Non abbiamo, uomini, altra
via a salvarci che prendere
coscienza di ciò che siamo,
e confessarlo l’uno all’altro
e gridarlo ai quattro venti
davanti all’universo,
con decisione, e umilmente
confidando nella pietà
di tutte le creature,
e insieme credere che questo
nostro disastroso nulla
impegna lo stesso Iddio
a intervenire…
(David Maria Turoldo)
Quando ho letto questa composizione l’ho considerata quasi una sintesi poetica del nostro cammino in Darsi Pace.
C’è il lavoro di auto conoscimento, che necessita di costante umiltà di condivisione e di fiducia. C’è la fede che il vero superamento della nostra debolezza avvenga con l’aiuto di Dio, confidando nel Suo aiuto. C’è l’appello alla volontà di credere in Lui: proprio dopo aver attraversato le nostre tenebre, possiamo cercare con sincerità la Sua luce!
La mia miseria, dice lo stesso poeta, in un altro testo, diventa “ Fiordo della mia speranza, mio sola moneta di scambio!” e poi:
“Egli non può non amarmi:
è per questo quotidiano franare
che il suo amore cresce
e cresce…”
E pensare che prima, da quando avevo l’età della ragione, mi avevano insegnato il terrore dell’inadeguatezza e del peccato e io mi nascondevo in continuazione agli altri, al mondo!
E cercavo di essere il più possibile perfetta e odiavo i deboli come me, i peccatori, e Dio che era così severo con noi!
E avevo momenti di disperazione perché contavo solo sulle mie deboli forze, inadeguate. E così il mio vero peccato era l’orgoglio di farcela da sola! E anche il non amarmi, il disprezzarmi, e l’odiare anche gli altri.
E, quando ci provavo, non riuscivo a pregarLo veramente, il mio era , nel migliore dei casi, una stanca e anche sfiduciata ripetizione di formule! Non nasceva da un atto di autentica fede, di speranza in un mutamento. Poi ho capito che dove non c’è accettazione di sé stessi e un profondo e vero abbandono, non c’è rinnovamento.
Vorrei che qualcuno con la narrazione di qualche sua esperienza mi aiutasse a capire meglio quando scatta questo momento dell’ abbandono: l’abbandono è possibile solo quando avverto la mia debolezza? E la scruto e la vivo fino in fondo, non aggrappandomi più a nulla, se non a Dio, perché solo allora Dio viene in mio soccorso? E’ quando sono debole che sono forte, dice San Paolo.
Forse questo episodio può essere significativo: ieri ero molto tormentata da un sentimento di odio verso una persona, che consideravo responsabile di un episodio di grande sofferenza per me. Ma quel turbamento cattivo mi consumava, mi faceva soffrire e volevo ardentemente liberarmene. Allora ho provato a interrogare fino in fondo questa passione tormentosa, a scoprirne le radici, a non negarla, quasi a sdraiarmici dentro. E’ stato doloroso, inquietante, ma a poco a poco la rabbia, il tormento si sono dissolti ed è tornata, con la stanchezza, anche una certa situazione di tranquillità e riconciliazione. Avverto però la necessità di pregare ancora molto su questo episodio e di altri simili, di smantellare gradualmente le mie durezze, anche per affrontare meglio simili situazioni future. Papa Francesco ha detto più volte di rivolgersi alla “ Madonna dei nodi “, che scioglie i nostri grovigli con le mani dell’obbedienza e della fede.
Dove si rinuncia a sé stessi, al nostro potere, Dio si affaccia e con lui “ la pietà di tutte le creature”, il caos diventa cosmo e si realizza veramente la Pace.
“E pensare che prima, da quando avevo l’età della ragione, mi avevano insegnato il terrore dell’inadeguatezza e del peccato e io mi nascondevo in continuazione agli altri, al mondo!”
Grazie di cuore, Maria Pia!
Il tuo post così sincero descrive una condizione che conosco bene, che è stata fonte di grande sofferenza, per me. E alla la quale, anche grazie ad un lungo cammino in CL e anche in DP, sto lavorando, credo con qualche buon risultato. Ho sincera gratitudine perché tu abbia messo a tema questa mia “spina nel fianco”, a volte sono cose che sembrano così personali che uno si vergogna a condividerle. Invece la condivisione è così fonte di sollievo, che è preziosa.
