Esattamente un secolo fa, nei mesi di febbraio e marzo, nell’ormai esausto e disfatto impero russo degli zar avvenivano eventi decisivi che avrebbero colpito nel cuore l’intera storia umana degli ultimi cento anni. Nella settimana che va dal 23 al 28 febbraio 1917 (8-12 marzo del nostro calendario gregoriano) la capitale russa, da poco ribattezzata Pietrogrado, conosceva le più imponenti sollevazioni operaie e civili della sua storia. Con la partecipazione sempre più alta degli studenti, il 25 febbraio i manifestanti raggiunsero i 240.000, da ogni ceto ed estrazione sociale.
Il 27 febbraio (come già era avvenuto in Francia 128 anni prima) l’esercito dello zar disertava e passava incredibilmente dalla parte degli insorti. Il giorno seguente si insediò il primo governo provvisorio nel tentativo di contenere l’anarchia generale sotto un primo ordine parlamentare. Ma dov’era lo zar, l’autocrate assoluto di tutte le Russie ancora agli inizi del XX secolo? … Si trovava al fronte con i suoi ufficiali a condurre la più folle guerra che il mondo avesse visto sino a quel momento.
Già, la prima guerra mondiale nel frattempo era giunta al culmine: le truppe del Kaiser decimavano indisturbate milioni di soldati russi, mandati al macello in nome di un’autorità che già da anni non esisteva più. Un grande protagonista della successiva rivoluzione bolscevica, Leon Trockij, ricorda così la figura di Nicola II: «Al flusso della storia, le cui ondate si avvicinavano sempre di più alle porte del palazzo, l’ultimo dei Romanov contrapponeva una sorda indifferenza; sembrava che tra la sua mentalità e i suoi tempi si frapponesse una parete divisoria, sottile ma assolutamente impenetrabile». – E di fatti, leggendo i suoi diari di quei terribili giorni, sembra quasi di risentire la stessa impotenza e cecità di Luigi XVI.
Del resto per Nicola, la cui dinastia aveva da poco festeggiato i 300 anni sul trono russo, il destino non fu certo migliore. Il 2 marzo 1917 il treno del sovrano fu fermato nella località di Pskov, dove due delegati del governo provvisorio gli consegnarono il documento di abdicazione. Un anno dopo l’ex-monarca era caduto prigioniero dei bolscevichi, che nel frattempo avevano preso il potere. La notte tra il 16 e il 17 luglio 1918 Nicola II fu trucidato con tutta la sua famiglia nello scantinato della piccola casa in cui era confinato, dopo aver scritto però che il periodo dell’esilio era stato il migliore di tutta la sua vita.
C’è da dire che questi tremendi avvenimenti non toccarono solo l’avvenire della nazione russa, bensì forse la sorte del mondo intero, che proprio in quegli anni sperimentava la prima guerra su scala planetaria. Dobbiamo infatti ricordare che l’implosione dell’impero russo, che si accompagnò poco più di un anno dopo al collasso dei due millenari imperi germanici, non fu prima di tutto ed essenzialmente un fatto politico, bensì spirituale. L’aquila imperiale che splendeva sugli stemmi delle grandi dinastie affondava le sue radici nella prima Europa unita e cristiana fondata da Carlo Magno ormai 1100 anni prima. Già l’Europa risvegliatasi dopo il crollo dell’impero napoleonico percepì la fine di un’epoca intera della civiltà: la prima guerra mondiale, e in sommo grado la seconda, suggellarono questa fine nei termini di una vera apocalisse. Che significa per la struttura mentale e morale dell’uomo questo crollo di civiltà? … Cosa implica per l’uomo questa esplosione di una millenaria visione del mondo, di una struttura di archetipi, di pensiero, quindi di società e di politica, e – in fondo – di antropologia?
