Sin da quando siamo piccoli, siamo stati iniziati all’esperienza del credere. Se ci comportavamo bene, sapevamo che i nostri genitori ci avrebbero dato un dolce a fine pasto. Se io, durante l’anno, andavo bene a scuola e mettevo più spesso in ordine la mia stanza, ero certa del fatto che il giorno del 25 dicembre un uomo paffuto e vestito di rosso mi avrebbe riempita di doni meritati.
Quando cresciamo, acquisiamo sempre di più la possibilità di “prendere coscienza” delle cose della vita. Alcune prese di coscienza sono più o meno dolorose di altre, ma ci passiamo tutti. Spesso gli adulti sono soliti dire: “è cresciuto, ha smesso di credere a tante cose”. Sarà pur vero, in un certo senso smettiamo di credere ad alcune cose ma non cessiamo di esercitare una nostra “fede”. Iniziamo semplicemente a credere a cose diverse.
Ma quanto è difficile credere davvero? Sempre più si entra nella vita, sempre più questo evento risulta ricco di ostacoli. Il mio Satan, il mio ostacolo principale, è il credere senza il voler credere. Nel vangelo di San Giovanni leggiamo queste parole pronunciate da San Tommaso: “Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e la mia mano nel suo fianco, non credo”.
Io mi sono sentita sempre molto affine, dannatamente affine, a questo. Non possiamo condannare Tommaso però. Perché come lui io per prima trovo che il gesto puro di credere sia il più coraggioso e difficile da compiere. Quanto spesso abbiamo pronunciato le parole, “vorrei potergli credere” o “voglio crederci”…? Io molto spesso.
Cerco di scavare un po’ più a fondo dunque e mi chiedo: cosa significa credere per me? Perché non riusciamo a credere liberamente ma ci poniamo dei freni o ancor di più delle difese, delle messe in sicurezza? No, non ci riesco…
Ritengo che il credere non sia distante dalla fede anzi, trovo che siano sinonimi. Percepisco, soprattutto durante la mia pratica meditativa, questa difficoltà nell’abbandono che parte dai punti più nevralgici del mio essere.
Ci provo a credere, provo a fidarmi e ad affidarmi…ma poi, una voce dal nulla esce e mi dice Ma sul serio credi di stare meditando correttamente? A chi credi, a Dio? Ah sì? Quindi tu vorresti dirmi che in questo momento credi di essere cristiana, credi all’esistenza del figlio di Dio…? E non ti stai aspettando già qualcosa in cambio? Quindi ora se credi non ti accadrà nulla di male…sì, sì. E quando questa fede verrà messa a dura prova, come accadrà, cosa farai? Non crederai più? Sei falsa, ipocrita, ridicola, bimba.
E poi arriva un piccolo spiraglio di consapevolezza. Non devi “voler credere”…non ti costringe nessuno. L’atto del credere dovrebbe essere come il puro atto creativo: generativo e disinteressato.
Ho troppo spesso paura che dietro al mio credo (nei confronti di una persona, nei confronti delle mie capacità e di me stessa, nelle istituzioni, nel genere umano, nel mio Dio) non vi sia autenticità. Perché sento sempre quella percezione di aspettare qualcosa in cambio…? Non voglio credere egoisticamente, egoicamente, superficialmente….ed ecco che anche qui ho utilizzato “voglio credere”.
Il mio cammino, questo cammino, mi ha messo per la prima volta duramente a contatto con questa mia realtà, con il mio ostacolo di tutti i giorni (o meglio, uno dei tanti, una delle mie tante paure).
Sento le parole nel silenzio della mia riflessione, della mia meditazione, delle mie notti e vorrei farle mie ma mi terrorizza la consapevolezza che in quell’istante sorga una indecente aspettativa di “Non soffrirai se credi”… “se ti affidi, non ti feriranno”.