Onestamente non credo di aver ricevuto poi troppi indottrinamenti “ansiogeni” nel mio cammino di fede (qualcuno sì). Eppure qualcosa in me è entrata in risonanza con tante visione “male-dette” del cristianesimo, che sono cresciute in me fino a farmi quasi completamente prigioniero, per un lungo periodo.
Mi è ora chiaro che dietro si nascondevano problemi irrisolti dell’infanzia, sui quali qui non vi tedio. Mi sembra più interessante notare come anche le storie del vissuto personale confermino quello che scrive Marco Guzzi in “Yoga e preghiera cristiana”, che la nostra teologia interiore, più che quello che diciamo di credere, risente del nostro vissuto, e moltissimo di come sentiamo siano stati i rapporti con i genitori nella nostra più tenera infanzia. E’ una nozione che sembra semplice ma che se fosse più diffusa credo farebbe un gran bene: essa lega in maniera inscindibile e assai chiara cammino spirituale e cammino psicologico, cosa più che mai necessaria oggi.
Sto imparando piano piano (con i miei tempi…) anche io a “sdraiarmi” nella situazioni di me che più mi dispiacciono, verso cui prevale l’antico sentimento di vergogna e nascondimento. E’ un percorso lungo, per me, con alti e bassi, ritorni e riprese, ma forse quello che conta è camminare – i tempi non li decidiamo noi. Spero di arrivare all’abbandono, intanto avere incontrati ambienti che mi comunicano parole “bene-dette” della fede è un segno che il Mistero mi vuole bene, mi ama e non mi lascia.
Vuole che io mi abbandoni ma non che mi senta abbandonato: forse è tutto lì.
Cara Maria Pia,
Provo a dare una risposa alle tue domande come una sollecitazione ad approfondire il mio pensiero e ad entrare nella complessità che siamo.
Quello che ho compreso finora è che il senso di impotenza, di debolezza, lo sfinimento che si accompagna spesso anche alla vergogna, sono delle contratture dello stato dell’Io che noi chiamiamo egoico, è solo quella parte di noi che si sente terribilmente sconfitta e impotente.
L’identificazione con quella parte è ciò che ci fa soffrire; quanto più giorno dopo giorno riesco a disidentificarmi un po’ e poi ancora di nuovo e di nuovo sempre da principio e sempre con la freschezza del principiante, io realizzo quell’abbandono che è assenza di contrattura, un lasciare andare proprio quello spasmo che una parte di me sente come dolore insuperabile, ma che nella Fede del Figlio è quello che è: una contrattura da rilassare senza drammi ma senza esitazioni.
L’esercizio quotidiano ci rende esperti potatori di pensieri, i pensieri inconsci emergono grazie al lavoro psicologico sempre reiterato e tutto questo dentro un’ampia lettura dei tempi che stiamo vivendo come rivoluzione antropologica in atto.
Questa combinazione di ambiti sta la grande forza che promana dal percorso Darsi Pace che da anni stiamo percorrendo insieme, le tue domande cara Maria Pia, mi aiutano molto a riflettere e a provare a dare una risposta ai quesiti che emergono dalle profondità abissali degli esseri incredibili che siamo.
Grazie, cono affetto
Daniela
Splendide riflessioni! Grazie!
Grazie
Ciao Maria Pia, grazie.
Ieri ridevo, di me! ridevo perché sto riflettendo, e solo dal momento che sono entrata in questo gruppo di lavoro, sto riflettendo sull’abbandono e mi sto accorgendo che, probabilmente, la fortuna di aver fallito in ogni ambito della mia vita 🙂 secondo i comuni parametri sociali! … mi ha facilitato nel disidentificarmi da un qualsivoglia ruolo. Non che la cosa sia auspicabile, anzi! Anche i ruoli sono interessanti e belli quando non si fanno ostacolo.
