In quell’immaginifico atlante dell’Altrove che sono Le città invisibili di Italo Calvino, sul filo del racconto che Marco Polo offre a Kublai Khan, il lettore si imbatte in due città che sembrano a prima vista somigliarsi: Perinzia e Andria.
Entrambe hanno deciso di edificarsi in strettissima relazione con il “Cielo” e i suoi fenomeni, entrambe sembrano riflettere un medesimo “ordine”, un progetto che le fonda e le tiene in vita. E tuttavia: una lentamente muore, una cresce e si rinnova. Leggiamo i due incipit, che ne descrivono i caratteri fondamentali:
“Chiamati a dettare le norme per la fondazione di Perinzia gli astronomi stabilirono il luogo e il giorno secondo la posizione delle stelle, tracciarono le linee incrociate del decumano e del cardo orientate l’una come il corso del sole e l’altra come l’asse attorno a cui ruotano i cieli, divisero la mappa secondo le dodici case dello zodiaco in modo che ogni tempio e ogni quartiere ricevesse il giusto influsso dalle costellazioni opportune, fissarono il punto delle mura in cui aprire le porte, prevedendo che ognuna inquadrasse un’eclisse di luna nei prossimi mille anni. Perinzia – assicurarono – avrebbe rispecchiato l’armonia del firmamento; la ragione della natura e la grazia degli dei avrebbero dato la fortuna ai destini degli abitanti”.
(…)
“Con tale arte fu costruita Andria, che ogni sua via corre seguendo l’orbita d’un pianeta e gli edifici e i luoghi della vita in comune ripetono l’ordine delle costellazioni e la posizione degli astri più luminosi: Antares, Alpheratz, Capella, le Cefeidi. Il calendario della città è regolato in modo che lavori e uffici e cerimonie si dispongono in una mappa che corrisponde al firmamento in quella data: così i giorni in terra e le notti in cielo si rispecchiano”.
Sia Perinzia che Andria – così appare chiaramente da quanto letto – cercano di riflettere l’ordine degli astri e di organizzare la loro fisiologia urbana secondo punti di riferimento esterni con cui stabilire un rispecchiamento che ne fondi l’identità e ne assicuri allo stesso tempo l’armonia.
Ma a differenza di Andria, Perinzia è popolata – e sempre più sembra essere destinata a popolarsi – di mostri:
“Nelle vie e piazze di Perinzia oggi incontri storpi, nani, gobbi, obesi, donne con la barba. Ma il peggio non si vede; urla gutturali si levano dalle cantine e dai granai, dove le famiglie nascondono i figli con tre teste o sei gambe.
Gli astronomi di Perinzia si trovano di fronte a una difficile scelta: o ammettere che tutti i loro calcoli sono sbagliati e le loro cifre non riescono a descrivere il cielo, o rivelare che l’ordine degli dei è proprio quello che si rispecchia nella città dei mostri”.
Un triste destino di aberrazione segna la città, come il frutto di una colpa, di un errore progettuale o, peggio, come l’imprevedibile e inquietante risultato di una perfetta somiglianza. Calvino lascia infatti intendere che l’aberrazione di Perinzia potrebbe non essere altro che il frutto della sua pedissequa fedeltà al Cielo, alla sua mostruosità distante. Questa ipotesi si pareggia in fin dei conti con quella dell’errore di calcolo, che affligge i suoi astronomi: al netto del silenzio indecifrabile delle divinità, Perinzia deve comunque constatare, nel suo rapporto con questo piano ulteriore, la sovrapposizione tra il miracolo e il mostro, il sacro e l’orrendo, l’immutabile ordine celeste e la segregazione sulla Terra.
È forse una latente consanguineità tra il divino e l’umano a rendere infausta una relazione così stretta? O è il modello di relazione instaurato ad essere alienante?
Perché Andria invece prospera? Cosa le permette, pur relazionandosi al Cielo, di scongiurare le terribili mutazioni che si moltiplicano a Perinzia?