Solo raramente emerge un gridolino delicato che dice “Non devi per forza avere paura…puoi anche essere in questo momento e non identificarti con il tuo stato d’animo…puoi anche essere semplicemente quel che sei, creatura di Dio e per questo motivo, abbandonarti a ciò che non potrai sapere…”. Quella è la vera voce da ascoltare forse…
L’impotenza regna sovrana però nelle mie giornate anche in questo caso. Anche in quei momenti, esco di casa, accendo il computer e ripiombo in uno stato assiderante di dura e cruda realtà dei fatti.
L’uomo di oggi tende ad essere “felice” per non dire fiero di non credere assolutamente a nulla. Vive “sereno” nel non potersi aggrappare a nessuna speranza, nella sua piccola interiorità che lo allontana da chiunque e lo rende piccolo, fragile ed estremamente ignorante. La grande verità è che prima ancora di creder, bisogna raggiungere uno stato di consapevolezza tale, di coraggio e di forza, da poter inter-agire con queste verità esterne così in realtà labili e fragili al primo tocco.
Ecco io voglio smettere di sentirmi impotente…voglio pensare che questo “credere”, che non si riferisce necessariamente ad un Dio o ad una religione, sia possibile. Voglio pensare che abbandonarmi coscientemente sia la mia sfida giornaliera verso la quale tendo, piano piano, ogni giorno un pochino alla volta.
Probabilmente, figlia di una generazione che ci inculcava il pensiero di “se credete in Dio non vi accadrà nulla di male e sarete destinati al paradiso” non siamo cresciuti considerando le possibilità di una sofferenza. Da piccola raramente sono stata posta dinanzi alla convinzione che la sofferenza avrebbe fatto parte di questa mia esistenza e ora, quando vedo quel che accade ogni giorno nella mia vita e in quella di ogni altro essere umano, mi accorgo di quanto la sofferenza sia necessariamente parte della vita, anzi…molto più facile da raggiungere e da vivere rispetto ad una concreta felicità (poi che la maggior parte di noi vivano in una felicità apparente e superficiale è un altro discorso).
La mia preghiera di oggi è questa: aiutami a credere. Aiutami a mollare ogni pretesa di controllo, di perfezionismo, di dover sapere cosa accadrà e come e quando. Aiutami a dire “non so e mi affido ma ci provo” libera da ogni aspettativa. Aiutami ad accettare di non poter sapere, di accettare che la vita sarà luce ed ombra e che anche dentro le ombre tu mi darai la forza di scorgere la luce.
Daria,
leggo questo tuo appassionato scritto e mi commuovo.
Però… ti faccio un rimprovero: sei sleale! Mi hai fregato. Mentre scorrevo le parole mi appuntavo mentalmente qualcosa su cui intervenire, ma nell’ultimo paragrafo, sì, mi hai fregato completamente e senza preavviso: me lo hai reso un compito improvvisamente impervio. Perché se nello scorrere il tuo scritto pur pensavo “che bello! Ma io direi questo, quello…” l’ultimo paragrafo mi afferra come una preghiera di una autenticità disarmante e sfavillante, e di colpo sono io, sono io che dico questa preghiera, che “soffro” questa preghiera, a volte mi verrebbe non tanto di pronunciarla “consapevolmente” ma di urlarla arrabbiato, esasperato, come estrema risorsa. “Aiutami a mollare ogni pretesa di controllo, di perfezionismo!”, ma insomma fallo, fallo adesso!
Se ti può consolare, io sono propriamente figlio di genitori che mi hanno dato tantissimo, pur con le loro ferite, ma che si potrebbero dire, con etichette un po’ infelici nella loro drasticità da uomo vecchio, “non credenti”, almeno non in senso classico. Il percorso di fede non è passato attraverso la famiglia, sebbene non mi abbiano ostacolato. Sono figlio piuttosto di un pensiero che dice “se ragioni con la tua testa vivrai consapevolmente, onorerai la tua esistenza”, senza alcun “rilancio” in un vita futura. Eppure mi trovo molto spesso nelle tue condizioni.
