Ci tenevo tanto a prepararmi per il Natale, ne sentivo già la premonizione dentro di me, quel clima di attesa dolce, come sente chi è certo che gli è riservato qualcosa di molto bello dedicato a lui, proprio a lui (lei).
Quest’anno – mi dicevo – non permetterò, come è successo gli altri anni, al clamore, allo stress quotidiano, all’industria del regalo, ai disturbatori di professione, di distrarmi da questa luce interiore che si sta accendendo, la alimenterò con cura, non permetterò a nessuno di distogliermi da lei.
Questa volta entrerò nello spirito del Natale con lo stesso turbamento e coinvolgimento, (che ricordo benissimo), di quando ero bambina e sentivo che questo era tempo di miracoli e che ce ne era in preparazione uno per me.
Questo cammino in DP mi ha reso più percettiva nei confronti dei possibili miracoli, mentre ancora non ho costituito un prontuario di pronta applicazione per le eperienze negative, dolorose, così un avvenimento improvviso e tragico mi dirotta su tutt’altro clima, con una subitaneità travolgente, dopo un giorno di ricovero in ospedale, muore la mia vicina di casa, un’amica.
“La morte è una cosa terribile, io proprio non la capisco…”
È il commento di un’amica comune all’avvenimento che, per quanto lunare possa sembrare, illustra bene lo sbigottimento che prende chi rimane nei casi di morte così improvvisa, è come veder cadere un fulmine un po’ più in là di dove ti trovi tu, e ti chiedi: perché lei e non me?
Confusamente sentivo quel privilegio come un arbitrio ingiustificato che un po’ riverberava di sensi di colpa il dolore per la mancanza, la com-passione portava con sé la tentazione di condividere il morire con lei, e poiché non è possibile la vera morte, mi sentivo spinta ad essere lei, ad essere con lei prima del congedo definitivo, in un accompagnamento estremo, una specie di condivisione di un abisso immaginato, in una inconsapevole resa al nulla, al non essere, condizioni esistenziali contro cui lotto quotidianamente, esse si ripresentavano ora come protagoniste, approfittando della debolezza che il cordoglio creava, esercitavano il loro venefico potere attrattivo, e dicevano: infine, questa è la verità, tutto il resto non conta.
Ecco, del Natale, della sua musica, del suo spirito non c’è più traccia, e la tentazione è cedere a quest’onda senza capire chi è e perché ti porta via.
E morire.
In questo luttuoso gioco identificativo, mi sono chiesta come si sarebbe comportata la mia amica in una situazione del genere, ricordando com’era semplice e diretta, e accudente, ho fatto ciò che avrebbe fatto lei: mi sono messa a cucinare per noi, per la figlia e tutti i suoi parenti, l’ho fatto con la cura attenta con cui si prepara un pranzo per amici cari, e quando in omaggio all’impegno profuso, tutti abbiamo preso contatto con il cibo che è nutrimento e vita, e di conseguenza con il corpo, ci siamo aperti alle cose semplici, terrene, la gola stretta si è schiusa e mi sono ritrovata parzialmente pacificata.
Ma la vera consolazione non si trovava lì.
Senza chiederla, avevo accettato l’incomprensibilità della morte, scontandola come una disfatta data, a cui tentiamo di abituarci per tutta la vita, avevo pregato per la mia amica, ma non per me, per la mia consolazione; come si diceva in un post precedente forse tutti, in un ‘a priori’ comune, riteniamo sia troppo chiedere consolazione, a me viene particolarmente difficile, a causa di qualcosa che vedo come goffaggine spirituale, in certi momenti mi sento maldestra, incapace di usare le parole che uniscono, che mettono in contatto con il Divino.
Nella meditazione del mattino, mi è venuta in soccorso la Preghiera dei figli di Dio, dove si dice: ….”muoio alla morte e muoio al peccato”…
Non semplicemente morire, ma morire alla morte, come cessazione dello stato di lutto, caratteristico dell’ego che ha costruito la grande muraglia pur di celare a se stesso la sua destinazione ultima, morire a quel modo di percepire la morte, anche la morte di una cara amica.
