Appena svegli la mattina nel letto, apriamo gli occhi. La luce quasi ferisce i nostri bulbi oculari nel penetrare dalla finestra. Ci guardiamo attorno sentendo familiarità con gli oggetti che ci vedono per come realmente siamo e non ci giudicano.
Poi, una doccia veloce, un po’ di profumo e poi davanti allo specchio, l’espressione vuota, tetra e sconfortante della nostra anima si piazza un bel sorriso ed esce di casa.
Maschere, solo maschere una dietro l’altra. Una fila di maschere in attesa alla posta, o a cena al ristorante…Ma quando la stanchezza comincia a salire, eccole che scivolano lentamente verso il basso.
Non abbiamo limiti, non esistono più limiti, se non quelli tracciati dall’ego. E noi lo seguiamo lasciandoci condurre senza porre domanda, non abbiamo la forza di opporci.
L’altro non esiste, io non esisto e va bene così.
Faccio del male all’aria, alla natura, agli animali, al mondo, a me (o forse in diverso ordine, non so).
Ho paura del resto perché il resto non esiste in quanto tale.
Esiste in quanto maschera di un’altra maschera.
Tutto questo tutti i giorni. Scelgo tutti i giorni di naufragare e di discendere/ascendere ai piedi dell’inferno ma non vado oltre, che bello.
E se invece no. E se ogni giorno ci alzassimo e provassimo a confrontarci con il nostro malumore, con la realtà di un mondo che ci disgusta.
E se tutte le sante mattine decidessimo di calare la maschera e uscire, pronti a essere invasi, travolti dalle altre maschere ma con la fierezza e il coraggio di non avere paura di essere.
Potrebbe essere questa una svolta?
Niente più falsi sorrisi e occhi tristi, niente più dolcetti dall’aspetto delizioso e con dentro una percentuale sempre più alta di sostanze dannose a noi stessi e dunque al pianeta, niente più bella musica che non è musica che stordisce e disturba l’anima già tanto tormentata di per sé.
Niente più cicche di sigaretta per terra che verranno smaltite all’incirca entro tot anni, niente più spreco di cibo perché “instagrammabile”, niente più 900€ per un telefono ma magari 200 per girare il mondo e ampliare la mente, niente più schermi retroilluminati che abbassano le diottrie giorno per giorno.
Niente più fumo negli occhi, notizie false, scoop inutili, politiche sterili che annientano il paese e il pianeta, niente più distrazione, confusione, paura, follia, distorsione.
Se scegliessimo ogni giorno “noi” e non “la società delle maschere”, e dunque un pesante e coraggioso ricominciamento come un mantra a partire dalla rivolta/rivoluzione del singolo in un massa…cosa accadrebbe?
Daria Falconi
(Pablo Picasso – “Arlecchino pensoso”)
Cara Daria
la maschera peggiore, credo, sia quella del relativismo/nihilismo. ” Tanto a che serve, … è tutto relativo, prima o poi finirà,…”. Per quanto penosa, ben si presta alla faccia reale del dolore della ferita di chi si interroga e con la quale non è facile confrontarsi sempre e sostenerla. Paradossalmente, questa subdola sembianza, sembra dare forza e senso al vortice e alla solitudine quotidiani e perciò richiede continuo nuovo vigore per essere riconosciuta e “smascherata”!
E’ carnevale però!!! proviamo dunque a rovesciare il gioco e a togliere ogni maschera! Chissà che non ci diverta e duri tutta la vita!!! Un abbraccio Maria Rosaria
Cara Daria,
sento molto la sincerità scoperta di questo tuo intervento, e ti ringrazio. Almeno per un momento, per un istante, sei riuscita a togliere la tua maschera. E dovremmo fare altrettanto: dovremmo non in senso morale, ma come avventura!
Scriveva Marco Guzzi, su Facebook, verso la fine del mese scorso, queste parole:
Che gioia
riconoscersi imperfetti, anzi
per molti aspetti
proprio sbagliati, o, come si diceva,
peccatori, e quindi
non mettersi alcuna maschera,
andare per il mondo
come ergastolani graziati,
come lebbrosi
in via di guarigione…
Le sento in un legame forte con il tuo post. Mi alzo la mattina, e a volte non posso guardare all’interno. Non devo guardare, se voglio essere (tentativamente) efficiente. Eh sì. All’interno c’è l’abisso. Ma come, devi andare a lavorare, prendere la macchina, infilarti nel traffico, portare i figli a scuola, “scansare macchine e giornali” (direbbe Lucio Dalla) essere gentile e premuroso con la consorte, e intanto hai l’abisso dentro? E poi, soprattutto, un malumore ed uno scontento misterioso, che ti viene addosso, uno schiaffo interno, come da millenni di negazioni e di disumanizzazioni, da tutta la parte “malata” della storia dell’uomo che hai dentro.
E’ forte, e devi opporre tutta la tua Cura, con ogni cura. Perché ti può schiacciare.