Io personalmente, a tutti questi anni di distanza, non credo che la coscienza comune abbia compreso la portata reale di queste domande. Siamo sepolti dalle ricorrenze e dagli archivi storici, e tuttavia sembriamo esserci dimenticati che senza un senso, una visione interpretativa unitaria e forte, la storia come tale non ha la minima ragion d’essere. Forse è proprio oggi il momento per tentare di fondare nuovi grandi pensieri che ci aiutino a comprendere meglio la terribile storia che abbiamo alle spalle.
Io penso che l’intera storia delle grandi rivoluzioni occidentali (che potremmo far risalire addirittura alla riforma protestante, della quale celebriamo il cinquecentenario) sia essenzialmente la storia della faticosissima emancipazione dell’uomo in quanto individuo, in quanto essere pensante e autonomo, dalle antiche strutture di autorità che annullavano la singolarità all’interno di una totalità indistinta e immutabile, che – ad ultimo – si è rivelata per noi essere violenta, opprimente, castrante e sommamente ingiusta. In altre parole, tutta la storia occidentale si può leggere anche come un cammino di progressivo riconoscimento dell’individualità creativa dell’uomo, culminata politicamente con la società liberale di origine borghese.
In pratica oggi, dopo l’esaurimento definitivo anche del blocco sovietico, il modello americano sembra essere l’unico modello mondiale ancora veramente forte. La cosiddetta globalizzazione non è che un’espansione su scala mondiale del pensiero, soprattutto economico, che la società statunitense ha portato avanti fino ad oggi. Non è d’altronde un caso che il mondo sia ora retto non più dalla politica, ma dalla finanza. Il modello della privatizzazione, dell’anarchismo finanziario anti-statalista, è infatti interpretabile come la deriva più decadente e degenerante dell’individualizzazione dell’uomo, che oggi si è rovinosamente tradotta in atomizzazione e massificazione della società.
L’uomo auto-nomo è sempre più solo, un povero “a-tomo” disperato e solitario, sperduto in una giungla di distrazioni e pubblicità insensata, che non meno della guerra, nelle grandi metropoli, fa violenza all’anima autentica dell’uomo, che oggi vediamo perciò affetta dai più radicali mali interiori e depressivi. Non posso sapere per ora quello che ci riserverà il XXI secolo, sorto da poco meno di un ventennio, ma posso solo esprimere la mia più seria preoccupazione per il disagio interiore che cresce quanto più l’indifferenza si consolida – per l’ennesima volta – nei sistemi di potere del mondo. Il fatto che un uomo come Trump oggi sia ufficialmente stato reso presidente di una delle più potenti nazioni del mondo forse è già un allarme molto molto grave.
Quello che però mi sento di proporre in questi anni (così incerti, così follemente rapidi per certi aspetti e così altrettanto sterili per altri) è questo: il 2017 è un tempo maturo per farci ispirare nuovamente dalla grande tradizione rivoluzionaria della nostra storia, proprio perché ora qualsiasi vincolo identitario, politico e morale sembra essersi del tutto dissolto. Anche osservando la più avanzata storia dell’arte, troviamo che oggi viviamo nella più radicale e totale “piazza pulita” che l’uomo abbia mai conosciuto nella storia.
Ecco perché proprio oggi è tempo di cogliere una sfida di nuova fondazione, di nuova creatività culturale e politica: siamo chiamati a rivoltare in modo inedito e ancor più incisivo di prima un mondo che appare rivoltante, per fortuna in senso assai ambivalente. Un mondo che quanto più diventa insopportabile tanto più ci urla nelle orecchie, tramite i nostri disagi interiori e sociali, di rivoltarlo, di sovvertirlo davvero, questa volta nell’unico luogo primario dell’agire umano: il pensiero.
