Chi ama i libri sperimenta presto la sensazione di essere come Pollicino: in letture diverse incontriamo richiami e suggestioni comuni, assonanze e coincidenze: allora la pagina si illumina, cogliamo un senso più ampio e profondo del testo, facciamo una piccola gioiosa esperienza di una possibile coesione del mondo.
A queste amate coincidenze sono quasi abituata, tuttavia qualche mese fa ho avuto una percezione così nitida e precisa da ammutolirmi e commuovermi: durante la mia lettura testardamente lenta de I Fratelli Karamazov, nel Libro VI che è posto al cuore del romanzo, mi sono imbattuta in due pagine che parlano proprio di noi e a noi: dall’ultima opera di Dostoevskij, che risale al 1879, mi è arrivata inaspettata la descrizione puntuale della “via del ritorno”, che intraprendiamo e riprendiamo ogni giorno in Darsi Pace.
Oltre a questo, ho trovato una raffigurazione che mi è sembrata profetica della parabola distruttiva dell’io ego-centrato, ancora alle soglie del Novecento. E l’annuncio di quella nuova umanità che faticosamente, gioiosamente, follemente cerchiamo di scorgere e di incarnare.
La voce narrante in queste pagine è quella del monaco “starec” Zosima, che racconta gli anni della sua formazione. L’altro personaggio è il “visitatore misterioso”, “un uomo stimato da tutti, agiatissimo, conosciuto per la sua munificenza”, che nasconde fino a quel momento il segreto di un gravissimo delitto commesso molti anni prima: grazie all’incontro con il futuro starec, il visitatore si determinerà a confessare, portando a compimento il proprio percorso di redenzione.
Buona lettura o rilettura a tutti!
” – Che la vita sia un paradiso, – mi diceva a un tratto, – è una cosa a cui vado pensando già da gran tempo, – e bruscamente soggiungeva: – E’ anzi la sola cosa a cui vado pensando -. Mi dà un’occhiata e dice, sorridendo: – Io ne son convinto più di voi: a suo tempo saprete perché -. A sentirlo parlare così, io pensavo fra me: <<Probabilmente, ha intenzione di confidarmi qualche cosa>>. – Il paradiso, – continuava egli, – sta annidato in ciascuno di noi: ecco qui, anche in me sta nascosto, e, purché io volessi, domani stesso s’instaurerebbe per me in modo effettivo, e per tutto il corso della mia vita.
Io lo osservo: parla con commozione, e di soppiatto guarda a me, in aria interrogativa. – E che poi ciascun uomo sia per tutti colpevole, indipendentemente dai peccati suoi, è questa una conclusione a cui siete giunto in modo giustissimo, ed è anzi sorprendente come di colpo voi abbiate potuto abbracciare in tutta la sua estensione un concetto simile. E in verità si può sperare che quando gli uomini intenderanno questo concetto, s’instaurerà fra essi il regno dei cieli non già come un sogno, ma come una realtà effettiva.
– Ma quando, – esclamai io a questo punto, dolorosamente, – questo avverrà, e sarà mai che avvenga? Non è forse un sogno, e nient’altro?
– Ecco, – rispose, – voi non avete fede: predicate agli altri e non avete fede. Sappiate invece che, in modo certo, questo sogno, come voi lo chiamate, si avvererà, credeteci pure: ma non sarà già adesso, poiché ogni avvenimento ha la sua legge. Si tratta d’un fatto spirituale, psicologico. Per rifare a nuovo il mondo, bisogna che gli uomini stessi, nella sfera psichica, compiano un rivolgimento in una nuova direzione. Finché tu non ti sarai fatto realmente fratello ad ognuno, non s’instaurerà la fratellanza. Giammai, con l’aiuto di nessuna scienza e sotto la spinta di nessun interesse, gli uomini non riusciranno a dividersi fra loro rettamente i propri beni e i propri diritti. Sempre ciascuno crederà d’aver poco, e sempre mormoreranno, s’invidieranno e si massacreranno l’un l’altro. Voi chiedete quando quello si avvererà. Si avvererà, ma prima deve concludersi il periodo dell’umano isolamento.
– Di quale isolamento intendete parlare? – domandai io.
