Una delle esperienze più temute è quella del Vuoto.
Il Vuoto suscita spesso paura. Fuggiamo dal vuoto semplicemente perché le prime sensazioni che sorgono in noi quando non abbiamo nulla da fare, non sono sempre piacevoli. Se proviamo proprio ora a fermarci, anche in questa lettura, per pochi istanti, e a fare un elenco dei piccoli sentori che avvertiamo, è probabile corrispondano a piccole agitazioni, divagazioni, che ci fanno percepire con fastidio e una leggera insofferenza l’inattività, il Vuoto d’azione volontaria e di pensiero.
Come ogni paura, la paura del Vuoto dà origine a uno stato di contrazione e di tensione, anche muscolare. Quindi a livello corporeo avrò avvertito, oltre all’affollarsi dei pensieri che mi richiamano altrove, verso qualcosa di più urgente da fare o a cui pensare, anche una certa contrazione del respiro, che diventa più superficiale per inibire le sensazioni spiacevoli.
Questa prima reazione è normale, e non ha solo a che vedere con l’assetto di una mente non addestrata, come si esprimerebbe la tradizione buddista, che come una scimmia impazzita salta da un ramo all’altro, ma anche con il periodo storico in cui viviamo.
Noi siamo infatti un corpo in una storia, carne storica, in un preciso momento e in un luogo specifico: siamo Occidentali del XXI secolo. Le nostre cellule, le nostre paure ed emozioni risuonano, vibrano del nostro passato, individuale e della specie umana.
Viviamo quindi, da Occidentali, ormai da qualche tempo, nell’epoca di rivelazione del nichilismo. Il nichilismo in sintesi svela, mette a nudo la “menzogna bimillenaria” (Nietzsche), ovvero la pretesa dell’ego umano di porsi a fondamento del mondo. I progetti dell’umanità collassano perché il loro fondamento si rivela in sostanza un Abisso. Così iniziamo a percepire, che lo vogliamo o meno, come inconsistenti e incapaci di guidare la nostra vita i discorsi, le progettualità, gli ideali di realizzazione che avevano guidato migliaia di milioni di esseri umani prima di noi, e forse ancora sorreggevano le generazioni immediatamente precedenti alla nostra.
Inizia ad aprirsi una crepa, e temiamo di sprofondare. Una parte di noi ha paura, e ha ragione dal suo punto di vista! Quello su cui facevamo affidamento, ciò che era certo, sicuro, è come se perdesse colore, vitalità, consistenza. Non ci basta più. Non ci sentiamo più a nostro agio nelle convenzioni sociali. Sentiamo la mancanza di qualcosa, mancano proposte di vita convincenti. Scopriamo quindi la nostra natura di esseri limitati, mancanti. Questa mancanza è un Abisso che si apre, e talvolta vorremmo fuggire via.
Abbiamo il timore di affondare nell’insensatezza: forse nulla può dare senso, e cioè direzione, alla mia vita? Se proviamo magari a tornare con rinnovata volontà ai nostri propositi, presto o tardi tutto ci stanca e ci delude. Cosa possiamo fare?
“Vedo che il mio malessere deriva dal non essermi figurato per tempo che ci troviamo in Occidente” (Rimbaud)! L’Occidente serba in sé il nostro destino: siamo tutti occidentali, e quindi occidui, tramontanti. Il sole al tramonto sprofonda nel mare.
Come il sole, attendiamo anche noi l’alba. L’alba arriva dopo la notte.
Non ci resta quindi che accettare di tramontare: non possediamo in modo totale, rigido, sicuro, predeterminato il progetto della nostra vita! Mi abbandono al tramonto, non lo rifiuto. Lascio che dalla Notte, nel Vuoto che imparo ad abitare, dalle profondità del mio essere, emerga la nuova Alba. L’Alba arriva sempre, anche dopo una notta infestata da demoni notturni.
Già in questo siamo rivoluzionari. Oggi infatti la società in cui viviamo sfrutta il nostro malessere ai propri fini: il nostro senso di mancanza viene colmato provvisoriamente dallo smartphone, da una nuova occupazione, da un viaggio esotico, insomma da prodotti di consumo. Questo non fa che alimentare l’insensatezza. Scegliere altrimenti, scegliere di abbandonarsi al Vuoto e al silenzio almeno una volta ogni giorno, significa creare una realtà diversa, dotata di sensatezza, in cui tornare a respirare a pieni polmoni.