La prossima rivoluzione, che seppure rimandata e misconosciuta, non potrà che avverarsi, dovrà essere una rivoluzione dello spirito, una rivoluzione della struttura fondamentale dell’essere umano. Solo capendo in termini nuovi e più credibili la storia che ci precede, capiremo anche la storia nostra più personale e l’agire necessario per un futuro che – per quanto ci ostiniamo a scegliere di non scegliere – dovremo prima o poi affrontare. Che questo centenario sia il principio di un nuovo modo di pensare la rivoluzione, forse la più grande svolta che la storia antropologica abbia mai visto fino ad oggi.
“Il modello della privatizzazione, dell’anarchismo finanziario anti-statalista, è infatti interpretabile come la deriva più decadente e degenerante…” proprio così, e tranquilli si procede come niente fosse.
Siamo come palle sul biliardo, incapaci di infilare una buca senza una spinta esterna e giochi di sponde contrapposte. Il bello è che, pur limitando il nostro sguardo in basso al tappeto per uno spazio pari all’ombra generata dal sole di mezzodì di un giorno d’estate, senza un occhio né alla buca né al cielo, siamo convinti di governare le nostre e le altrui traiettorie.
Maria
Sì, Maria, è proprio così, … e questa non è per nulla una storia nuova! ..
L’uomo è sempre stato, in una certa e larga misura, cieco.
L’uomo in un certo senso si trova in questo mondo proprio in virtù di una ciecità fondamentale, che possiamo ritrovare in tutte le grandi mitologie, fino al mito della caverna di Platone.
Noi viviamo in una caverna, e siamo immersi in un gioco di ombre illusorie, dalle quali ci disilludiamo purtroppo e troppo spesso in modo traumatico.
Non dobbiamo per questo scoraggiarci, ma come uomini siamo piuttosto chiamati a prenderne lucidamente atto, e – con forza e perseveranza – a portare noi nel mondo la Luce mancante.
Le conseguenze della notte (che magari si finge giorno) le vediamo sempre e costantemente. Tuttavia più inosservati e misconosciuti sono i frutti della Luce che talore irrompe nelle tenebre.
Il nostro lavoro, per nulla facile, è di essere pazienti coltivatori di questi rari frutti.
Noi rivoltiamo il mondo, più di qualsiasi vecchio moto rivoluzionario, proprio se alimentiamo questa piantagione sovversiva, al di fuori o al di dentro di tutti i poteri istituiti dalla caverna dominante.
Un saluto, Luca. –
Meraviglioso intervento Luca, l’ho sentito molto mio e mi ci sono ritrovata. Grazie per l’incipit iniziale, la caduta dello zar non avevo mai potuto studiarla sotto questa ottica… un abbraccio.
Bene Luca , grazie “…portare noi la luce mancante……”Tuttavia più inosservati e misconosciuti sono i frutti della Luce che talora irrompe nelle tenebre”….. Si! Possiamo scoprire tutto ciò, solo rivoltando il nostro mondo interiore, con un lavoro psicologico, culturale, spirituale. . Allora sarà più evidente anche quello che sta avvenendo nella storia attuale , globalizzata solo dall’economia e dalla finanza, da un falso potere che non ci aiuta a trovare una via d’uscita alle ombre baluginanti della moderna caverna mediatica .
Ciao, Ivano
Caro Luca,
è un argomento che dovremmo riprendere e sviscerare veramente a fondo. C’è tanto da dire, su questo tema della rivoluzione. Personalmente, sono cresciuto (scuole, liceo) in un momento in cui la rivoluzione, qui in Italia, si sperava, si sentiva, si sognava (sorvolo su tutte le distorsioni che hanno portato a inenarrabili atrocità, credo che possiamo darle per acquisite).
Era qualcosa che fibrillava ovunque, permeava i miei libri scolastici (a rileggerli anni dopo era fin troppo evidente), i modi di vestire, i rapporti uomo-donna, tutto. Si aspettava la rivoluzione, finalmente. C’era qualcosa da aspettare. C’era motivo per combattere, per dividersi, certo. Ma per sperare. La vita non è tutta la mia piccola vita domestica, i miei piccoli fallimenti non sono tutto. C’è la Rivoluzione, comunque. C’è da sperare in una epoca che porterà il bello, il buono, il giusto. Sta arrivando, sta arrivando.