Pratico meditazione da molti anni tra alti e bassi e da perfetta ignorante, solo per il desiderio di praticarla e di sentirmi in “quel modo”: più leggera e “più me” … e grazie alla quale, dai fallimenti, mi sono sentita più volte rinascere in modo nuovo.
Ora che lavorando con tutti voi e sto osservando in me tutte le distorsioni dell’io ego centrato e nonostante la fatica, tanta, nel rimettere sotto osservazione parti di me che pensavo fossero cresciute … allo stesso tempo ne sono affascinata di quello che scopro: … non sono niente di quello che pensavo d’essere. Anzi a volte mi sento un … nulla, ora non saprei che altra parola usare per spiegare … ma in quei momenti mi sento in pace e mi sorprendo di come mi sento nascere un sorriso spontaneo! Ed è altamente, in tutti i sensi, altamente liberatorio!
E … l’abbandono come lo sento, lo vivo, … è come – lasciarmi cullare –
L’abbandono in me lo sento accadere già nel momento in cui decido … decido e mi predispongo, mi siedo e mi rivolgo all’interno di me, da quel momento mi affido al lasciarmi cullare. Quel buio … lo sento accogliente, sicuro e mi rilasso con fiducia, anche se non sempre riesco a rilassarmi, a volte la tensione fisica e mentale è tanta che proprio non riesco ma rimango lì comunque un po’, sento che quel “buio” mi ritempra, lo desidero, in qualche modo mi disseta, mi fa sentire collegata a qualcosa che ha la capacità di farmi vedere che i fatti della vita, più o meno grandi, sono scene, atti teatrali ai quali gioco insieme alle persone …. che sento di amare di più ogni volta che riapro gli occhi dopo essermi immersa in quel buio che anche per questo sento così ricco.
Alcune volte quel buio lo percepisco come un tessuto di velluto morbido, fluido ma con una fitta trama, altre volte sembra impalpabile come la seta e talmente sottile che sembra lì per lì basti il tocco delle dita a farlo cadere …
A volte, di fronte a ciò che accade, si prova un doloroso sentimento, un miscuglio di paura-rabbia-tristezza che può essere guarito solo nell’abbandono fiducioso.
Mi aiuta accompagnarlo con un gesto fisico.
Ho ascoltato questo consiglio da un sacerdote, queste sono le sue parole:
“Prendi in mano la tua paura … dalle un nome … sollevala in alto … presentala a Dio …
certo allora Egli ti solleverà, sarai addirittura sorpreso di vedere come possa dissolversi all’improvviso ciò che sembrava di una pesantezza inamovibile. Ma se tu da quella paura fuggi, se cerchi in ogni modo di cancellarla, essa sempre crescerà”
Un caro saluto e grazie per la tua e le vostre riflessioni
Davvero bello l’attacco di questo post con le parole di Turoldo.
La mia personale sfida è quella di trovare l’abbandono nel quotidiano ordinario, non tanto – e non più (soltanto) – nell’inevitabilità di quando sono sotto pressione. Un abbandono non preso per sfinimento, ma scoperto come stile della mia vita… ne ho ancora tanta di strada da fare…
iside
Caro Aldo,
molto interessante quello che riporti del colloquio con il sacerdote. Tra l’altro mi rimanda direttamente a quello che disse Papa Francesco pochissimi giorni fa, che già mi colpì per un senso di liberazione che avvertii leggendolo…
“Di fronte ai grandi “perché” della vita abbiamo due vie: stare a guardare malinconicamente i sepolcri di ieri e di oggi, o far avvicinare Gesù ai nostri sepolcri. Sì, perché ciascuno di noi ha già un piccolo sepolcro, qualche zona un po’ morta dentro il cuore: una ferita, un torto subìto o fatto, un rancore che non dà tregua, un rimorso che torna e ritorna, un peccato che non si riesce a superare. Individuiamo oggi questi nostri piccoli sepolcri che abbiamo dentro e lì invitiamo Gesù” (Santa Messa in Piazza Martiri a Carpi, 2 aprile 2017)
Cara Iside, di sicuro sei in buona compagnia (nel senso che la maggior parte di noi fa fatica a vivere la dimensione dell’abbandono nel quotidiano)…quando qualcosa non ‘quadra’ -si dice spesso- è dura.
