In tutta questa frenesia di addobbi e regali, di riti e sacre e profane rappresentazioni, dov’è il festeggiato? il Nascente? E cosa ci si augura in questo scambio convulso di auguri? Nel natale pagano di mercatini, sconti, promozioni e offerte, di compulsivi consumi, gli auguri di Natale andrebbero dosati, fatti con cautela, perché spengono di colpo il clima di tanta spensierata allegria che cela in sé tanto dolore. Buon Natale è l’augurio a realizzare il salto mortale: morire ad uno stato nella fiducia di una nascita ad una pienezza di Vita, fonte di autentica gioia.
“Cerco un’anima, in cui rivivere”, fa dire Pirandello a Gesù in questo racconto Sogno di Natale. “Tu vedi ch’io son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita”.
“Sentivo da un pezzo sul capo inchinato tra le braccia come l’impressione d’una mano lieve, in atto tra di carezza e di protezione. Ma l’anima mia era lontana, errante pei luoghi veduti fin dalla fanciullezza, dei quali mi spirava ancor dentro il sentimento, non tanto però che bastasse al bisogno che provavo di rivivere, fors’anche per un minuto, la vita come immaginavo si dovesse in quel punto svolgere in essi.
Era festa dovunque: in ogni chiesa, in ogni casa: intorno al ceppo, lassù; innanzi a un Presepe, laggiù; noti volti tra ignoti riuniti in lieta cena; eran canti sacri, suoni di zampogne, gridi di fanciulli esultanti, contese di giocatori… E le vie delle città grandi e piccole, dei villaggi, dei borghi alpestri o marini, eran deserte nella rigida notte. E mi pareva di andar frettoloso per quelle vie, da questa casa a quella, per godere della raccolta festa degli altri; mi trattenevo un poco in ognuna, poi auguravo:- Buon Natale – e sparivo…
Ero già entrato così, inavvertitamente, nel sonno e sognavo. E nel sogno, per quelle vie deserte, mi parve a un tratto d’incontrar Gesù errante in quella stessa notte, in cui il mondo per uso festeggia ancora il suo natale. Egli andava quasi furtivo, pallido, raccolto in sé, con una mano chiusa sul mento e gli occhi profondi e chiari intenti nel vuoto: pareva pieno d’un cordoglio intenso, in preda a una tristezza infinita.
Mi misi per la stessa via; ma a poco a poco l’immagine di lui m’attrasse così, da assorbirmi in sé; e allora mi parve di far con lui una persona sola. A un certo punto però ebbi sgomento della leggerezza con cui erravo per quelle vie, quasi sorvolando, e istintivamente m’arrestai. Subito allora Gesù si sdoppiò da me, e proseguì da solo anche più leggero di prima, quasi una piuma spinta da un soffio; ed io, rimasto per terra come una macchia nera, divenni la sua ombra e lo seguii.
Sparirono a un tratto le vie della città: Gesù, come un fantasma bianco splendente d’una luce interiore, sorvolava su un’alta siepe di rovi, che s’allungava dritta infinitamente, in mezzo a una nera, sterminata pianura. E dietro, su la siepe, egli si portava agevolmente me disteso per lungo quant’egli era alto, via via tra le spine che mi trapungevano tutto, pur senza darmi uno strappo.
Dall’irta siepe saltai alla fine per poco su la morbida sabbia d’una stretta spiaggia: innanzi era il mare; e, su le nere acque palpitanti, una via luminosa, che correva restringendosi fino a un punto nell’immenso arco dell’orizzonte. Si mise Gesù per quella via tracciata dal riflesso lunare, e io dietro a lui, come un barchetto nero tra i guizzi di luce su le acque gelide.
A un tratto, la luce interiore di Gesù si spense: traversavamo di nuovo le vie deserte d’una grande città. Egli adesso a quando a quando sostava a origliare alle porte delle case più umili, ove il Natale, non per sincera divozione, ma per manco di denari non dava pretesto a gozzoviglie.
– Non dormono… – mormorava Gesù, e sorprendendo alcune rauche parole d’odio e d’invidia pronunziate nell’interno, si stringeva in sé come per acuto spasimo, e mentre l’impronta delle unghie restavagli sul dorso delle pure mani intrecciate, gemeva: – Anche per costoro io son morto…
Andammo così, fermandoci di tanto in tanto, per un lungo tratto, finché Gesù innanzi a una chiesa, rivolto a me, ch’ero la sua ombra per terra, non mi disse:- Alzati, e accoglimi in te. Voglio entrare in questa chiesa e vedere.
Era una chiesa magnifica, un’immensa basilica a tre navate, ricca di splendidi marmi e d’oro alla volta, piena d’una turba di fedeli intenti alla funzione, che si rappresentava su l’altar maggiore pomposamente parato, con gli officianti tra una nuvola d’incenso. Al caldo lume dei cento candelieri d’argento splendevano a ogni gesto le brusche d’oro delle pianete tra la spuma dei preziosi merletti del mensale. – E per costoro – disse Gesù entro di me – sarei contento, se per la prima volta io nascessi veramente questa notte.
