Credo che la chiave di lettura più utile sia partire proprio da questo, da questo cambiamento d’epoca che stiamo attraversando, da questo processo cosmico che stiamo subendo, stiamo anche – certamente – soffrendo nelle nostre vite, nelle nostre carni.
Ed insieme, comunque, stiamo vivendo (nolenti o volenti) nella sua parte più emozionante, più eccitante. Nel triennio di Darsi Pace che ho appena concluso non è mancata l’occasione di mettere in relazione il mio lavoro di scienziato con quanto ci viene detto, ci viene amichevolmente proposto nel percorso. Più in generale, credo che – con questa rinnovata sensibilità – ognuno possa più facilmente scorgere nel suo specifico ambito specifico di lavoro, i segni esatti ed inequivocabili di questo cambiamento d’epoca, sottolineato di recente e con molta chiarezza anche da papa Francesco (Si può dire che oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca, ha detto nel 2015).
Per chi scrive, si affaccia sempre più improrogabile una ipotesi di lavoro, un tentativo di ripensare la scienza, che cerca di leggere i segni del tempo – di questo tempo così speciale – in quello che sta accadendo: certamente in termini di nuove scoperte ma anche, più in generale, di ricomprensione globale del cosmo. E’ innegabile, infatti, che anche nella comprensione dell’universo ci si trovi in un momento particolare, sulla soglia di un nuovo che ancora attende di essere compiutamente elaborato, di essere adeguatamente compreso. Ad oggi non abbiamo, in realtà, nemmeno digerito culturalmente la portata rivoluzionaria della meccanica quantistica, che scardina su base pienamente scientifica (ovvero, possiamo dire, dall’interno) una volta per tutte quel meccanicismo cartesiano che ha informato la nostra visione del mondo negli ultimi secoli, ed apre nel contempo a qualcosa di davvero nuovo. Di così nuovo che non possiamo capirlo se non rinnovando profondamente la nostra mente – non possiamo nemmeno percepirlo, oserei dire, senza un percorso iniziatico. Percorso che non può che essere che lento e paziente.
“Penso di poter affermare che nessuno capisce la meccanica quantistica”, è una frase attribuita ad un fisico del calibro di Richard Fayman (premio nobel per la fisica). Al di là del gusto del paradosso, perfino al di là della stessa teoria dei quanti, segnala efficacemente e lapidariamente la necessità di cambiare mente per poter davvero vedere il mondo, così come lo “riceviamo” nell’epoca presente. Dobbiamo affinare il canale di ricezione, adeguandolo al tipo di segnale che oggi ci proviene dalle stelle, dalle galassie più lontane, da quell’eco del grande scoppio che ci parla di come è nato tutto. E del fatto che c’è stato un processo creativo iniziale, principalmente. Il mondo è un’avventura creativa, che ha un inizio ben determinato, circoscrivibile. Non esiste da sempre, è stato chiamato all’esistenza.
La nuova frontiera della cosmologia, che riflette puntualmente il mutato assetto di come l’uomo pensa se stesso (dall’inizio dei tempi, ad ogni modello di uomo è sempre associata una precisa cosmologia, un modello congruente del cosmo), lascia spazio finalmente una indagine che si intreccia virtuosamente con altre discipline. Il racconto della scienza, se seguito con onestà, ci mostra quanta parte di ciò che esiste non è (ormai nemmeno tentativamente) narrabile in termini scientifici, ma deve forzata-mente abbracciare altre modalità. Il tramonto ormai definitivo dell’ideale scientista di comprensione totale del cosmo e dell’uomo in termini meccanici e di stretta causa-effetto (in realtà, una violenza alla stessa indagine scientifica correttamente intesa), ci lascia sicuramente disorientati, per un certo verso, ma ci immette anche, finalmente, in un campo di potenzialità creativa enorme, davvero sconfinato. In un campo energetico sconfinato. Ma che è nostro, come dice Thomas Berry, “non per dominio, ma per invocazione.”
Niente accade per caso, e anche l’occasione di prendere parte alla trasmissione Eta Beta, condotta su Radio Uno da Massimo Cerofolini, è stato probabilmente un segnale, piccolo ma già significativo. C’è una esigenza diffusa di capire, di definire il quadro d’insieme, che viene percepita ormai ad ogni livello, in ogni circostanza. Che rimbalza e si rifrange su ogni medium. Così quello che accade in trasmissione, la mattina del giovedì 13 luglio, il dialogo con Amedeo Balbi, collega ed amico, è importante tanto quanto ciò che accade fuori onda, nello scambio serrato e intrigante con Massimo, e con la redazione intera. Così capisci, capisci meglio che questo bisogno di comprendere il cosmo, come riflesso ineludibile della comprensione di sé, è ormai una vera esigenza comune. Pressante. Quotidiana. E quel barlume di risposta, quel seme di riscontro, quel minimo che puoi portare, si fa più strada, si affaccia con più convinzione. In poche parole, è un compito.