Marco Polo pensa di avere la risposta ma si trova ad essere contraddetto quando, complimentandosi con i suoi cittadini, ne elogia la presunta immobilità considerandola il segreto del suo aspetto e del suo funzionamento armoniosi. Sbaglia infatti il veneziano a considerare Andria come un semplice specchio terrestre passivamente fedele ad ordini celesti, come una mera ricalcatrice di partiture immutabili:
“Ai cittadini d’Andria, lodandone le produzioni industriose e l’agio dello spirito, m’indussi a dichiarare: – Bene comprendo come voi, sentendovi parte d’un cielo immutabile, ingranaggi d’una meticolosa orologeria, vi guardiate dall’apportare alla vostra città e ai vostri costumi il più lieve cambiamento. Andria è la sola città che io conosca cui convenga restare immobile nel tempo.
Si guardarono interdetti. – Ma perché mai? E chi l’ha detto? – E mi condussero a visitare una via pensile aperta di recente sopra un bosco di bambù, un teatro delle ombre in costruzione al posto del canile municipale, ora traslocato nei padiglioni dell’antico lazzaretto, abolito per la guarigione degli ultimi appestati, e – appena inaugurati – un porto fluviale, una statua di Talete, una toboga.
– E queste innovazioni non turbano il ritmo astrale della vostra città? – domandai”.
Andria infatti non è immobile, ed è ancor meno il riflesso di un Cielo statico e prevedibile. Essa, al contrario, sembra aver rinunciato all’ossessione dello scrupolo mimetico nei confronti di un ordine divino temuto, distante e irrelato, semplicemente da trascrivere.
L’affermazione di Marco Polo rivela d’altronde la matrice ossessiva del dubbio ricorrente – il dubbio del giusto ordine, del rituale scrupoloso e appunto “religioso” – che opera in Perinzia e che ha forse da sempre caratterizzato tutte le forme delle religioni storiche fondate sulla separazione tra l’umanità e il Sacro. Non così funziona Andria, la città degli uomini, che si interfaccia al Cielo, sì, ma non è schiava della sua immagine statica, o presunta tale.
Andria è infatti riuscita ad instaurare una relazione attiva con questo piano ulteriore, non pretende di poterlo rispecchiare, ma sperimenta questo nesso – riconosciuto e operante – con un lavoro su se stessa, in un continuo cantiere sia materiale che ermeneutico. Forse i suoi astronomi hanno intuito che è proprio nell’illusione “iperrealista” di Perinzia che si cela l’errore: pur con le migliori intenzioni di fedeltà l’oggetto imitato sconta sempre un’interpretazione da parte di chi lo imita, e l’ingenuità nella sua ignoranza porta inevitabilmente con sé il rischio dell’accanimento nella deformità, dello zelo fanatico nella bruttura, paradossalmente esasperata proprio nel tentativo del suo scongiuramento.
L’epoca della pretesa rappresentativa ha concluso la sua stagione generando mostri, come il sonno di una ragione infiacchita, di una metafisica degenerante, di una miopia esacerbata dalla distanza. Solo la sperimentazione, in accordo dialogante col Cielo, ha permesso ad Andria la sopravvivenza, l’evoluzione, la prosperità. Non solo, ma quello che viene costruito in questa città modifica a sua volta il Cielo stesso, che ne elabora secondo il proprio codice i mutamenti, li restituisce come fenomeni astrali.
Perinzia è diventata la città dei mostri, proprio lei che ha fatto e fa di tutto per somigliare agli dei: il suo corpo imbalsamato è quello di una mummia, cioè di un cadavere in corruzione; Andria è invece una città viva, ha scoperto un nesso, una reciproca relazione tra il proprio linguaggio urbano e quello del firmamento, e dialoga con un Cielo non più solo temuto ma rispettato, e che finalmente le corrisponde:
“ – Così perfetta è la corrispondenza tra la nostra città e il cielo, – risposero, – che ogni cambiamento d’Andria comporta qualche novità tra le stelle –. Gli astronomi scrutano coi telescopi dopo ogni mutamento che ha luogo in Andria, e segnalano l’esplosione d’una nova, o il passare dall’arancione al giallo d’un remoto punto del firmamento, l’espandersi di una nebula, il curvarsi d’una spira della via lattea. Ogni cambiamento implica una catena d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.