Uscimmo dalla chiesa, e Gesù, ritornato innanzi a me come prima posandomi una mano sul petto riprese: – Cerco un’anima, in cui rivivere. Tu vedi ch’ìo son morto per questo mondo, che pure ha il coraggio di festeggiare ancora la notte della mia nascita. Non sarebbe forse troppo angusta per me l’anima tua, se non fosse ingombra di tante cose, che dovresti buttar via. Otterresti da me cento volte quel che perderai, seguendomi e abbandonando quel che falsamente stimi necessario a te e ai tuoi: questa città, i tuoi sogni, i comodi con cui invano cerchi allettare il tuo stolto soffrire per il mondo… Cerco un’anima, in cui rivivere: potrebbe esser la tua come quella d’ogn’altro di buona volontà.
– La città, Gesù? – io risposi sgomento. – E la casa e i miei cari e i miei sogni? – Otterresti da me cento volte quel che perderai – ripeté Egli levando la mano dal mio petto e guardandomi fisso con quegli occhi profondi e chiari. – Ah! io non posso, Gesù… – feci, dopo un momento di perplessità, vergognoso e avvilito, lasciandomi cader le braccia sulla persona.
Come se la mano, di cui sentivo in principio del sogno l’impressione sul mio capo inchinato, m’avesse dato una forte spinta contro il duro legno del tavolino, mi destai in quella di balzo, stropicciandomi la fronte indolenzita. E’ qui, è qui, Gesù, il mio tormento! Qui, senza requie e senza posa, debbo da mane a sera rompermi la testa.” (Luigi Pirandello- Sogno di Natale)
Questo intenso racconto di Pirandello rappresenta in pieno il dramma del Natale: la kenosi di Dio e l’indifferenza dell’uomo, l’offerta di una ricchezza smisurata, la vita divina, e l’attaccamento alle piccole false ricchezze/sicurezze dell’Ego; l’enorme potere che ha l’uomo di ridurre all’impotenza l’Onnipotenza di Dio!
Ma dopo il Si di Maria, che ha permesso a Dio di nascere uomo, Uomo-Dio, nulla è più come prima, nulla può essere più come prima. L’irruzione dell’Assoluto nella storia ha avviato un dinamismo trasformativo che sta scardinando dall’interno il sistema di morte dell’Ego.
Il tempo (dell’Ego) è compiuto, il regno di Dio è già in mezzo a voi, convertitevi (rientrate in voi stessi), e credete alla buona notizia, dice Gesù. E la buona notizia è che nostro fine non è il Nulla, la morte, ma una pienezza di Vita, donata se crediamo alla Vita. “Non vi chiamo più servi -dice Gesù- ma amici”. Anzi, di più, ci chiama ad essere figli, figli del Creatore, partecipi della sua stessa natura, co-creatori e co-redentori se crediamo nel Figlio e accettiamo di accoglierlo in noi.
Celebrare il Natale ci ricorda questo: Dio vuole essere aiutato a nascere in noi per renderci partecipi della sua vita divina. Ma per nascere ha bisogno di un’anima vuota, semplice e umile come Maria. “Se la tua anima è pura come Maria, deve rimanere all’istante incinta di Dio” dice Silesius, poeta e mistico tedesco. Questo richiede un lavoro di sgombero, di rinuncia agli attaccamenti dell’Ego per far posto al Nascente, alla Vita.
Fare gli auguri di Natale significa questo e forse, se si fosse più consapevoli, non si farebbero con tanta leggerezza, perché si augura all’altro di lanciarsi nel vuoto, di scendere agli inferi, fin nel baratro della morte (la paura della morte è ciò che ci tiene in catene) nella fiducia che il fondo del baratro non è il Nulla, l’annientamento, ma una porta girevole che trasloca in un’altra condizione di vita: la vita divina. Si augura cioè la gioia della nascita dopo aver attraversato la morte, la gioia di divenire Maria per generare Gesù, l’Io-Cristo.
“Ogni volta che il Figlio divino nasce in me, il mio corpo diventa il suo corpo, e l’ordine della separazione e dell’odio è letteralmente fatto fuori in quella specifica regione terrestre che è affidata alla mia specifica responsabilità trasfigurativa” (Marco Guzzi in Darsi Pace).
A questo Natale, a questa nascita, è finalizzata tutta la storia umana. Con il Si di Maria tutta l’umanità è stata ingravidata ed è entrata in un dinamismo trasformativo che oggi sta vivendo una straordinaria accelerazione. I mali che ci affliggono (depressione dilagante, attacchi di panico, follia omicida), tutto, tutto ciò che accade nel mondo, può essere letto come segno che l’umanità è entrata nel grande travaglio: perché il tempo è compiuto, il parto è vicino. Lo scontro tra le forze del Nascente, l’Uomo-Dio che preme per nascere, e quelle del Morente, l’Ego che resiste a morire, si fa sempre più forte, e l’inconsapevolezza di questo scontro, della natura dei dolori che l’umanità sta patendo, rende più acuti i dolori. L’Ego che resiste fa male, male, molto male.