Morire al peccato come rendersi incapaci di sbagliare ancora, di perdere altre preziose occasioni di salvezza.
In questo morire c’è tutto, c’è il desiderio di scuotersi di dosso il giogo mortifero che ci condiziona, c’è la voglia di libertà; qui, il cordoglio per la morte di un’amica porta alla gioia di una comunicazione più alta, è un morire che prelude ad un nuovo inizio, promette rinascita, promette il Natale.
Evento che, non a caso, avviene nel solstizio d’inverno, il periodo più buio dell’anno, nel momento in cui la luce sembra morire, ecco si prepara la sua nascita.
“…. del Natale, della sua musica, del suo spirito non c’è più traccia…” verissimo. Perché anche noi, proprio noi, abbiamo perfino dimenticato quel Nome, il Suo, con il quale ha voluto farsi conoscere: Gesù.
Un Buon Natale (di Gesù C. N. S.) a tutti.
Grazie per la bella e profonda esperienza…l’amore passa attraversa gesti concreti,anche piccoli,umili,apparentemente insignificanti,quando è se riusciamo a non farci paralizzare dal dolore e andiamo oltre…alla fine “solo l’amore rimane”….e poi si ricomincia…ricominciare sempre…
Ti sono grata, Grazia, per questa condivisione così sincera e delicata di un’esperienza di attraversamento di un evento doloroso, con l’approdo a un’esperienza di autentica vita relazionale, di vera rinascita, come la festa di un Natale cristiano propone ed esige! Mariapia
Carissima Grazie, il tuo post giunge per in un momento davvero in sintonia. Questo dicembre è il primo anniversario della morte di mia madre, poi è morta un’amica che lottava da diverso tempo contro una malattia inesorabile, poi una brutta influenza mi ha tenuto a letto per due settimane… ho passato giorni interi a cercare di non naufragare in questa sensazione di morte così densa, mi sono mantenuta nell’affermazione della Luce che brilla in questa piccola lampada dentro di me accesa non da molto e che però si sta rivelando tenace anche nel buio angosciante della desolazione. Questa Luce ha un volto e un nome: Gesù Cristo e mi ritrovo con te nella trepidazione per questa imminente nascita che tutto illumina e guarisce.
Buon Natale a tutti
Loredana
Non so se ho capito tutto di ciò che ho letto sopra, ma di certo per me la morte di una persona cara va onorata, in modi diversi:
1)curando chi la persona avrebbe curato,come anello di continuità di contatto,
2)imparando qualcosa in più da quella morte, qualcosa da vivere nel quotidiano,
3)lodando ed onorando ancor più la vita che abbiamo il privilegio di continuare a vivere, occasione dilatata di apprendimento e gioia.
Buone feste in semplicità ed affetti
Claudia
“…ho fatto ciò che avrebbe fatto lei: mi sono messa a cucinare per noi, per la figlia e tutti i suoi parenti, l’ho fatto con la cura attenta con cui si prepara un pranzo per amici cari, e quando in omaggio all’impegno profuso, tutti abbiamo preso contatto con il cibo che è nutrimento e vita, e di conseguenza con il corpo”
Molto bello il tuo post, Grazia. E questa cosa del cucinare, umilissima se vogliamo, mi fa pensare a quanto Marco Guzzi dice della pratica: davanti alle proteste dell’ego, per il quale sembra una ridicola perdita di tempo, tu la fai e basta. Ci pensavo ieri, con la mia mente che tenta fortissimamente di riportarmi ai “grandi problemi” della mia vita, come se ragionando ne potessi venire a capo. Che rivoluzione pazzesca sedersi e meditare, invece! L’ego – lo sento – non lo sopporta. Vorrebbe tenermi a pensare. Gli dà proprio sui nervi, quando faccio così (e allora devo farlo di più).
