Il discorso che il vero poeta fa (il verbo greco “poieō” indica proprio un fare) è quel dialogo che si svolge molto in profondità nel nostro essere e al quale perciò, di norma, non diamo molto credito. Esso parla di una sostanza divina della creazione, di una bellezza infinita delle cose e degli esseri umani, di un amore per il quale vale la pena vivere e morire. Abitualmente però non riusciamo a vivere in sintonia con questa voce, con il suo ritmo incalzante, con la sua perentorietà. Ci provoca e intima nell’intimo ad aprirci, a tentare questo gioco della vita, a provarci a conquistare questa bellezza e questo desiderio eterno di realizzazione della gioia.
Spesso la riceviamo male, come una radio sintonizzata in modo inappropriato, altre volte non vogliamo ascoltarla, perché rattrappiti nella nostra fortezza di paura e di angoscia, oppure troppo stanchi dal corso degli eventi della giornata per dare adito a queste assurde fantasie. Ma il fatto che siamo vivi non è uno scherzo, non è banale di primo acchito. Sentiamo il fuoco dentro per questo mistero, esemplificato dalle tre domande fondamentali di Kant: che cosa posso conoscere? che cosa devo fare? cosa posso sperare?
Altre volte questa voce è spenta, soffocata dal caos e dall’insensatezza spietata del mondo.
Poi dal nulla, quasi per caso, un bel giorno, tutto d’un tratto, proprio mentre meno te lo aspetti, canta di gioia la luce della vita, risplendono nel cuore le costellazioni più sublimi e leggere dell’anima, che ci rendono capaci di leggere con uno sguardo diverso i fonogrammi del cielo[1].
Questo è lo spettroscopio delle variazioni innumerevoli della nostra anima che continuamente prende corpo nel tessuto della storia individuale e collettiva. Quasi sempre non vi ci prestiamo attenzione, semplicemente vivendo queste fasi così come capitano, lunatica mente, come attori passivi di una sceneggiatura di cui non conosciamo l’autore. Da qui può ciò nondimeno nascere un’altra consapevolezza, non per auto indurre ingenuamente stati d’animo a nostro piacimento, la felicità infatti non sta nell’essere sempre contenti, ma nel comprendere che la libertà ha a che fare con il prendere distacco dall’automatismo della vita. Questa è la grandezza dell’essere umano, ciò che lo differenzia dall’animale e ciò che rende un adulto responsabile, cioè capace di rispondere alle situazioni che gli si presentano, e di sposare ciò che crede essere il meglio per se stesso. Ma come possiamo rispondere ad una situazione se non sappiamo cosa sta accadendo?
Un ultimo spunto riguarda la grazia che sola può darci la fortuna di tornare in contatto con quella voce da cui siamo partiti. Quella voce, questa profondità abissale della vita e della morte, del mistero del dolore e dell’esistere umano, è l’essenza della realtà. Noi stessi dunque siamo quella voce, e dunque imparare ad ascoltarla significa conoscere se stessi. Nosci te ipsum infatti è il fondamento di tutte le sapienze delle terra. Che differenza vi è del resto fra conoscere noi stessi e conoscere Dio? Per ascoltare questa voce però è necessario un lungo cammino di conversione della mente e del cuore. Serve tempo, e silenzio. Per imparare ad ascoltare a nuovi livelli di profondità bisogna silenziare la mente, e qui la pratica quotidiana di meditazione è quanto mai essenziale. Ma soprattutto credo che si debba ritrovare il coraggio di credere nella vita e nella possibilità di ridare un senso a noi stessi e al pianeta. Cambiare il mondo in meglio è il desiderio più profondo di ogni essere umano: cercare di creare qualcosa di più grande, di più armonico, di più bello è l’evento della storia. Per questo viviamo e cantiamo con nuova voce, perché è ora di tornare a credere che sia possibile riformulare un altro futuro per l’essere umano sulla terra.
[1] Da un verso di una poesia di Marco Guzzi, intitolata “Il comandante” dal libro “Parole per Nascere” , p.21.
” La felicità non sta nell’essere sempre contenti, ma nel comprendere che la libertà ha a che fare con il prendere distacco dall’automatismo della vita”. Di queste parole voglio conservare memoria per rinnovare l’impegno di esercitarmi ogni giorno, con convinzione, nella libertà, lamentarsi degli altri o della sfortuna e cadere nel vittimismo non serve a nulla, per realizzare al meglio tutte le potenzialità della nostra umanità. Per leggere ” i fonogrammi del cielo” occorre essere aperti alla speranza, alle sorprese e e al gioco! Mariapia
“Che differenza vi è del resto fra conoscere noi stessi e conoscere Dio? “…
Carissimo Francesco, sono profondamente sintonizzata su questa domanda, è il filo conduttore che mi sta accompagnando ad entrare profondamente in “contatto” , con realismo e concretezza, nella relazione con il Mistero che è in me e in ogni uomo.