Oggi l’unico Senso possibile, a livello individuale e collettivo, può nascere quindi dall’affidamento fiducioso al Vuoto che, specialmente in questo periodo storico, ci richiama a Sé. Un Vuoto che terrorizza la parte di noi che vorrebbe continuare ad alimentare i suoi assurdi progetti di realizzazione, indaffarandosi, ma che si rivela come spazio aperto e rigenerante per la parte più autentica di noi stessi.
Ogni nuova giornata, per darle un SENSO, deve essere corroborata da un ampio respiro, sia fisico che spirituale.
Da molti anni sono abituato ad invocare lo Spirito Consolatore: ” Vieni Santo Spirito….”
Recentemente ho avuto occasione di ” imbattermi” in una bellissima poesia, preghiera, di Marco Guzzi che rispecchia
perfettamente lo stato d’animo che mi accompagna da alcuni anni.
Voglio ringraziare per questo il poeta che, come un pescatore, sa pescare nel mare del linguaggio quelle uniche parole
sufficienti ad esprimere il sentimento.
Aggiungo una breve nota: lo scorso anno Marco Guzzi ha tenuto ai sacerdoti cremonesi una conferenza sul tema della novità cristiana. Ho avuto l’opportunità di ascoltarla con grande interesse nei giorni scorsi via “YouTube”.
Vorrei al riguardo sentire l’opinione sul pensiero del grande filosofo teologo (sacerdote) R.Panikkar che, pur rimando sacerdote cattolico e pienamente credente in Cristo ( Giov. 10,10), abbracciò anche la fede induista ( il padre era induista) sostenendo la pari dignità delle Religioni ( ognuna con i suoi mezzi affronta la scalata ai vertici dell’Assoluto).
Noi, da cristiani, abbiamo un bagaglio filosofico molto più pregnante! Ma tutto è relativo difronte al Mistero.
Grazie.
“Come il sole, attendiamo anche noi l’alba. L’alba arriva dopo la notte. Non ci resta quindi che accettare di tramontare: non possediamo in modo totale, rigido, sicuro, predeterminato il progetto della nostra vita! Mi abbandono al tramonto, non lo rifiuto. Lascio che dalla Notte, nel Vuoto che imparo ad abitare, dalle profondità del mio essere, emerga la nuova Alba. L’Alba arriva sempre, anche dopo una notta infestata da demoni notturni.”
Da quando l’ho letta, questa frase mi fa compagnia.
Rileggendola, rivivendola, vi trovo veramente il punto cardine del cammino. Accettare di tramontare, abbandonarsi al tramonto. Le strade qui si divaricano, non c’è verso, non c’è più verso, di stare con un piede in ognuna. La tensione aumenta, lo sforzo per stare in ognuna insieme (non si sa mai, come si dice) diventa titanico, sovrumano. Ogni giorno di più. Mi accorgo che lo stesso scorrere del tempo, l’incidere del tempo sulla carne, sull’esistenza, gli anni che passano, tutto riporta ogni giorno questa domanda, con rinnovata urgenza: resisti, o ti abbandoni? Ogni giorno accumulato, la resistenza è più faticosa, più artificiosa, più difficile.
La paura di sperimentare questa “morte” nel tramonto è dannatamente forte, fortissima. Ma la Promessa, ha un riverbero che comunque si fa strada. Forse proprio quando l’alternativa – che mi sembrava sempre possibile – vacilla, e lo spettro del non senso avviluppa il cuore e morde la carne, forse allora si inizia a fare un timido passo nel vuoto. E, come si fosse in un vecchio cartone animato, non si cade. Stranamente, non si cade.
Come camminare sulle acque, insomma: finché si è aperti alla fiducia, non si cade (Vangelo docet, del resto). O se si cade, ci si riprende. Non si dà principio di non contraddizione nel cammino spirituale, la logica è una assoluta menzogna: l’affidarsi fiducioso al Vuoto è la cosa che fa più paura in assoluto, ed è la cosa che più conforta, in assoluto.
Grazie di cuore, Filippo, per questo tuo scritto.
Con il lavoro DP, la mia mente e il mio corpo hanno allentato un pò le loro resistenze, perché hanno scoperto che nel vuoto, nell’abbandono, non cado più nel nulla e nel nichilismo, ma in Braccia Fiduciose Che continuamente e ripetutamente mi attendono!
Grazie Filippo per il tuo maturo e bellissimo scritto che ben esprime lo stato dell’uomo di oggi ed è di grande conforto per chi, confuso, non riesca ancora a vedere ” l’alba, dopo la notte”!
Un augurio generale! Maria Rosaria
Grazie caro Filippo, solo leggendoti respiro, gusto la dilatazione e l’ampiezza di un nuovo pensiero capace di trasmettere una visione vitale ed essenziale che sa intravedere il senso evolutivo dentro il buio della sofferenza che viviamo nella nostra concreta realtà!