E le vocine mi arrivano anche a me! Anche nell’aula Zatti, arrivano… “ah sì tu stai meditando eh? Sei cristiano eh? E come mai quando Marco passa dalla meditazione alla invocazione, alla preghiera, tu hai un moto di fastidio, quasi? Saresti cristiano tu? Ma andiamo! La finisci di far finta? Ti piace questo tuo ruolo? Ma se arrivasse non dico una malattia seria, ma appena un piccolo fastidio, una contrarietà, che fine farebbe questa tua fede? Scommettiamo che si dissolverebbe in un attimo? Ma dài! Mo’ te’ voi ritaglià un ruolo in DP, e bravo! Ma dentro sei vuoto, tutto vuoto: ‘ndo voi andà? E poi, vogliamo dirlo?, questi qui intorno a te, ci scommetto, sono tutti bravi cristiani, sono tutti puri. E tu invece… mamma mia, beh lo sai, no? Namo, tornamosene a casa, è mejo…, basta con questa tua ipocrisia, lassa perde…” (Scusate ma mi pare che assuma un accento romanesco, ogni tanto, per essere più diretta e persuasiva…)
Però accanto a questo c’è altro. C’è la memoria di tanti incontri e tante cose che hanno nutrito il mio cuore, in questo triennio DP, tante grazie inaspettate ed inattese, che sono arrivate sopratutto quando mi credevo “indegno” oppure “incapace”, anche incapace di credere (capacissimo di fare bei discorsi sulla fede, incapace di credere). Come se una mano amorevole mi mettesse davanti delle primizie, quando raggiungo il massimo di desolazione. Per farmi capire che è altro, è altro. Non è uno sforzo mio, la questione. A Lui non gli frega una cippa se non riesco a credere abbastanza, lo sa come sono fatto. Basta che rimango, che riprovo. Che non desisto.
Tu dici “La grande verità è che prima ancora di creder, bisogna raggiungere uno stato di consapevolezza tale, di coraggio e di forza, da poter inter-agire con queste verità esterne così in realtà labili e fragili al primo tocco.” Io integrerei con questo, la grande verità è appena in quel “rimanete in Me”…
La grande verità è accettare la Sua signoria sulla mia vita, comunque sia, comunque io mi senta incapace. Qualsiasi cosa abbia fatto. Qualsiasi cosa non riesca a fare (incluso credere). E abbandonarmi.
Grazie per questo post, così sincero e introspettivo. Un abbraccio!
Grazie Daria di questo post mi riconosco in pieno e sentirmi in compagnia mi consola
un grande abbraccio
Annapaola
Cara Daria, leggendo il tuo post, mi rendo conto che il problema di affidarsi…ce lo abbiamo un pò tutti, è difficile per me pensare che se anche io non ce la farò…Lui in qualche modo…mi aiuterà….ma è soprattutto nei momenti di maggior sofferenza, quando per me era impossibile fare qualsiasi cosa…che ho sentito il suo aiuto….per poi dimenticarmene regolarmente e pensare che in fondo…è stato un caso. Si, credo sia molto più difficile credere che non credere. Un abbraccio cara Daria, Luciana
Caro Marco che bello ascoltare le tue parole. Per prima cosa ti ringrazio per aver trovato un momento nella tua giornata, come le altre lettrici, da dedicare alla lettura di questo post. Secondo poi il tuo io romanesco è fratello al mio a quanto pare ahah! Grazie per aver voluto condividere con me questa tua esperienza simile! Sono così felice di sapere, come sempre ci ricorda Marco, quanto questa sia una esperienza comune. Come ben dici, dobbiamo essere in grado di lasciarci guidare da qualcosa che seppur ci sembra lontano e distante, invece abita noi, la nostra mente e le nostre azioni e questo più che mai è stato evidente per te come per durante il nostro triennio DP che tanto ha cambiato la mia vita. Grazie ancora per il tuo intervento e grazie anche ad Annapaola, sono felice che queste mie poche righe abbiano potuto essere un dolce conforto per te oggi, un abbraccio!