Questo tutto copriva, tutto negava, tutto dimenticava, che fosse estraneo al quadro di questa speranza. Troppa era l’attesa.
Lo sappiamo poi come è andata. I fatti sono testardi, si dice. La rivoluzione è morta, nel sangue (dove è nata), e nei cuori di chi ci credeva. Qui da noi c’è stato – e ancora c’è – un lungo periodo di elaborazione del lutto. E’ morta questa speranza, ma non si sa ancora in cosa sperare. Il cuore che si era aperto si è richiuso di nuovo, nel piccolo privato, nel vivere nascosti, nel rimpianto, nella nostalgia. Ognuno ha reagito come ha potuto, ha inseguito un percorso, ha cercato di compensare.
La canzone Zerbo di Eugenio Finardi, sintetizza in maniera mirabile la parabola che poi qui da noi si è compiuta in pochissimi anni. La musica è bella, ma è il testo che vale più di diecimila discorsi.
https://www.youtube.com/watch?v=yfhAnGQe_ck
Ti ricordi Zerbo, diecimila persone,
Si giocava a fare Woodstock sulla riva del fiume
C’era l’acqua, il sole, non c’era la corrente
Ma anche con poca musica non importava niente
E al Lambro del ’74, la sensazione
Che per la prima volta ci fosse dell’organizzazione
Che si stesse cambiando per arrivare all’unione
Di tutte le forze in una sola direzione
E dopo il quindici giugno, il tempo dell’utopia,
‘Fra poco il vecchio mondo lo spazzeremo via’,
Si occupavano le case, dalla radio si parlava
Si faceva qualsiasi cosa con un’energia nuova
Ma all’ ora del ’76 il mito era crollato,
Perso nei calci ad un pollo surgelato
Tra fiumi di cazzate nella foga del momento
Ci si prende a sprangate anche dentro al movimento
Adesso Andrea è stato in India ed ha cambiato nome
Si chiama Majid e si veste da Arancione,
Mario mi ha dato i suoi quadri ed è andato giù in Brasile
A cercare la fortuna e un nuovo sogno da realizzare
E noi invece anche stasera siamo ancora qui a suonare,
Inseguendo un sogno perchè è un gran bel mestiere;
Forse sono cambiato o solo un po’ cresciuto
Ma nella Musica Ribelle io c’ho perduto e creduto…
Siamo al punto.
Qui dobbiamo innestare un progetto credibile di rivoluzione. Il cristianesimo non è riuscito a recepire queste persone, se non in parte. Andrea è andato in India. Mario è andato a cercare un sogno in Brasile. Il perché l’ha detto benissimo Giovanni Paolo I, in una frase che da sola (come dice Don Giussani) vale già il fatto che sia stato fatto papa.
Diveva Giussani,
“Il vero dramma della chiesa che ama definirsi moderna [ il vero dramma dei cristiani che vogliono essere moderni ] è il tentativo di correggere lo stupore dell’evento di Cristo con delle regole” . E’ una mirabile frase di Giovanni Paolo I (sarebbe stato provvidenziale quel suo mese di pontificato, anche solo per questa osservazione, di cui non si trova altrove l’equivalente). Cristo è un evento, un avvenimento, un fatto, che innanzitutto riempie di stupore.”
Abbiamo opposto ai cuori sperduti della rivoluzione morta, delle regole. Non lo stupore di un fatto. Abbiamo opposto un formalismo, per lo più. E’ gravissimo questo, è gravissimo non portare speranza alle persone quando potremmo farlo. Rimango sempre tristemente perplesso, quando nel dialogo con colleghi, sapendo che sono cristiano, mi chiedono sempre “ma questo si può fare? Questo peccato è grave per te? Quest’altro?”