Del carattere degli abitanti d’Andria meritano di essere ricordate due virtù: la sicurezza in se stessi e la prudenza. Convinti che ogni innovazione nella città influisca sul disegno del cielo, prima d’ogni decisione calcolano i rischi e i vantaggi per loro e per l’insieme della città e dei mondi”.
Coraggio, prudenza, responsabilità: qualità che potrebbero ben contribuire a descrivere il cuore di un’umanità finalmente all’opera per riconciliarsi con se stessa e con il cielo.
Fine modulo
Inizio modulo
Fine modulo
Affascinante, grazie Giuseppe.
“… Ogni cambiamento implica una catena d’altri cambiamenti, in Andria come tra le stelle: la città e il cielo non restano mai uguali.”
Questa mattina ho fresco il ricordo di un sogno intensissimo … un bellissimo viaggio, con molte probabilità ispirato da questa affascinante lettura che già ieri mi ha suscitato molteplici e forti impressioni.
In viaggio … lasciando alle spalle i paesi in cui vivo, angoli di città asfittici, cupi, dall’atmosfera paralizzante … “… il suo corpo imbalsamato è quello di una mummia … “ … e attraverso l’acqua poi approdando, insieme a familiari e a tantissime persone, in una città; un luogo vitale coloratissimo, frizzante, tutto in sorprendente movimento … un luogo parallelo dai mille sapori, meraviglioso, indimenticabile … ” … la sperimentazione, in accordo dialogante col Cielo, ha permesso ad Andria la sopravvivenza, l’evoluzione, la prosperità.” …
Ciao, un abbraccio, Barbara
Grazie Giuseppe!
Le città invisibili è uno dei libri di Calvino che più amo insieme alle Lezioni Americane. E grazie per questa lettura che ci hai proposto. Anch’io la trovo affascinante, ci penso da ieri e purtroppo non ho con me il libro, non vedo l’ora di rileggerlo.
Questi frammenti mi fanno riflettere a come le pretese di rappresentare qualcosa, la realtà, il cielo, la natura, gli altri come se tutto ciò fosse statico e slegato da noi può solo creare mostri, anche se si parte con delle buone intenzioni. Basta guardare come abbiamo ridotto il pianeta.
Ogni nostro agire modifica il mondo e noi stessi che siamo mondo, cielo e natura. Coraggio e prudenza, dici bene.
Grazie a te e a Calvino!
Buoba serata
Adriana
Davvero intrigante ed affascinante questa tua lettura, caro Giuseppe.
Andria e Perinzia, le due città invisibili che ci portiamo dentro e con cui ci possiamo interfacciare per scegliere in quale direzione andare e superare il rischio di reali dipendenze e mostruose mutazioni.
Scegliere il continuo lavoro operante del cantiere interiore è scoprire che il dialogo con il cielo inizia a corrispondere.
La più grande città invisibile, entrata ormai nelle case di tutto il mondo a cui mi viene da pensare è FACEBOOK.
La sua sfida inquietante, accolta e portata avanti nei gruppi D.P, testimoniata dall’ultimo libro di M.Guzzi: Facebook il profilo dell’uomo di Dio, ci dà come agli abitanti di Andria l’opportunità per ri-educarci e ri-orientarci sempre verso l’unica meta:
gioiosamente rinascere, edificare, pregustare cieli nuovi e terre nuove dove il dialogo con il cielo e con gli uomini diventa “semplicemente vivere” e si fa canto stellare.
Grazie ancora , caro Giuseppe e buon lavoro a tutti nei nostri cantieri invisibili, sempre aperti.
Un abbraccio Giuseppina