E ti guardi e vedi anche (soprattutto) tutte quelle zone scure, quelle screziate imperfezioni, regolari deviazioni e compensazioni, e immagini “se mi sforzo abbastanza, magari da fuori non le vedranno…” e ti aggrappi a questo come alla salvezza, e così la croce diventa insopportabile, quando sarebbe sopportabilissima se appena ti lasciassi andare, ti lasciassi andare a girare per il mondo come “ergastolano graziato” (perché comunque sarebbe la verità delle cose, né più né meno).
E qui tu mi dici:
“E se ogni giorno ci alzassimo e provassimo a confrontarci con il nostro malumore, con la realtà di un mondo che ci disgusta. E se tutte le sante mattine decidessimo di calare la maschera e uscire, pronti a essere invasi, travolti dalle altre maschere ma con la fierezza e il coraggio di non avere paura di essere.”
Mi piace la tua proposta. Tanto attraente quanto difficile, oltre le pure umane forze, mi sembra. Ma per questo è bella! Perché non si riesce. Esattamente questo è interessante. Come dice il poeta (i poeti sono abituati da sempre ad una logica splendidamente avulsa dalla contabilità spicciola, e satura invece di cantabilità sottile),
Non ci si riesce ma il cuore /
me l’hanno messo al centro del petto /
per questo alto, meraviglioso fallimento.
(Davide Rondoni, https://ipoetisonovivi.com/2012/10/12/voler-bene-a-una-persona/)
Scoprire perché abbiamo “il cuore al centro del petto” vuol dire accogliere la mia propria miseria e il mio umore nero di tante mattine. E un gesto minimo di accoglienza, riverbera già un orizzonte più sereno, che si distende come a lato del tuo sguardo, impudico, totale, sempre a disposizione. Amante, amato.
Di un tempo, l’unico serio: infinito perdonante.
Grazie.
Grazie cara Maria Rosaria…è una meravigliosa esortazione e noi possiamo provare a fare del nostro meglio per tentare, un forte abbraccio!
Caro Marco la tua poesia di Rondoni è meravigliosa e la sento molto… è uno spunto molto interessante accostare l’abbassamento della moschea come un avere il coraggio di guardarsi dentro, è senz’altro anche questa la chiamata di coraggio cui siamo chiamati. Ci proveremo e senz’altro il seguire un percorso comune ci aiuterà….Grazie a te, un caro saluto.
Daria
Cara Daria,
senza maschera dico che non mi piace quello che hai scritto, che certamente esprime il tuo sentire autentico e che è sincero e coraggioso, come sempre.
Io ti conosco poco e non posso sapere la tua faccia quando ti svegli, e per normale esperienza di vita famigliare riesco ad immaginare come possa essere molte volte.
Ma non credo che un essere umano possa mettere un bel sorriso che sia solo maschera.
E poi il tuo volto, come quello di tanti esseri umani, mostra il visibile, ma da esso traspare anche l’invisibile ” vero bello buono” che è la luce interiore che illumina i momentanei sorrisi.
Fai male all’aria? ma l’aria è contenta di darti la vita.
Gli altri sono maschera? sì, anche io, ma ti ricordo una bella notizia che hai già sentito: di meditazione in meditazione la mia maschera ogni giorno si fa più plastica e trasparente.
E’ buona, e mi sembra che in parte sarebbe anche divertente, la tua proposta ” giù le maschere tutti !”: tu giovane insorgente, proponi a Guzzi un fine settimana così: comincerebbe a far bene proprio a noi praticanti Darsipace.
Intanto abbi fiducia e dà credito agli amici che oltre al vuoto, tetro e sconfortante che tu confessi del tuo sorriso, vedono il bello e il buono che splende.
Smascheriamoci! GianCarlo
Parlo di smascherare e sono uscito “anonimo”, che scherzo! scusate, ciao.
Caro Giancarlo grazie per quel che hai scritto che mi ha colpito. Il problema cui mi riferivo non è tanto nel sorriso “vero” o in sé, che dovremmo poter coltivare come preziosa espressione del nostro io che evade dal dolore e che anzi, è fondamentale.
Il mio è più che altro una necessità di tornare proprio al vero sorriso, non alla maschera sorridente. La mia è la difficoltà di portare nel quotidiano la condizione di smarrimento o ancora, di imbattermi in finti e tetri sorrisi che mascherano disagio, tristezza, difficoltà o una immensa e vasta gamma di oscurità che rischia di implodere/esplodere solo quando portata al limite.
Vorrei non dovessimo mascherarci solo per poter star al mondo poiché alle volte, finiamo per identificarci con la maschera e troppo spesso dietro al “sorriso” fittizio si nascono indicibili realtà.
Ti ringrazio per avermi permesso di scendere nella profondità di questo breve articolo. E ti ringrazio per vedere oltre, dovremmo avere tutti occhi così. Un saluto, Daria.
“Homo sum, humani nihil a me alienum puto” di Terenzio