Cara Luciana esattamente… come spesso sentiamo dire durante il percorso, siamo fatti costantemente di alti e bassi, di riprese come di ricadute e tutto questo dobbiamo attraversarlo e fondamentalmente “stare” e trovare il nostro personale modo di abbandonarci a qualcosa…!
Un caro abbraccio, Daria.
Cara Daria,
il tuo post mi ha attratto fin dalla sua immagine e poi via via mi ha attratta tutto il filo del tuo discorso incarnato. Mi riguarda la tua esperienza perché nell’ umano alla fin fine girano, con intensità e modalità diverse, le stesse dinamiche.
Mi chiamo Chiara e ho scoperto dopo tanti anni di essere una suora non credente. La mia vita è iniziata in un ambiente pieno di dolore, gelido, violento e poco, quasi niente comunicativo. La fiducia ho sempre fatto fatica a comprendere che cosa è.
A chi posso credere se ho sviluppato “antenne” che captano tutti gli eventuali pericoli, anche inesistenti? La mia difesa nei confronti degli esseri umani è molto alta come anche con me stessa … in profondità non mi fido e basta! Sono molto complessa “psichicamente” parlando e credere così, come l’hai descritto bene tu, non mi è assolutamente naturale, tutt’altro.
Dentro tutti questi miei contorcimenti psichici “credere di credere” è la mia chicca e diventare suora è stato in parte, il mio bel riscatto egoico. Dio me lo sono costruito su misura credendo fermamente di credere mentre tenevo una paura tremenda in corpo, ma sicura, sicurissima di essere una fervida credente.
Come fa a credere una come me, con tanto di velo e abito, ma chiusa in un muro di cemento armato e il fucile puntato? Certo d-io è la mia difesa! Così sono, mentre credo di credere.
Adesso mi viene da sorridere guardando alla Chiara armata fino ai denti, mi fa anche una grande tenerezza e quasi quasi la trovo anche divertente perché è bastato iniziare le mie “sedute” ben salde con il bacino sul sedile e sorridere per scoprire che iniziare a credere è anche respirare bene, è entrare in un ritmo vitale diverso semplicemente e non aspettarsi chissà che, se non il fatto che il mio sentire si affina, qualcosa a poco a poco si sgretola e le durezze si sciolgono in lacrime di pura consapevolezza dove qualcosa di altro si affaccia invitandomi a credere di volta in volta che il movimento interiore è già un inizio di qualcosa che non formulo io, che non lo preparo, che non lo predispongo ma si fa avanti da sé con dolcezza e forza. La decisione di credere nasce anche nello sperimentare ciò che mi accade di reale e insolito, sì, perché è insolito percepirmi un po’ più morbida, meno contratta, un po’ più lucida …. Sto riconquistando me stessa? E dov’ero finita? Sentire gli altri non estranei ma parte di me … che ci faccio con il fucile in mano? Che “razza” di suora sono?
Il mio dubbio è inverso … non posso non credere perché quello che mi accade è strano, è diverso da come mi sono sempre percepita cioè dura, chiusa, sospettosa … mentre adesso sperimento un pò più di leggerezza, più aria, più fiducia.