– Ma di quello che ora regna dovunque, e soprattutto nel nostro secolo, sebbene non abbia ancora raggiunto il suo culmine, e non ne sia scaduto il termine. Infatti ciascuno tende ora a isolare il più possibile la propria persona, cerca di sperimentare in se stesso la pienezza della vita: e intanto, da tutti i suoi sforzi, risulta, non già una pienezza di vita, ma nient’altro che un pieno suicidio, giacché, in luogo d’una piena determinazione del proprio essere, si va a cadere nel più totale isolamento. E invero tutti, nel nostro secolo, si sono suddivisi in tante monadi: ciascuno si isola nel suo buco, ciascuno si allontana dall’altro, si rimpiatta e rimpiatta ciò che possiede: e finisce che si preclude ogni contatto cogli altri, e preclude agli altri ogni contatto con sé. Accumula, nel suo isolamento, la ricchezza, e pensa: quanto son potente ora io, come mi son liberato d’ogni ansia; e non sa, l’insensato, che quanto più accumula, tanto più a fondo s’immerge in una impotenza suicida. S’è infatti abituato a sperare in sé solo e s’è separato dal tutto come una monade a sé stante: ha avvezzato la sua anima a non aver fede nell’aiuto degli altri, negli uomini e nell’umanità, e non sa che trepidare dal timore che si perdano i suoi danari e i diritti che con essi ha acquistati. Sta diventando generale, ai nostri tempi, una grottesca incapacità dell’intelletto umano a intendere che la vera garanzia della propria persona non si raccomanda già agli sforzi dell’individuo isolato, ma all’universale comunanza umana. Ma non potrà a meno di avvenire che scoccherà il termine anche a questo tremendo isolamento, e tutti comprenderanno una buona volta quanto contrario alla natura sia stato il loro separarsi l’uno dall’altro. Tale sarà il movimento dei nuovi tempi, e ci si stupirà che tanto a lungo si sia potuti rimaner nelle tenebre, senza veder la luce. Allora apparirà lo stendardo del Figlio dell’Uomo nei cieli… Ma finché non venga quel momento, bisogna pur sempre custodir lo stendardo, e se altro non è possibile, magari anche isolatamente l’uomo deve dare l’esempio, e dall’isolamento innalzare l’anima a uno sforzo di comunione fraterna, foss’anche destinato a passare per pazzo. Questo, perché non muoia la grande idea.”
(edizione Einaudi 1993, pp. 402-403. Traduzione di Agostino Villa. Il corsivo è nel testo)
Carissima Irene, alleluja!
che bella scossa mattutina ci hai regalato!
Custodiamo e rinforziamo nei cuori la Grande Idea, lavorando al rivolgimento interiore, curando a livello psicologico le nostre chiusure e isolamenti, finché non scocchi questo termine che metterà fine al mondo dell’ego e instaurerà i tempi nuovi.
Un abbraccio a te, a tutti i ricercatori dello Spirito, e soprattutto al grande Fëdor Michajlovič!
Paola
Grazie, Irene, di aver scovato questa bella profezia, che ci incoraggia nel nostro cammino! Mariapia
È incredibile di come cambiano gli organi percettivi e la capacità creativa di incarnare “parole” seguendo il nostro cammino in DP. Le stesse parole lette tanto tempo fa, condivise e amate di Dostoevskij, ora entrano vive e urlanti nel mio corpo. Cosa è successo davvero. Perché questo non accadde allora, alla prima lettura? Eppure l’amore per Dostoevskij era lo stesso.
La risposta mi si è posata addosso ora – le parole che ascoltiamo si animano se entrano in risonanza con un’ altra parola trovata e custodita dentro di noi. “FEDE”. Allora avviene quell’abbraccio di sostanze che rimodella i sensi, li ripulisce dai vecchi odori e sapori. È una parola “decoder” che richiamandoci al nostro principio di verità e di senso, accoglie a se solo le frequenze che cantano in accordo, fugando la paura del discernimento. Riusciamo a fidarci perché spazzola la strada dall’inciampi. Allora ti accorgi che arrivare a credere tutti i giorni per quasi tutto il giorno è l’unica strada su cui s’incontra la vita.