La Rivoluzione è Uno che mi vuole bene sempre e comunque, non è un regolamento.
E’ Uno che mi ama e su cui posso puntare per superare il baratro.
La rivoluzione vera è poter dire a qualcuno “tu non morirai”.
Le altre, fanno ridere, ormai siamo troppo scafati per cascarci.
In ogni rivoluzione c’è una parte sana, e dobbiamo comprendere che i veri rivoluzionari siamo noi.
Dobbiamo prima di tutto crederci noi stessi, e far vibrare il cuore, tuffarsi dentro la paura e lavorarla.
“Fede e Rivoluzione” non a caso è il titolo di un libro appena uscito, di qualcuno che conosciamo.
Caro Luca, sono davvero impressionato dalla potenza di questa breve sintesi, che ci porta a comprendere in modo nuovo il secolo XX, e ci apre alla necessità di un rilancio inedito della storia della modernità. Dobbiamo lavorare proprio a questa sintesi di tutte le tradizioni politiche moderne, giunte o alla catastrofe o al coma, per rilanciarne in modo nuovo il sogno di liberazione che portavano dentro. Un abbraccio. Marco
Leggevo poc’anzi l’etimo di rivoluzione. Latino: Revolutionem da Revolutus, participio passato di revolvere volgere indietro, ritornare, voltare, rivolgere, re (addietro)-volvere (volgere) piegare in un altro verso, contro, rivoltare, rovesciare.
Due associazioni mi si sono presentate:
* dissodare – sradicare- arare (rivolgere il terreno) e infine seminare
* i bimbi che si voltano a cercare lo sguardo di mamma (a cercare fiducia in chi li ha generati) non per fermarsi ma per intraprendere un Nuovo importante passo.
Saluti
Maria
Bellissima la seconda associazione, Maria!
Se hai una base sicura alle spalle (o meglio ‘sotto i piedi’, mi verrebbe da dire!!!) questo movimento -dall’ indietro in avanti- risulterà ‘fisiologico’…problematico invece se questa base sicura non l’hai avuta (o è stata traballante, piena di ambiguità)…il tuo bisogno /desiderio di esplorazione e di avventura verso l’ignoto risulterà bloccato, sopraffatto da paure e sensi di colpa.
Ben vengano allora i gruppi DP
che aiutandoci a ‘liberarci dentro’
preparano le condizioni perché le nostre azioni possano diventare davvero rivoluzionarie!
mcarla
Luca hai scritto una pagina di storia per come vorrei conoscerla, con dentro il cuore dell’Uomo.
La storia come l’ho sentita raccontare da mio padre, ragazzino sotto i bombardamenti della seconda guerra mondiale e dalla nonna, sua madre, che ragazzina ha vissuto anche la prima guerra mondiale … Storie personali e familiari ancor prima di storia umana di popoli e poi globale.
Globale come lo è oggi. Quasi annullando però le storie dei paesi e dei singoli uomini, nell’illusione di un finto “nuovo”.
Globale solo nell’intervento di annichilimento umano e alquanto stridente con la contemporanea avanzata tecnologica.
Storia che invece è “carburante”! il fuoco necessario a trovare lo slancio, l’ardente moto a cambiare, a voler un mondo migliore. Storia all’origine di ogni grande ideale!
Quella storia che è riuscita a far insorgere genti di ogni ceto, estrazione ed età in quell’esausto e disfatto impero russo … con gli stessi presupposti di oggi su scala mondiale …. esausti e disfatti … “uomini moderni”!
L’uomo sta perdendo la sua storia. Una storia che – sempre – lo connette agli altri nell’intrecciarsi delle storie familiari, d’amicizia e sociali. Negandoci la propria storia neghiamo anche quella di chi incontriamo sulla nostra strada.