Quando si muove qualcosa che non conosco di me, che non fa parte dei miei presupposti consolidati trovo una fiducia che non ho mai sperimentato fino in fondo e credo, credo, perché da sola non mi accorgerei di ciò che mi sta accadendo, perché qualcosa di sepolto si sta disseppellendo … la chiara armata fino ai denti non è tutto in me e credere che c’è anche molto altro mi tira fuori, mi salva davvero dall’ illusione di sapere chi sono: Chiara in movimento, in creazione, impastata con gli altri dove la luce del puro credere è l’unico faro affidabile. Grazie Daria per avermi dato l’opportunità di riflettere su questa realtà così importante. Chiara
Cara Daria,
in questa tua bellissima condivisione emerge in realtà moltissimo della tua fede, che è palesemente immensa: semplicemente devi imparare a riconoscerla tutta e già grande in questo tuo appassionato “voler credere”. Come ti ho detto spesso, hai una forza di limpidezza e trasparenza rispetto al tuo sentire, anche quello più contraddittorio, che è soprendente davvero: anche ciò che è più intricato sembra fluire chiaro e puro nelle tue parole.
Hai ricevuto un dono molto prezioso di umiltà: osservati sempre a partire da questo tuo spirito, restane fedele.. . credi cioè a ciò che già ti muove a credere in generale, riconosciti nel modo in cui già sei.
Questo per te significherà un terreno di affidamento che nessun duro colpo della vita potrebbe mai distruggere: un suolo da curare e imparare a donare a tutti coloro che se ne sentono privi.
Vedo molto questa vocazione donativa nella grande fase di svolta che stai vivendo!
Ti auguro profondamente di continuare a vivere la tua crescita in questa direzione.
Un caro saluto,
Luca. –
Ciao Chiara, “suora non credente”…mi ha colpito tantissimo la tua testimonianza, coraggiosamente così sincera e per questo così profondamente umana!
Grazie per la speranza nel “puro credere” che sei riuscita a trasmettermi.
mcarla
Daria, le tue parole ci fanno respirare a due polmoni. Dopo la settimana di appassionato dibattito politico, la tua riflessione non gira pagina ma mi aiuta ad andare in profondità nello stesso lavoro di ricerca, con fede e speranza.
Dici :”Puoi anche essere quel che sei, creatura di Dio…”, e mi sembra che se riesci a stare in questa consapevolezza hai la certezza di poterti abbandonare: a cosa?, a quell’Amore che ci ama perchè siamo suoi figli. Creati e co-creatori, “generativi”, come dici bene : l’atto del credere è puro atto creativo, generativo e disinteressato.
E se è così, come è, allora l’impotenza svanisce.
Come ci dice l’esperienza grandiosa della Hillesum, quando l’ombra spaventosa della cruda realtà esterna andava ad infrangersi contro la salda postura in cui sapeva “stare”.
A ChiarachefaridereMarco. E dopo quanto scritto fai ridere anche me, di simpatia. Rido perchè anch’io ero sicuro di essere un fervido credente e mi riconosco appieno in quel cemento armato col fucile puntato.
Trovo fantastico che Daria vuole credere libera dal voler credere, tu credi di credere, Castellani sente le domande di quella vocina ed è tentato di “lassa perdeee”: pensiamo che il voler credere sia molto diverso dal credere?
Finora i “più ferventi” erano di cemento, mentre ora lo Spirito che lavora ci ha offerto la Grazia del percorso che descrivi bene perchè l’hai sperimentato:” respirare bene, il sentire si affina, le durezze si sciolgono in lacrime di pura consapevolezza, il movimento interiore è qualcosa che si fa avanti da sè con dolcezza e forza, dove la luce del puro credere è l’unico faro affidabile”.
Rendiamo grazie e lode perchè tutti stiamo imparando ad essere canali dello Spirito.
Vi abbraccio, GianCarlo
Grazie, cara Daria, e sii felice, questa avventura ci dona ogni giorno un bel regalo.
Vorrei solo ricordarti che quelle vocine segnalano solo una precisa fase della pratica e del percorso iniziatico.
Niente di più.
Un tempo avremmo parlato di piccole tentazioni.
Non ti ci fissare, ma lavorale come ogni altro pensiero: le riconosci con benevolenza, e in questo espiro un po’ più consapevole e profondo, le lasci andare, non le fai tue, godendo del sollievo di questo reiterato distacco.