Ricerca e sorpresa nel lasciarmi stupire dallo sguardo che non tradisce mai, la Pupilla rotante sull’eterno giro della vita di cui è composto il mio occhio.
Grazie per avermi dato la possibilità di soffermarmi nuovamente su queste parole. Vanna
Caro insorgente forse era meglio dire “nosce te ipsum”.
Complimenti per la scelta del quadro
La poesia: “Il comandante” è un’altro grande, e per me davvero importante, testo che tanto continua ad aiutarmi per rimanere saldo e mantenere la mia integrità sia nelle relazioni con gli altri, sia nelle mie battaglie interiori e spirituali. Credo sia un riferimento giustissimo! Mi fa piacere riportare il link del post in cui se ne parla
http://www.darsipace.it/2014/06/19/chi-resta-saldo/
Grazie e un caro saluto a tutti, Fabio
Caro Francesco,
grazie per averci ricordato la parola dei poeti, quella vera, potente, che trasforma e realizza ciò che dice.
Grazie per aver fondato nel silenzio la forza di questa parola, che sorprende sempre chi impara a affidarsi al suo dettato.
Caro Fabio, grazie per essere così spesso il cuore pulsante del nostro movimento, facendo memoria dei passaggi, condividendo i momenti che per te sono stati significativi, rinnovandone così l’efficacia e facendoli diventare un tesoro prezioso per tutti noi.
Un saluto a tutti e in particolare alle amiche Giuliana, Rosella, Gabriella e Angela che in quel post del 2014 avevo dimenticato di ringraziare:)
Paola
E’ vero, caro Francesco, la voce poetica parla dalla profondità abissale della vita e della morte ed è vera proprio perché sgorga da questo abisso.
Ho riletto giorni fa un libriccino “L’uomo che cammina” scritto Cristian Bobin , un poeta secondo me anche se il libro è scritto in prosa.
“L’uomo che cammina è quel folle che pensa che si possa assaporare una vita così abbondante da inghiottire perfino la morte.”
Questa la conclusione del testo:
“Forse non abbiamo mai avuto altra scelta che tra una parola folle e una parola vana.”
La considero vera per ciascuno di noi : non abbiamo grandi alternative tra una parola folle e una parola vana.
Grazie perciò ai veri poeti che nel vano rumore di questo mondo sanno ascoltare e donare parole folli, infuocate di vita.
Ti abbraccio, giuliana
Non conosco il latino, non l’ho studiato, lo ignoro, ammetto di essere ignorante per cui, mi pare, forse Francesco Marabotti ha fatto un errore. Comunque, se così fosse, non mi sembra grave; sicuramente recupererà, anche grazie al generoso ammaestramento del Sig. Anonimo (o Anonima, non so). Per lui (o lei) la vedo invece un po’ più difficile. Sicuramente molto colto e intelligente, pure esperto d’arte, pare un po’ scarsino a livello di caratura umana… lì è un po’ più difficile recuperare, ma c’è sempre speranza, mai disperare.
Un brano che mi piace spesso riascoltare così, nel contesto del film in cui è inserito, per darmi forza, oltre che pace 🙂
https://www.youtube.com/watch?v=p7vjlG3w8VA
Paolo
Grazie Francesco, parole fondamentali, vitali come i colori del dipinto che hai scelto come immagine.
Hai rilanciato un salvagente colorato per questo tempo sempre più affannato, per chi si abbandona per inerzia alla corrente o cerca di risalirla ma inutilmente.
Bello anche che già in giovane età tu abbia potuto e saputo sviluppare questa consapevolezza e ti impegni per condividerla. Auguri. Stefania
Non ci siamo perduti
cari amici
compagni dello stesso cammino.
Avete mai sentito parlare
della Terra dove in vento canta con la voce del flauto
e dove scorrono ruscelli di latte e miele?
Noi veniamo da quel luogo
là c’è la nostra casa
e là stiamo ritornando.
Cari tutti,
grazie dei commenti
e del supporto. Sì rettifico, in latino è “Nosce te ipsum”.
Un tempo estremo il nostro, che richiede abilità uniche ed una forza che forse l’umanità
non ha mai dovuto nemmeno immaginare. Per questo cerchiamo di attingere
ad una fonte inesauribile, una luce capace di darci pace.
Francesco