoria. Nel punto di rottura, possiamo virare verso un’interpretazione dell’essere al mondo radicalmente rinnovata, dove lo stile relazionale che ciascun essere umano mette in atto diventa decisivo per lo stare al mondo non soltanto di qualunque altro essere umano, ma di ogni creatura.
Se Homo sapiens avrà il coraggio di deviare al bivio fatidico, che è ad ogni istante, per superare la relazionalità contrappositiva, polemica e bellica con cui si è definito finora, per scoprire una relazionalità intima, solidale e confidente, potrà rovesciare le sorti di sé e del mondo. Ristrutturando se stessa, l’umanità potrà ristrutturare il mondo che abita e farlo riaffiorare ripensato e aperto ad una ulteriore avventura.
Ciao Iside,
leggendo il tuo bel post, a proposito di catastrofi a cui siamo sopravvissuti, non potevo fare a meno di ripensare alla catastrofe forse più grande di tutte, che per nostra fortuna ci siamo scampati. L’intero nostro Universo, secondo la cosmologia, non è altro che un “rimasuglio”, una piccola parte di quello che era prima, e che si è drammaticamente azzerato in una collisione cosmica materia-antimateria. Roba che non ci riguarda direttamente, certo. Roba che è avvenuta (se il modello è corretto) al vero inizio del tempo.
Dici bene, “Dopo ciascuna catastrofe, però, la vita ha saputo sempre riadattarsi, rifiorire. La crisi abissale è stata trasformata in opportunità di vita rinnovata: nuove specie appaiono su linee evolutive inaspettate.”
Questa catastrofe cosmica, che per un ipotetico osservatore esterno poteva sembrare la perdita del TUTTO, con immense quantità di materia scomparse praticamente nel nulla… era forse la premessa lontana ad un destino incredibile.
A pensarci fa senso; fin dall’inizio la nostra avventura è consistita nello scampare alle catastrofi. E inaspettatamente, trovare lì il nostro ambiente, iniziare lì la nostra sfida. Fin dal vero inizio, non siamo “mainstream”, non lo siamo mai stati, nemmeno in senso cosmico: siamo dove sono gli scampati.
Grazie, cara Iside, di questo tuo magistralmente chiaro e poetico exursus nella storia del cosmo che comprende anche la nostra ,di homo sapiens.
Ci ricordi così che è Indispensabile riflettere sulla responsabilità dell’uomo, dell’unico essere dotato di auto- coscienza, che oggi si trova davanti ad un bivio: andare avanti solo per inerzia, per arrivare alla distruzione di tutto in un abisso di non- senso. Oppure scoprire e vivere in noi la creatività divina e lottare per rinnovare tutto, per proporsi non più con cieco egoismo, ma come forza collaborativa ; siamo all’alba di una nuova era? Questo mi emoziona e mi chiedo da dove incominciare a costruire e apprezzare il nuovo.
Inizio questo nuovo anno di lavoro in D.P. con questa aspettativa, ci ritroveremo insieme in un nuovo assetto cosmico ed esperienziale? O ci siamo già? Mariapia
…quindi un’ inversione di rotta che non ha precedenti nella storia dell’ universo?!?!
A tanto saremmo destinati, alla redenzione dell’ intero cosmo (è anche S.Paolo che lo scrive in una sua Lettera, se non ricordo male ) ?
Cara Iside, brividi e vertigini…Grazie per averci ricordato l’ importante compito al quale siamo chiamati!
mcarla
…brividi e vertigini mi dà pensare alla mutazione che stiamo vivendo su scala cosmica, pensare all’ essere umano come autocoscienza dell’Universo, come l’Universo che parla e si interroga sul senso dell’Universo.
Il laboratorio Darsi pace è il luogo in cui riesco a guardare la crisi di identità, di significato, di orientamento che stiamo attraversando in modo positivo, senza subirla, imparando a mettermi in discussione e ad andare oltre le conoscenze accumulate.
Attraverso la pratica ogni giorno posso oppormi a tutte le pesantezze, a tutte le pigrizie e aprirmi allo Spirito che nuovamente scende nelle coscienze umane per rinnovarle.
Grazie Iside per la tua presenza in cordata e grazie a tutte le persone che non si lasciano intorpidire dalle basse frequenze di pensiero a cui vuole mantenerci la cultura dominante.
Giuliana
La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata testata d’angolo.
Da rimasugli scartati possiamo ricominciare per davvero e, da qui, lasciare spazio al Nascente perché insieme possiamo dare nuova forma ai brandelli cosmici per farli diventare nuova vita.
iside
Cara Iside,
in questi giorni penso spesso a come questo tempo storico stia diventando sempre più apocalittico e finale nelle situazioni concrete, nelle follie quotidiane spacciate per routine, nei volti, nei gesti inconsulti, nell’alienazione violenta che frulla le menti e le coscienze.
L’anima soffre in questo caos glocale, nel quale il vero il dramma è il fatto che nessuno dica più che stiamo vivendo un dramma.
L’illusione si scopre solamente rendendosi conto di vivere all’interno di una menzogna.
Sappiamo bene quanto questo sia difficile e richieda un lavoro sempre nuovo su noi stessi.
Questo è essenziale dunque: tornare sempre a richiedere perché stiamo vivendo, che senso abbia l’universo e quindi come dovremmo abitare il mondo. Questo è il coraggio di rompere il guscio nel quale ci tengono/ci teniamo? reclusi e separati dalla fonte della vita.
Darsi pace talvolta è anche dare fuoco, come dice Gesù, e quanto vorrebbe che fosse già acceso…
Straordinario leggere che giorno dopo giorno elaboriamo un altro modo di pensare, una cultura, una comunione di intenti e di significati. Questo è già cambiare il mondo, plasmare un’altra forma nella quale esistere e resistere.
Francesco
Leggendo questo post ho pensato subito al progetto di creatività culturale di AltraScienza, che sarebbe, se ho capito bene, il tentativo di collocare anche la ricerca scientifica dentro questo paradigma di grande passaggio evolutivo, in cui tutte le dimensioni umane sono coinvolte, e quindi anche quella forma di conoscenza che chiamiamo scienza.
Già con i post di Marco Castellani su questo blog ho avuto l’impressione di una nuova lente puntata verso il cielo, verso l’immensamente grande. Ora la stessa lente la vedo rivolta verso l’infinitamente piccolo, il nostro Dna, e verso la storia evolutiva della vita sulla Terra. Trovo tutto questo affascinante e anche consolante, perché non è solo un discorso intellettuale, che finisce dentro qualche cassetto della memoria, ma è estremamente concreto.
Siamo fatti della stessa materia delle stelle, la nostra osservazione dei fenomeni ne influenza in qualche modo il decorso, veniamo da separazioni, discontinuità e crisi millenarie che non hanno estinto la vita ma l’hanno differenziata e rafforzata.
Allora anche le nostre crisi personali, familiari, sociali possono essere passaggi evolutivi carichi di opportunità, strettoie che hanno una qualche parentela con il modo in cui procedono, misteriosamente, la vita e l’universo.
Che poi è quello che ci diciamo in Darsi Pace fin dal primo anno.
Però mi serve sentirmelo dire di nuovo, anche da questa angolatura scientifica. La separazione tra il dentro e il fuori si riduce, e la speranza di essere attori e non solo vittime o spettatori aumenta.
Grazie Iside!
Antonietta
Le vostre riflessioni mi sono di conforto. Ringrazio e spero di poter approfondire.