Senza fretta, e senza pretese, momento per momento, riconosciamo il pensiero dubbioso, la sua antica origine, e lo lasciamo dissolversi.
Lì nel vuoto che si apre, il cuore apprende la gioia di una integrità, in cui credere significa solo esistere nell’Aperto.
Un bacio. Marco
Daria. Grazie. Questa luminosa riflessione ruota sulla fede, aggiungerei fiducia.
Mi sorprendo a contemplare la tua fluida scrittura così viva e matura.
Sento soltanto di voler comunicare un mio piccolo contributo in questo solco che hai tracciato :
più riusciamo ad abbandonarci con fiducia nella nostra natura fondamentale di bontà, che è amore, più cresce il nostro credere. Non siamo mai soli o separati. Siamo noi il tutto.
Marco F.
Ciao Daria, grazie. Mi succede spesso ultimamente che sento nascermi un sentimento che chiamo felicità. E’una cosa che mi tocca, leggera e delicata mi smuove dentro correnti profonde e dolcezza infinita …
Il mio quotidiano non è migliorato anzi a volte è insopportabile per il peso di difficoltà che non riesco più a sostenere … non ho al momento vie d’uscita e “devo stare lì” ed è a questo punto che per salvarmi … Credo. Non mi sembra neppure una mia scelta. Nelle mie profondità non c’è alcun ego che deve scegliere e comandare. C’è pace e c’è pienezza, sazietà da ogni cosa terrena, ascolto uno scorrere vitale e lo vivo come una naturale direzione. Quasi una bussola interiore che mi aggancia al Credo anzi … in questo scorrere vitale non c’è neppure la domanda, anche credere è un tutt’uno.
Credo che Qualcuno mi ama così come sono e ne sento l’affettuoso ed accogliente abbraccio. Qualcuno il cui nome raramente riesco a pronunciare. Credo anche nei miracoli e credo alla grande forza che crea l’essere Insieme, credo, mi fido e mi affido ed in quei momenti sento maturare una cosa che chiamo felicità. La intuisco in seme e la coltivo. Non è motivata, né condizionata.
Si fa dolcemente notare per il paradosso … il momento è molto triste, da un po’ anche troppo spesso, e contemporaneamente è come intuire quella piccola gioia in seme che chiamo felicità. La mente sta quasi per dire -spostati sei fuori luogo- … invece … la lascio arrivare e sempre mi consola.
A volte la invoco, sorridendo e tentando d’ immaginare come sarebbe una vita felice sulla terra … con la felicità sembra una cosa di un altro mondo …
Barbara
Grazie a tutti per il contributo in un argomentio così difficile non solo da affrontare ma da realizzare. Mi domando allora se devo credere per fidarmi e quindi poter scegliere ed agire di conseguenza o se devo lasciarmi andare per sperimentare che mi fido e che quindi credo? Forse sono necessari entrambi i movimenti alternativamente. Il credere non viene da se’ comunque come per miracolo ma è una conquista che richiede studio, osservazione, sperimentazione, riflessione e in questo lavoro continuo si crea col tempo un centro saldo e duraturo dal quale non puoi più prescindere. Paolo ci insegna che è credere nella risurrezione che cambia la vita, questa è la rivoluzione che cambierà il mondo. E Pietro aggiunge che dobbiamo saper rendere ragione della nostra fede! Ci chiedono veramente un grande sforzo! Quanto studio ed elaborazione interiore questo richiede? Ma dipende certo dal nostro impegno. Tutta la mia esistenza è determinata da ciò in cui credo quindi devo mettercela tutta ora e tutti i giorni a venire. Il credere in questo senso lo immagino come un percorso in crescita verso la luce che per sua natura mi rivelerà sempre qualcosa di nuovo, basterà che io voglia guardare e provare. D’altra parte per credere devo sperimentare come Tommaso, ma per iniziare a sperimentare devo già un po’ crederci o almeno sperarci. Rimanere aperti sempre dunque è un buon inizio .