Una visione chiara e intuisco che la vera speranza del mio cambiamento è già l’alba del giorno nuovo che attendo. Vanna
C’è forse un vuoto più grande di quello lasciato da un figlio che muore ?
Non lo so.
Vi seguo da tempo e a volte ho condiviso con voi un commento a una riflessione che faceva risuonare dentro di me una nota speciale. Non riesco per ora almeno a far parte integrante né telematicamente né di persona dei vostri gruppi ma l’effetto potente e incandescente delle parole che fate risuonare, contagia chiunque sia in risonanza.
Sei giorni fa nostro figlio Francesco, da 31 anni in carrozzina, spastico nel corpo ma vivente appieno nella mente, da bruco che era è diventato farfalla. Il vuoto lasciato attorno c’è, innegabilmente, e essendo già da alcuni mesi assente da casa, i posti vuoti lasciati da lui hanno scandito le giornate. Ora i posti vuoti – la sua sedia a rotelle, il suo letto – lo sono definitivamente.
E allora questo vuoto ? Lo stiamo faticosamente vedendo riempirsi di puntini luminosi ( stelline di Natale, farfalle, lucciole ? ) che si stanno allargando intorno a noi coinvolgendo tutte le persone che in questi lunghi anni abbiamo avuto intorno e che ora ci hanno detto, come prima risposta: ‘Non è possibile’. I due fratelli minori uno dei quali ‘vaso di terracotta tra vasi di ferro ‘ stanno cercando di andare -ognuno a suo modo- oltre ,e lo stesso mia moglie.
E allora forse è come la scienza ci sta sussurrando: il vuoto non esiste, esiste nel più fondo dei fondi della materia una vibrazione costante, un campo quantico, un insieme di piccole onde che riempiono tutto e tutti e rendono senza significato la parola ‘vuoto’.
Invece il vuoto, un altro tipo di assenza di qualcosa, lo vedo spesso sui volti dei miei studenti quando non riescono a staccarsi dalle mille suggestioni che piovono loro addosso senza controllo e senza interruzione. Tante volte, già in passato ho cercato di far illuminare anche solo per un attivo quei volti, veder brillare un lampo di interesse, di gioia.
In questa circostanza però me li sono ritrovati, solo alcuni ma rappresentavano tutti, in chiesa, senza che gli avessi detto nulla, a sostenermi e a colmarmi/ci di affetto. Tra le centinaia di persone – tanti giovani scout, Unitalsi e amici comuni, quel gruppo di studenti con alcuni colleghi miei e di mia moglie – insegnante anche lei ma a bambini di pochi anni – sono stati per noi brillanti di una luce particolare.
E allora ho ripreso coraggio e ne ho parlato in classe con tutti loro ( IV e V di un istituto tecnico di Firenze dove abitiamo e insegno ) e ho scoperto quello che abbiamo in famiglia sempre saputo e cioè che i giovani sono estremamente assetati di verità e di sincerità. Ho proposto ad alcuni di loro di vedersi con calma, senza obbligo e senza scadenza i video che Marco Guzzi da dedicato all’incontro con gli studenti delle superiori, senza dir loro nulla né su chi fosse l’autore né altro, ma dicendo che non era un argomento che normalmente trattiamo – insegno elettronica e sono per natura e cultura un astrofisico – e mi sembra di non essere il solo su queste pagine.
Spero che la curiosità faccia il suo lavoro e li faccia riempire lo sguardo.
Grazie a tutti voi
Martino
“Il Vuoto e il Nichilismo come opportunità”
“L’affidarsi fiducioso al Vuoto è la cosa che fa più paura in assoluto, ed è la cosa che più conforta, in assoluto.”
Riflettevo su queste frasi, così vere e mi è venuta in mente l’espressione “Cupio dissolvi”
Pensavo alla sua ambivalenza e alla, strana ma comprensibile, trasformazione del suo significato.
Dal mistico annientamento in Cristo di San Paolo.
All’insano desiderio di autodistruzione.
Un caro saluto
“Non si dà principio di non contraddizione nel cammino spirituale, la logica è una assoluta menzogna: l’affidarsi fiducioso al Vuoto è la cosa che fa più paura in assoluto, ed è la cosa che più conforta, in assoluto.”
