Attendere. Essere in attesa, paziente. Rinunciare. Rinunciare a seguire il filo implacabile del pensiero, del progetto, la catena irredimibile del fare. Essere nuovi, essere rivoluzionari, essere.
Essere nuovi ed antichissimi, essere autenticamente originali. Essere propriamente sé stessi, essere.
Essere in relazione, schiantare l’autosufficienza impaziente. Don’t carry the world upon your shoulder.
Sfondare il senso di dover dare senso al mondo, con il proprio fare. Lei del resto, non doveva fare nulla, peraltro. Proprio nulla. Solo essere d’accordo, solo non porre ostacoli, solo non fare valutazioni su sé stessa o sul mondo, non doveva nemmeno capire il disegno, solo questo: solo dire sì.
Purissima, entra nel mondo senza alcuna ombra disarticolando nel profondo gli usati meccanismi, le note dinamiche, nella forza preventiva di questo sì.
Te lo dico per questo. Per questo che mi dici. Perché la fecondità arriva, amica mia. La fecondità arriva quando ti arrendi. Quando lasci fare, ti rendi morbida, ti lasci fare.
Lei non poteva dare senso al mondo con il suo fare, soltanto. Non avrebbe potuto. Poteva solo accogliere.
Capisci che quando ti arrendi sorge un seme, sorge un seme dentro di te e diventi feconda, diventi bella in ogni cosa in ogni cosa che fai o che non fai.
E’ la sconfitta suprema, il ground zero della tua mente, final-mente, delle sue architetture crescenti e ricrescenti come cellule malate come cellule impazzite.
Ben conosci, mia cara, questi acri di architetture infeconde, universi desolati e freddi, vastità gementi.
Vedono, i tuoi occhi profondi, la sconfitta di ogni ideologia, affondata nel suo stesso spazio, implosa nell’assenza di senso, morta intrisa in sangue e violenza, quella violenza inesorabile del vuoto.
Allo stesso tempo, imperniata nello stesso istante, esulta il tuo cuore per la vittoria radicale del pensiero poetico e d’ogni umana arte, come universo pulsante propriamente carnale, lietamente espulso dall’orbita dal pensiero razionale.
Quella perpetua sottesa vittoria della bambina in te che vuole solo la mano che guida, l’affetto, un senso dolcissimo di essere salvata
abitando questa sola pazza e sconveniente saggezza,
l’estrema saggezza di accogliere, acconsentire:
lasciarsi cadere al di tutto, fuori di te eppure
al tuo vero centro, grembo accogliente dell’universo tutto.
Sulla strada dello Spirito: le immensità dell’universo e le profondità infinite dell’essere unite dalla potenza della parola. Lei, la nostra guida.
Grazie, Marco, per questo post, che avverto pieno di tenerezza e pace leggera. Le tue parole mi convincono ad abbandonare la mia ansiosa ricerca di progetti basati su un fare cieco, alla ricerca di chissà quale identità. Darò invece spazio alla mia disponibilità a lasciarmi fare e fecondare da una forza spirituale non programmabile.
Chiedo il coraggio e la pazienza di non avere fretta, di aspettare in silenzio. Mariapia
Grazie, Marco,per questa bellissima pagina di teologia mariana poetica. Sono d’ accordo con te: il segreto della conversione spirituale e della gioia è tutto nel passaggio dal fare al semplicemente essere… Carmela De Santo
Grazie carissimi, per i vostri commenti! Sono imbarazzato, in un certo senso: il tentare poetico mi porta oltre l’ostacolo, vedo (e vado) con la parola, dove non arrivo io stesso, col ragionamento. Perché io ho sempre fatto fatica a comprendere la figura di Maria, e soltanto un punto di entrata in poesia me l’ha reso più caro, mi ha fatto comprendere – o meglio “sentire” – qualcosa che volevo trattenere, mi ha trasmesso sotto la pelle, nel sangue vivo e così ordinariamente e sterilmente ribelle, un senso di bellezza, una attrattiva, che ho voluto, allora sì, provare a dirmi, a dirvi.
Questo è anche stato possibile, credo, dal fatto che mi è maturato ad un certo punto un qualche “sospetto” che Maria sia molto più – e molto diversa – da come la avevo assorbita negli anni, dove paradossalmente (e disgraziata-mente) proprio la sua tanto declamata “purezza” me la rendevano lontana, distante: dal me vivente, dalla mia carne umana, articolata, squadrata, straziata di passioni e desideri, quasi dissonante. Di diversa armonia, vibrante.
Il terzo anno di Darsi Pace ha scongelato proprio questo sospetto, ha messo in moto qualcosa. Sono ai blocchi di partenza, in questo campo, più di voi tutti! Ma capisco che c’è una purezza del momento, che è legata al ripetere il Sì, al farlo allargare nel cuore, in qualunque situazioni ci si trovi.
“Perciò ricordati quello che è stato detto prima: il «sì» a questo punto rallegra la vita.” (Luigi Giussani)
Questo Sì che rende puri, fertili, fecondi. E che rallegra Immediatamente. Che si sia santi o assassini.
O entrambi.
Grazie.Difficult scrivere un resto lungo mantenendo l attenzione di chi legge…..trasmette pace! e parla di quell’ accettare che non e’ passivita’ ma fiducia,contemplazione e carita’ al contempo.Grazie la vado a rileggere di nuovo ….io che prediligo di solito poesie di poche righe …..grazie.
Grazie a te Elisabetta. E’ un dialogo immaginario, immaginato, che vorrebbe proprio trasmettere pace, il profumo della resa, resa feconda. E’ bello che si avverta!
Un abbraccio.
Caro Marco, è stat una lettura davvero appagante
mi tocca molto quel che dici così vivamente…mi vien da dire : è proprio così
questa difficoltà all’abbandono è come una tela rigida sulla pelle che comprime come una camicia di forza
solo nella meditazione o praticando tai chi a volte per me si dissolve per un poco: questo è un momento meraviglioso!
confido nel cammino in Darsi pace per una resa totale
Grazie, un abbraccio
Loredana
Grazie Loredana, la difficoltà nell’abbandono è proprio il perno di questa composizione, in effetti. E rivoltato in positivo, la dolce delizia del superamento, quando accade, perché quando accad è sempre “un momento meraviglioso” come ben dici tu stessa.
E proprio qui, l’uso dello strumento poetico (quello possibile alla mia povera arte, beninteso) è il “workaround” per aggirare lo schema difensivo del pensiero razionale, per sviarlo e arrivare direttamente al nucleo emotivo, a cercare la risonanza del cuore prima dell’assenso razionale. Risonanza immensamente più preziosa, ai miei occhi.
Insomma, cercare quelle frequenze che vanno sulla risonanza del cuore, quelle onde, quel segnale il cui rivelatore è la carne, non il pensiero.
Devo a Darsi Pace, all’impostazione di Marco Guzzi, la comprensione “a pelle”, prima ancora che razionale (appunto) dell’uso dello strumento poetico esattamente all’interno del lavoro spirituale, secondo delle specificità che gli sono proprie. Quelle che rischiavamo di dimenticare, nella realtà “aumentata” della connessione tecnologica e della quantizzazione/frammentazione merceologica.
RIguardo la resa totale, è un miracolo dell’altro mondo, è un tendere asintotico, uno struggimento che però può essere metodologico, può essere il lavoro, è il lavoro, è l’unico lavoro verso cui tendere. Darsi Pace è un’officina, una meravigliosa officina, per questo.
Un abbraccio!