Hai perfettamente ragione, Daria: credere e voler credere è un’ imposizione che ci è stata data fin da piccoli e che ora noi imponiamo a noi stessi . Credo che il fulcro del problema sia spostare lo sguardo dal “voler credere” alla ricerca di chi sono io veramente , in realta’. Sento che il mio lavoro è quello di liberarmi dalle sovrapposizioni mastodontiche che soffocano il mio vero Sè , che fa fatica a farsi sentire , la sua voce è flebile come il fruscio leggero della brezza nel roveto ardente di Mosè…La mia ricerca attuale non è credere o credere autenticamente , ma cercare il mio vero essere , che ha la stessa natura dell’ Essere: Atman è Brahman. In questo percorso mi è di grande aiuto la liberazione dai complessi di colpa ereditati dalla cultura giudaico-cristiana , che soffocano la mia anima come una gramigna . In questo m i è maestro T. N. Hanh , monaco e maestro buddista Zen . Il buddismo mi ha insegnato la gentilezza verso me stessa , l’ accoglienza della parte ombra come una bambina che sbaglia e che ha bisogno di imparare la strada e che, comunque, ha qualcosa da rivelarmi ,come diceva anche Jung . Cosi’ l’ ombra si trasforma in energia vitale per il mio cammino. ..Mi ritorna in mente il monito scritto sul tempio di Delfi “Conosci te stesso e incontrerai Dio e il Mondo”. Tutte le tradizioni sapienziali collimano nella mistica . Posso testimoniare che, grazie alla meditazione ,ho fatto l’ esperienza di Dio dentro di me , anche se molto impermanente…Non ho più bisogno di “voler credere “, anche se non mancano i momenti di buio e di contrapposizione interiore … Carmela De Santo
Cari amici, vi leggo solo ora con un momento di calma per potervi rispondere. Leggere tutti i vostri contributi è semplicemente commovente…Quel che sento ogni volta che accedo al nostro sito, alle parole che emergono dal nostro percorso, uno strano senso di familiarità mi pervade. Sapere che in modi diversi ciascuno di noi riesce a vivere e sentire proprie le medesime situazioni che abitano le giornate di ciascuno di noi…
Il “credere” come ho potuto ben acquisire dai vostri preziosi interventi è qualcosa di estremamente forte…sia nel senso di volerlo raggiungere, come una luna lontana, sia nel senso di dubitarne circa ogni ora…
E’ come se si presentasse a noi la nostra personale chiamata ogni giorno. Come ben detto, è qualcosa che ci viene insegnato sin da piccoli; la paura del “Non credere”, il dubbio, la sfiducia sono allettanti e quindi, come ben suggerito da Alitar, probabilmente sono entrambe (il credere e il non credere) stadi ambivalenti di un lungo percorso di ricerca e consapevolezza, stadi necessari da attraversare. Grazie di ricordare sempre con le vostre parole che questo è un percorso comune e non solitario, un caro abbraccio.
Buongiorno Daria
Leggo la tua bella riflessione sul bagnasciuga di una spiaggia in Liguria dopo aver finitoe di recitare le Lodi come ogni mattina.
Intanto grazie per le tue parole di vita che per chi “prova” a credere è vita nella fede.
Si è vero siamo figli di una fede un po’ “retribuzionista” che nelle logiche del tempo in cui viviamo non ha faticato a confermarsi e addirittura a radicarsi.
Ma se ci pensiamo bene la vita di ogni essere umano è un continuo “atto” di fede : da quando apriamo gli occhi il mattino a quando li chiudiamo la sera, passando per tutto ciò che tu hai descritto del quotidiano.
Credo che un punto che merita di essere meditato è quanto tu hai scritto con estrema limpidezza e semplicità ” …puoi anche essere semplicemente quel che sei, creatura di Dio e per questo motivo, abbandonarti a ciò che non potrai sapere…”.