Questa frase mi ha suscitato questo genere di pensieri. Non può essere che il nostro terrore del vuoto (l’angoscia primaria, come la chiamava Freud, o qualche cosa del genere) derivi dal grande trauma iniziale della nostra nascita, quando siamo stati, letteralmente, spinti fuori. Fuori! In pianto e stridor di denti! Poi, pian piano, la stessa Vita che ci ha fatto questo scherzetto ci ha fatto capire che, forse, era meglio così, anzi era giusto che fosse così. Se ci pensiamo bene, da allora tutta la nostra vita è stata un unico atto di fede, a cominciare proprio dai primi passi con relative cadute e fiducia testarda che ce l’avremmo fatta, fino alla fiducia nella vita stessa che ci ha portato a ‘fidarci’ di un’altra persona con la quale fare pure dei figli. Ho 66 anni e più invecchio più riconosco che la vita è un Mistero davvero grande, e ancora più grande è il mistero della nostra libertà. Forse adesso la stessa Vita mi sta pian piano (sono fortunato io) e ancora spingendo in un altro ‘fuori’, però diversamente da 66 anni fa mi suggerisce in mille modi di non avere paura, perchè, come allora, non si dà vera morte ma solo un cambiamento di stato: e per il meglio. Facile dirlo! Però questa è la sfida, che mi sento di raccogliere affidandomi (ancora) a Qualcuno che è riuscito a trasformare la sua morte da passione a eterna esplosione di Vita.
P.S.: ho dimenticato di salutare e, soprattutto, di ringraziavi tutti di cuore per l’ottimo livello della nostra ‘conversazione’. Di nuovo grazie!
La paura del vuoto potrebbe essere la paura di cadere quando si è sull orlo di un baratro; il baratro è, qui, l infinito, l immenso, l eterno e la paura non è altro che la vertigine di essere risucchiati annichilendo l individuazione del proprio sé separato; è la paura del padre, come quando un ragazzo comincia a tagliare il cordone ombelicale, teme di farlo ma lo desidera, ne ha bisogno per crescere come individuo separato ed autonomo e così camminare sulle sue gambe, ma dopo che vi è riuscito rinnega le sue origini e ripudia la presenza dei genitori, nel terrore di essere risucchiati dall atavico legame. La paura del vuoto dentro di sé ed il disagio esistenziale che consegue è simile, è la paura di sentirsi annientati come individuo, è il timore della voce del padre che ci ricorda da dove siamo venuti e ci rivela il nostro non essere separati. Viviamo in un’ epoca dove questa separazione viene esasperata dall individualismo egocentrico, dalla corsa verso gli illusori stimoli psichedelici generati dalle azioni frenetiche e dai consumi superflui che servono a distrarci da questo sguardo vertiginoso, dalle esacerbate funzioni della mente pur di ignorare lo spirito. Ma tutto questo non è bastato ad essere felici e sperimentare la pienezza di senso, e il momento attuale è ora maturo per capire che, superata la vertigine e la sua paura, c è il senso, la pienezza, l unificazione senza perdita di sé, la gioia che riempie ed illumina le tenebre, il coraggio della vera felicità.
Grazie a tutti voi per la vostra lettura profonda e per i vostri commenti, così ricchi di risonanze, alcuni dei quali mi hanno commosso.
Non è affatto facile fare i conti con il vuoto che si spalanca a volte dentro e fuori di noi. A volte vacilliamo, ma in qualche modo la vita ci chiama ad approfondire quell’esperienza, senza negarla né rimuoverla, per ritrovare una pienezza inaspettata, sempre precaria ma reale.
Filippo
Non per ‘banalizzare’ ma la vertigine (dovuta alla paura del vuoto) non potrebbere essere anche “voglia di volare” … ( come dice Jovanotti in una sua canzone)?
e quindi attrazione verso una dimensione ‘altra’ da quella vissuta nella nostra ‘gabbia’ ordinaria?
Ho voluto solo proporre un pensiero emerso nel lavoro di uno dei gruppi DP.
Ciao a tutti, mcarla
Grazie Filippo, queste tue parole hanno avuto una forte risonanza in me e mi conducono e accompagnano lungo questa discesa. Non c’è altra via se non quella degli “inferi” che siamo chiamati ad attraversare. Solo lì, in quel profondo, si manifesta la nostra verità. Lì avviene la nostra dissoluzione e assoluzione. Dissoluzione e al contempo assoluzione,
come afferma Marco G. quando invita a discernere l’ambiguità di questa discesa. Un abbraccio paolo
Grazie in un giorno di vuoto cosmico, dal vuoto risale la speranza… una parola che avevo dimenticato
Grazie a voi Paolo ed Esmer, è vero, si resta sempre principianti, continuamente ci dimentichiamo, e poi ritroviamo.
Ciao, Filippo