E infatti ci irrigidiamo, diventiamo tesi, duri, ci arrabbiamo. TRASLOCARE in uno stato di abbandono- che poi vuol dire lasciar andare convinzioni, aspettative, giudizi, pensieri- non è per niente facile.
Il “quotidiano franare” di cui parla Turoldo è un’arte da apprendere, niente di scontato.
Ciao a tutti e …buona Pasqua!
mcarla
…ai quattro venti
davanti all’universo
con decisione
umilmente
Grazie, Maria Pia , di aver fatto riferimento a queste parole, inesauribili, mai usurate.
Grazie cari amici, che avete avuto la voglia di leggere e commentare, oltre che la poesia insostituibile di Turoldo, le mie parole “ di confessione” . E’ proprio bello e liberante poter esporre le proprie debolezze, le proprie difficoltà e amarezze, senza il rischio di essere criticati ed emarginati! Avessi avuto questa possibilità da sempre, dall’infanzia, dalla giovinezza e oltre, forse la mia vita sarebbe stata molto diversa, ma ringrazio di poterlo fare almeno ora. Proprio l’affiancamento del lavoro psicologico a quello spirituale è l’aspetto che più mi ha attratto nel metodo di D.P. !
Non dimentichiamoci, irretiti come siamo spesso nelle dinamiche vessatorie dell’io, che noi siamo altro, che siamo capaci di grandezza e di abbandono. Grazie , Daniela!
L’abbandono è un’esperienza piacevole, essenzialmente non volontaristica, come il lasciarci cullare ( Barbara) forse più la sperimentiamo, più la ricerchiamo e la troviamo. E può diventare uno condizione quasi ordinaria. Non si devono necessariamente attraversare situazioni di crisi per ritrovarla, infatti dovrebbe essere il nostro stato… naturale ( Iside), favorito anche da un gesto fisico che è preghiera( Aldo).
Eva si avvicina a noi , come Turoldo, con passi di danza… grazie e tanti auguri a tutti: quale festa migliore della Pasqua per alleggerirci dei nostri fardelli inutili e diventare fecondi e luminosi di vita nuova? Oggi è il momento favorevole! Mariapia
Grazie, sempre grazie, di questo post, vero cibo per l’anima. L’incipit dei versi di Turoldo cosi arricchiti da tutti gli interventi di esperienze condivise, risuona come cifra e stile sempre più “quotidiano” del cammino di iniziazione D.P.
In risposta al tuo invito per entrare nel mistero della ricchezza delle nostre modalità personali legate anche all’età (ho settant’anni ) voglio ricordare che per tanto tempo percepivo fisicamente un moto di abbandono quando pregavo insieme a mia madre anziana e morta a 97 anni, i versi del salmo 130 : “io sono tranquillo in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia”. Oggi, prima di addormentarmi, è la Preghiera dell’Abbandono di Charles de Foucauld, che mi aiuta ad entrare nel sonno.
Da qualche tempo, sempre più spesso, lo scatto di questo momento di abbandono è una postura fisica che assumo spontaneamente e in parte consapevolmente nel primo mattino, quasi sempre prima dell’alba, in prossimità del risveglio. Mi ritrovo nella posizione fetale, là dove tutto ha inizio o potrebbe essere “quotidiano franare” di un uovo che non si schiude. Più che debolezza in quei momenti avverto profonda dolcezza e calore . Vorrei , facendo tesoro delle parole di Papa Francesco, ricordate da Marco Castellani in questo post, invitare sempre Gesù, dentro quell’uovo nascente perchè divenga non piccolo sepolcro chiuso ma culla fidente di abbandono redento e ritrovato. GRAZIE, Mariapia, un abbraccio.
Giuseppina
Grazie, cara Giuseppina per il tuo commento, per i tuoi suggerimenti! Anch’io, quando sono troppo tesa, ricorro ai versi citati del Salmo 132. Anche papa Giovanni amava quei versi. Per me è stata una grande guida! Continuiamo a camminare insieme! Mariapia