Così il tuo metterti a cucinare mi pare una affermazione di una positività ultima molto più convincente di mille discorsi, anche e sopratutto “religiosi”. Mi ricordo di un funerale di famiglia, molti anni fa, dopo il quale mia suocera (anch’essa in cielo, ora) ci preparò un pranzo buonissimo, elaborato con grande cura. Lì per lì mi sembrò strano, ma ora capisco che era la cosa più vera che si poteva fare, per dire che la morte non è tutto, per farlo sentire proprio nelle viscere (altrimenti è pensiero astratto e non conta proprio niente).
Grazie,
Marco
Anch’io sono stata colpita dalle tue parole riportate nel commento di Marco C.
Mi hanno ricordato la mia adolescenza, il gesto di mia madre quando morì il padre di una mia cara amica: preparò una teglia di lasagne e mi disse di portarla a lei , a sua madre e a suo fratello.
Fare propri i gesti dell’amica che ti lascia è continuare a sentirla accanto a te, inizio di pacificazione dopo lo sbigottimento della sua morte improvvisa.
Cucinare con cura e attenzione per l’altro non è solo preparare del cibo è anche farsi cibo per l’altro,
“Date loro voi stessi da mangiare”
dare te stessa all’altro e scoprire, così facendo, che rivolgi la stessa cura a parti di te bisognose di nutrimento e di consolazione.
Il Nascente ci precede e ci sorprende, sempre!
Grazie, giuliana
Penso sia in relazione con tutto ciò che è stato postato e commentato…in Abruzzo c’ è ancora la tradizione di portare le “fettine” (di carne) ai parenti della persona defunta.
L’ho visto (personalmente) fare in occasione della morte del miei suoceri.
“Nutrimento e consolazione” per chi resta…attraverso il corpo, per il corpo (di Dio).
Non è un gioco di parole ma il titolo di un interessantissimo libro di Giorgio Bonaccorso che tempo fa Iside Fontana ci aveva suggerito di leggere.
Ciao a tutti, mcarla
Cari amici, grazie delle vostre risonanze, grazie a Giovanni, ad Anonimo, a M. Pia per l’apprezzamento, a Loredana per la concordanza, a Claudia per il riassunto chiarificatore, a Marco che ho immaginato alle prese con un ego recalcitrante e mi ha fatto ridere, a Giuliana, che riverbera la semplice attività del cucinare di luce evangelica, a M. Carla per l’indicazione di lettura.
A tutti: Buon Natale!
Cara Grazia,
hai avuto un’amica affezionata, dimostri di essere un’amica affezionata. Hai confortato i suoi preparando il cibo per loro, un gesto da amica. Mi sono ricordata di un bambino in cui avevo posto la speranza di aver trovato un amico, aveva cinque anni e io tre. Era un tipo speciale, sorrideva dolcemente e diceva di amare tutti. E’ morto un giorno di Natale. Per essere così piccolo era molto saggio. “Se tu conoscessi il mistero immenso del cielo dove ora vivo; se tu potessi vedere e sentire quello che io vedo e sento in questi orizzonti senza fine e in questa luce che tutto investe e penetra, tu non piangeresti” , è questa la consolazione. Un abbraccio. Buon Natale a te e a tutti. Stefania
Cara Stefania, il ricordo accorato ma accettante di quell’evento così triste, fa capire quanto sia stata forte la consolazione che è seguita, hai capito benissimo. è di quella che parlo, è quella che ho cercato. Un abbraccio, buon Natale.
Caro anonimo, grazie delle tue parole, però ti devo dire che la consolazione per la separazione da tante persone care è giunta solo molti anni più tardi dopo aver compreso che ci sono avvenimenti che vanno semplicemente accettati. Sia fatta la Sua volontà. Buon Natale anche a te.
Completamente in accordo con ultimo intervento di anonimo. Non è così facile elaborare certi lutti.sarà mancanza di fede,sarà carattere,sarà anche il tipo di lutto (giovane vecchio,malattia lunga o breve,morte naturale o suicidio), ma occorre tanto lavoro interiore,tanta pazienza e tempo per accettare le separazioni.