A Natale scambiamoci auguri annunciando la buona notizia: Rallegrati! Sei piena di grazia! Il Signore è con te, vuole nascere in te! Non temere, i dolori che senti sono travaglio di parto perché è in corso una nascita. Non opporti, non bloccare il processo, la tua nascita in corso. Abbandonati alla Vita che vuole nascere in te, e spingi, spingi più forte. Opporti alla nascita aumenta il dolore, uccide il nascente e ti porta alla morte.
L’emergenza oggi è creare sale travaglio dove partorire assistiti, aiutando il Nascente a nascere e il Morente a morire; luoghi di accoglienza e condivisione della fatica e della gioia della trasformazione; anche luoghi di vigilanza e custodia per impedire agli Erodi di turno di uccidere il Nascente al suo nascere.
I gruppi Darsi Pace nascono come risposta a questa emergenza del tempo. Nei Gruppi si condivide la fatica del travaglio e la gioia della nascita, le quotidiane conquiste di libertà dai condizionamenti e dagli automatismi dell’Ego.
Mi vado sempre più convincendo
che tutto ciò che è essenziale
accade negli spazi più piccoli, e che la trasformazione
è un movimento minuzioso, un cesello
dentro la carne del cuore.
Dobbiamo concentrarci perciò
sulle cose più piccole:
sul respiro, sulla singola parola
che diciamo all’amico
o all’amante, sulla postura
del ginocchio, o del collo, su questa virgola,
sul piccolo gruppo, sul piccolissimo seme:
lì infatti si sta rigirando il mondo,
se lo ascolti,
si sta rivoltando, sta compiendo
il suo giro, e dalla notte
sorge un nuovo respiro di alba.
L’elemento gigantesco proprio di questa civiltà
è sempre più vuoto di senso, e di vita:
le ritualità di massa, i grandi raduni, i grandi numeri,
i Grandi della terra, G7, G20 o G0,
mettono in scena soltanto un tempo finito.
Il Nascente invece è piccolo, anzi è piccolissimo:
dove vogliamo trovarlo?
cerchiamolo dove nessuno vede più niente
e lui ci sorprenderà, sorridendoci.
(Marco Guzzi)
Grazie di cuore!
“Cerco un’ anima, in cui rivivere”
Il mio augurio è che sia quella di ognuno di noi!
Buon Natale a tutti, anche nei giorni dell’ anno che verrà.
mcarla
Dio non è un anziano sapiente severo e lontano, Dio è come un bambino che gioca tra i nostri piedi.
Spesso ci chiama, ci tira per la giacca, ma noi siamo troppo presi dal lavoro, dalle altre persone,
dalle preoccupazioni e non ci accorgiamo di Lui, non Lo sentiamo neppure.
Ma a volte, quando stanchi e snervati ci abbandoniamo su di una sedia, Lo vediamo, mentre gioca sul pavimento e ne siamo sorpresi.
Lui sorride radioso e ci tende le mani, noi Lo prendiamo in braccio, stupiti, dimenticandoci di tutto.
“…cerchiamolo dove nessuno vede piu’ niente,
e lui ci sorprendera’, sorridendoci.”
Faccio mio l’invito.
That`s why we should be more awared of it. So, you are very good writer. I wish you the best of everything!
Cara Giovanna, quante volte ho pensato in un lampo ciò che in maniera così argomentata tu scrivi! Auguri, auguri, auguri, ma auguri di che? Che il regalo che ricevi sia quello che desideravi? Nel migliore dei casi auguri di stare bene, ma perché proprio ora, a Natale? In un giorno iniziatico che ha significati e contenuti così vasti e profondi come sottrarsi al balletto delle parole che non significano alcunché? Eppure ci si sente sovrastati e non è facile farlo.
Lo dice bene il racconto di Pirandello.
Grazie di avere messo a fuoco questo punto, ognuno dovrebbe differenziare una propria strategia e agirla, per non consentire a vincoli non espliciti di avere la meglio, con la loro aurea insignificanza, sulla relazione autentica, quella scelta.
Un abbraccio, Grazia.
Grazie,incantato.
Grazie amiche ed amici cari delle vostre risonanze.
Anche con gli auguri di Buon Anno che ci scambieremo in questi giorni auguriamo la novità di vita che scaturisce da una nascita, da una fede che ci ri-genera figli dell’Altissimo.
Auguriamo di tenere sempre accesa la fiammella della speranza quando le difficoltà della vita affievoliscono e spengono la fede.
Auguri a tutti di un Nuovo Anno ricco di quella pace che scaturisce da un cuore integro, ogni giorno lavorato, liberato dalle catene che bloccano l’espressione della creatività, che impediscono alla luce divina di splendere in noi e illuminare le tenebre del mondo. Giovanna
Grazie Giovanna, i tuoi auguri per il Nuovo Anno sono bellissimi e li accolgo ricambiandoli con affetto e stima.
Un grande abbraccio.
Loredana
Alcuni passaggi di questo articolo mi hanno colpito particolarmente. Grazie.