Non mi spiego diversamente l’indifferenza, la superficialità delle relazioni, l’isolamento, il cieco annebbiamento pure se millenario.
Un’assuefazione che fa rabbrividire. L’uomo è solo e sempre più isolato e incapace di sentire con quello che chiamo cuore e non parlo di romanticismo ma di sentimento, di sentimenti precisi; sentirsi e sentire, ascoltarsi ed ascoltare e con tali “occhi” vedere …
Nella vita quotidiana, in moltissimi stiamo toccando ogni estremo sopportabile potenzialmente tale da fungere da propulsore nel – rivoltare – ribaltando la situazione … raccogliere l’Anima della propria storia, metabolizzarla e a questo punto con tutta la forza volgersi, più integralmente, verso un mondo nuovo.
L’integrità farà la differenza.
Grazie 🙂 e ciao, Barbara
Hai scritto una bellissima sintesi storica di questi 100 anni.
Mi intristisce pensare che con le scoperte tecniche attuali si potrebbe stare tutti bene. Con poche ore di lavoro al giorno si potrebbe avere tutto quello che serve, non per essere venduto, ma per essere semplicemente usato. E nel tempo ritrovato si potrebbe parlare con gli amici, giocare coi figli e fare i seminari di Darsi Pace. Ma non si può fare, altrimenti i 100 gradini della scala sociale che dividono gli esseri umani si dissolverebbero rapidamente e questo non può essere consentito.
Grazie ancora e un caro saluto
Grazie Luca.
Grazie a Barbara e Aldo : i loro commenti combaciano con ciò che penso, sento, constato.
Grazie a tutti, cari amici, per il vostro prezioso riconoscimento.
Leggendo questi commenti così forti e belli sento gratificato e appagato l’anelito missionario per cui ogni giorno studio e penso in concordia col nostro messaggio.
E dire che come persona io, prima di Darsi Pace, non mi sarei mai definito rivoluzionario!
Sì è vero, nei confronti del nostro tempo non ho mai sentito una vera simbiosi, ma d’altra parte ho sempre provato un grande senso di appartenza ad epoche passate. Da bambino nutrivo una grandissima passione per i sovrani e le corone: proprio i Romanov sono stati la prima dinastia che ho molto approfondito a partire dagli 8 anni. –
Ed eccomi però oggi a diffondere e incarnare questo messaggio d’avvenire nascente…
Rifletto spesso sul paradosso del mio vivere il significato della Rivoluzione, e credo che in fondo la possibilità di un vero rivoltamento non si regga solamente su una sorta di “mito del futuro” ben nutrito… no, forse è anche essenziale abituare la mente a spaziare, a tenersi con mani e piedi anche in altri luoghi dell’umano, del pensiero… quindi in altri tempi storici, tenuti però com-presenti al nostro che viviamo.
Un rapporto dunque di dialogo esistenziale con la storia. Io sono convinto del resto che la Rivoluzione sia sempre stata possibile solo grazie ad un ascolto viscerale della storia, molto critico e fecondo, soprattutto a partire da questo terreno fatto proprio, reso intimo sostegno di una crescita nutrita.
Marx, come si sa. non avrebbe mai potuto fondare il suo grande pensiero rivoluzionario se non sulle basi di un rigorosissimo studio storico.
Il lavoro di paziente coniugazione che oggi, grazie a questo meraviglioso movimento cui apparteniamo, siamo sempre portati a fare, ci dà in consegna, ci affida in custodia (come direbbe Heidegger) la Terra arata e irrorata per la nostra missione di svolta, che in fondo non è che un Battesimo storico-cosmico dell’umanità.
Grazie ancora a voi tutti,
un caro saluto,
Luca. –
Caro Luca,
grazie a te per la passione e per la forza che promana dalle tue parole! Grazie per l’amore per lo studio sento che la tua terra è veramente feconda e sarà strabordante di frutti!
Un caro saluto
Daniela