Grazie Irene Motzo, grazie Fëdor Dostoevskij, grazie Marco Guzzi, grazie a tutti voi.
ciao Irene.pagine stupende che non ricordavo.allo stesso tempo si sente come si sia evoluta e approfondita la consapevolezza delle storture umane.nel senso che lo starec si sofferma sull’aspetto della falsa sicurezza che puo dare l’isolamento.il nostro “osservatore interiore”,se vuole,puo’ notare quando anche in situazioni di condivisione si manifestino problemi relazionali dovuti a maschere di falso potere e falso amore su noi stessi e verso il mondo.personalmente io propendo per l’isolamento di cui parla lo starec,ma quando entro in spazi di comunione mi accorgo che manco di sano amore e vera autonomia.lo starec parla di comunanza umana come soluzione del male in questione.ma chi non ha prima fede in se’ stesso(adesione alla propia Essenza)come puo avere fede negli altri?grazie e scusa se inopportuno il commento.con affetto.davide
Grazie Irene grazie di cuore perchè le parole di Dostoevskij risuonano con forza e questo per me significa che siamo tutti parte di quella coscienza infinita non determinata dallo spazio e dal tempo di cui Marco parla sempre, uniti nello spirito in questa forza che emerge da dentro e si propaga. Arriverà quel tempo in cui impareremo ad accogliere davvero gli altri, riusciremo a non farci soppraffare dalle nostre paure, dai nostri mostri. Grazie perchè forse io non le avrei mai lette!
Custodiamo e rinforziamo nei cuori la Grande Idea,
lavorando al rivolgimento interiore,
curando a livello psicologico le nostre chiusure e isolamenti,
finché non scocchi questo termine
che metterà fine al mondo dell’ego
e instaurerà i tempi nuovi.
in questa COSCIENZA INFINITA getto anch’io il mio seme … ” ….dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. …”
Grazie.
correggo la firma …non sono anonimo targato 20 marzo 2017 at 9.43 PM
…sono Ivano Caminada
ciao
«Quando l’allievo è pronto, il maestro compare», dicono gli indiani a proposito di un guru, ma lo stesso è vero di un amore, di un posto, di un avvenimento che solo in certe condizioni diventa importante. Inutile cercare le ragioni, andare a caccia di fatti e spiegazioni. Noi stessi siamo la riprova che c’è una realtà al di là di quella dei sensi, che c’è una verità al di là di quella dei fatti e se ci ostiniamo a non crederci, perdiamo l’altra parte della vita e con quella, la gioia del mistero.
Tiziano Terzani
Un altro giro di giostra
Grazie Terzani…e grazie Aldo per avercelo ricordato!!!
mcarla
Grazie a tutti voi, per come avete accolto e fatto risuonare ancora queste parole.
In particolare vorrei dire a Davide che capisco bene il sentirsi mancante di “sano amore e vera autonomia” nelle relazioni con gli altri, però mi sembra che già rendercene conto sia un passo avanti e ora abbiamo strumenti preziosi per lavorarci. Perciò grazie per averlo scritto 🙂 e penso anch’io che solo l’adesione alla nostra essenza ci apra alla vera comunanza: basta vedere come siamo gioiosi e beneficamente contagiosi quando riusciamo a rispettarla e a farla emergere.
Grazie Susanna per averci partecipato di getto le tue percezioni in tutta la loro profondità: sono felice di essere stata l’occasione di questa rilettura.
Un caro saluto.
Irene
Impressionante.
Non avrei altre parole. Potrebbe essere stato scritto adesso, da dentro l’esperienza di Darsi Pace, o di analoghi cammini e proposte autentiche di un rinnovamento spirituale (dunque molto carnale).
Una scrittrice come Dacia Maraini, in un incontro a cui ho assistito, ribadiva con forza il consiglio di leggere i classici.
Inizio a pensare che abbia totalmente ragione.
Grazie Irene !
Che strana coincidenza anch’io, Bianca nel mese di marzo 2017 sto leggendo I fratelli Karamazov ! Quello che tu dici corrisponde esattamente, mentre leggo sento che non c’è tempo che tenga quando si parla delle cose del cuore, delle nostre emozioni, sentimenti, caratteri, di come ci relazioniamo, della sofferenza o gioia che portiamo nel cuore. Eppure io non l’avevo mai letto, pensavo fosse un classico mattone, sempre quei dispettosi pregiudizi che ci fregano….Ho 64 anni, ringrazio Dio di averlo fra le mani e di leggerlo almeno ora.
Un saluto caro
Bianca