La trasmissione si può riascoltare dal sito di Eta Beta. Si è dialogato di esopianeti, nuove particelle, antiche e recenti concezioni del cosmo, in una rifrangenza emozionante di differenti punti di vista. Tanti semini, nel complesso, che possono essere ripresi ed approfonditi, tanti agganci per potersi muovere in ricerca in mille direzioni. L’obiettivo tentato – sempre ritentato – è la maggior consapevolezza, la crescita, il parto di un pensiero nuovo a cui siamo spinti in quest’epoca di radicali cambiamenti. Rimanere nel vecchio schema, rintanarsi in esso, magari per un desiderio (comprensibile ma ormai non più assecondabile) di restare nella propria comfort zone, implica invece essere trascinati dagli eventi stessi, che comunque non ci aspettano. Dal cosmo stesso, che non è più stazionario (nemmeno nei modelli scientifici), ma procede inesorabile nella espansione, nella dilatazione creativa. Restare immobili in questo cosmo in espansione dunque – anche a livello psichico – è sempre più difficile, sempre più doloroso, sempre più insopportabile. Lo sentiamo proprio sulla pelle, nei muscoli, nei nervi. Non è una scelta sostenibile, non più.
Ecco perché ormai questo lavoro di ricomprensione del cosmo e dell’avventura scientifica non è appena uno stimolo culturale, ma è una necessità improrogabile. Ecco in fondo il motivo di essere di AltraScienza. Il vero, l’unico motivo. Non si tratta di fare una cosa più o meno bene, ma si tratta del fatto, semplicemente, che non possiamo fare a meno di farla.
Adesso, più che mai.
Grazissime, Marco.
Ho riascoltato la trasmissione che mi ha permesso di sentire anche nella voce la tua gioia bambina di trovarti a vivere un cambiamento epocale che richiede una imprescindibile ricomprensione dell’avventura scientifica e umana e del cosmo. Tu lo vivi e lo sai trasmettere in maniera poetica e scientifica allo stesso tempo , da vero Astrofilo.
Grazie perchè aiuti quanti come me che, poco conoscono della ricchezza delle antiche e recenti concezioni del cosmo. Grazie perchè so che riesci ad emozionare, a suscitare interesse, a far gioire intere classi di adolescenti per la bellezza dell’Universo Poetico. Stai contribuendo a piantare dei semini che faranno fiorire l’ inedito uomo cosmico presente dentro la Nuova Umanita’ ” illuminandoci di Cosmo”.
Grazie per dirci e darci Pace.
Un abbraccio aereo spaziale
Giuseppina
Cara Giuseppina,
grazie a te per questo appassionato commento!
Sono contento di ciò che accade, come accade. Di questi belli imprevisti che, vissuti (anche con trepidazione…), mi fanno sentire a casa, più e meglio di ogni strategia possibile alla mia mente razionale. Intendo, di questa connessione radiofonica, e degli incontri che abbiamo avuto, a Frascati Poesia come poi all’Istituto Corradini. Tutte pietre luminose di un percorso, in gran parte reso possibile, facilitato, srotolato, da questo triennio DP appena concluso.
Capisco perché Marco Guzzi insiste molto sulla creatività, capisco che c’è un progetto in me, c’è un progetto in ognuno di noi, che attende un nostro anche parziale assenso, un nostro parziale, parzialissimo assenso, un inizio di Sì, per potersi dispiegare nel cosmo. Capisco che siamo qui, in questo punto di spazio-tempo, per un motivo. A volte a noi non ci è chiaro, spesso a me non è chiaro. A volte si svela, invece. Lo vedi luminoso, e ti tranquillizzi. Ci sei, per un motivo.
Dici bene, spero di piantare dei semini. La gioia è sapere che non è una mia “bravura”, in fondo. La gioia è infatti sentirsi un tramite di qualcosa che “vuole”, che “deve” arrivare. Poter essere strumento, poter farsi tramite, veicolo, connessione… perfettibile quanto si vuole, ma poterlo essere, è la vera gioia che rimane.
Un grande abbraccio!
Grazie caro,
a te e all’Universo intero che continua a stupirci e promette di farlo per miliardi di anni con appuntamenti misteriosi, imprevisti, puntuali, interconnessi, travagliati e semplici, donandoci a tratti una gioia bambina.
Rendersi disponibile per farsi strumento di Pace, come Francesco d’Assisi è percorso antico, arduo e luminoso…canto di vera gioia che rimane e ci viene donato per questo complesso cambiamento epocale.
Ciao, caro amico Astrofilo
Giuseppina