Io penso spesso, direi tutti giorni, soprattutto la sera, a tutto ciò che ho ricevuto e a quanto continuo a ricevere “gratuitamente” nonostante i miei limiti e la mia pochezza e a quanto poco restituisco “gratuitamente”. Forse la “misura”, se così si può dire, del nostro credere sta proprio nella nostra capacità di “restituire a Dio ciò che è di Dio”
Grazie
Vincenzo
Cara Daria e cari tutti,
ho letto il tuo post molto interessante (e tutti i vostri commenti) che mi ha sollecitata non poco, perché i tuoi dubbi e il tuo desiderio di “credere libera dal voler credere” mi appartengono profondamente. Ma è realmente possibile …? In questi giorni in cui sono a Roma, godendo una beata solitudine, ho riascoltato il 4° e 5° incontro del 2° anno di Darsi Pace, che riguardano precisamente la scelta di fede. Sono due incontri molto importanti, in cui Marco ci chiama con determinazione a fare una scelta precisa: scegliere di credere, nel cristianesimo, oppure in qualche altra religione o filosofia (ad es. orientale) , oppure non scegliere che equivale a scegliere “l’adattamento” freudiano.
Marco ci spiega che è fondamentale decidere di credere e in cosa credere, e per decidere bisogna approfondire le vie che abbiamo davanti, con le inevitabili conseguenze che ognuna comporta nello stile di vita.
Per quanto riguarda il cristianesimo, Gesù disse: “convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1, 15) . Alla luce dell’insegnamento di Marco, “convertitevi” si riferisce allo stato dell’io in conversione, nel quale entriamo tutti quando ci osserviamo nell’ ascolto profondo e ci interroghiamo su noi stessi, e poi “credete al Vangelo” (notare il verbo imperativo!) presuppone e/o implica l’io in relazione. Ma com’è questa mia relazione ? mi chiedo. E mi rendo conto tristemente che andare avanti in una relazione più o meno indefinita semplicemente credendo in modo più o meno vago a qualche presenza divina in me, che mi aiuta e mi sostiene, può essere certamente un inizio di percorso, che porta anche dei cambiamenti positivi, ma questo non basta per il cristiano, il grande salto andrebbe fatto verso una scelta precisa di fede con il desiderio di “credere veramente, libera di voler credere”.
Un caro abbraccio
Palma
scusate correggo la scrittura dell’ultima frase: “credere VERAMENTE, libera DI voler credere”
Caro Vincenzo, grazie per le tue parole! Concordo con te, il nostro primo piccolo atto di fede può giacere esattamente nel momento stesso in cui rendiamo grazie per ogni cosa che viviamo e per ogni giorno e ora della nostra esistenza…grazie per il tuo contributo!
Pamela grazie anche a te! Esatto…ho iniziato il mio percorso di fede più concreto, proprio alla metà del mio secondo anno (più o meno un’anno e mezzo fa) e il mio post è l’insieme di tanti pensieri che mano mano hanno preso il loro spazio attorno a questo atto così deliberatamente nostro eppure così difficile, forse il più difficile…il grande salto è proprio quello che sto cercando e quello cui il mio cuore propende… un abbraccio
Mentre leggevo l’ultimi paragrafo, non so perchè mi sovvenivano le parole della eucarestia: “Perché la Chiesa pellegrina sul tutta la terra ….” E’ proprio questo essere pellegrini lo stato “costante” in cui ci troviamo. Purtroppo concepiamo spesso questo stato come transitorio, come se dura un poco e poi non più. E invece l’accorgerci che è uno stato constante ce lo rende meno accettabile. Lo stato di grazia, credo, di santità, non è altro che l’accettazione interiore di questo “stato di perenne pellegrinaggio”. Pellegrino: fragile, parziale, precario.