Che relazione sussiste fra il nulla che sto attraversando personalmente, aldilà delle chiacchiere che racconto a me stesso e che ci raccontiamo l’un l’altro, e il nulla abissale in cui è inscritta la storia del mondo?
Che la storia dell’umanità stia attraversando il nulla dello sfaldamento delle proprie fondamenta è la rivelazione apocalittica che da almeno due secoli stiamo vivendo. Oggi diviene palese che l’umanità potrebbe autodistruggersi, proprio per l’insostenibilità del suo modello di esistenza sul pianeta.
Ma non è così forse anche per me? Ovviamente esistono problemi contingenti e dolori che la vita porta inevitabilmente con sé. Ma non c’è qualcosa di più profondo, come una situazione terminale, un limite storico-personale nel quale stiamo soffocando e in cui ogni risposta è vanificata e i progetti, le speranze e la volontà sembrano sfumare di fronte alla potenza prorompente del nulla?
Che cos’è questo nulla? Perché ci rende così impotenti, confondendo la mente e il cuore, straziando di dolore e sbriciolando ogni parola nel silenzio? Vuole forse comunicarmi/ci qualcosa? Che cosa mi/ci sta dicendo questo vuoto panico?
Quali risorse cela nel suo grembo il dolore più abissale?
Questa disintegrazione di ogni configurazione di me e della società, della politica, questa insostenibilità di ogni progetto e iniziativa, questa conflagrazione universale, non ci stanno forse dicendo di fermarci un momento per ascoltare e guardare finalmente l’invalidità dell’intera struttura del nostro essere?
Questo dolore non ci sta forse richiamando ad una verità integrale non più rimandabile da incarnare in noi stessi e con gli altri? Non siamo forse chiamati ad un salto quantico nel vuoto senza la certezza di cosa saremo nel e dopo quel salto? Non siamo chiamati ad arrischiare la nostra vita, ad attraversare questo nulla senza auto-compiangersi o cadere nelle maglie dell’intimismo terrorizzato del bambino ferito così come nell’isteria impotente della volontà di potenza o dell’estrinsecazione della forza?
È una via stretta quella del nulla nella quale possiamo essere solamente ciò che siamo nel rimbalzo cieco di una eco che si intona a seconda della vibrazione del nostro appello. Tutto ciò che avrà senso da qui in poi è solamente la risposta lucente della nostra trasformazione liberante, come una segnaletica stradale che ci guida a destinazione. L’arrivo però non è già prefissato, ma continuamente da scovare, da scavare negli abissi di luce che il Mistero del gioco del nuovo dispone e rivela nella misura in cui siamo disposti a corrispondervi.
Il mio nulla, questa condizione di morte totale, coincide con quello del mondo. L’esperienza dell’angoscia originaria, che rimossa comporta la replicazione infinita della morte su scala planetaria (’horror vacui come cronaca quotidiana), può invece condurci nell’esperire autentico della verità, come trasformazione di noi stessi, nella decisione risoluta con la quale ci schieriamo ora dalla parte del Nascente.
Questo nulla, questa morte, diviene perciò l’iniziazione storico-collettiva e personale che prelude all’emersione reale del sorgere dell’alba di un nuovo mattino. Solamente attraversando questo nulla infernale, perlustrandone gli anfratti e le cantine, facendomene carico e imparando ciò che esso ha da insegnarmi/ci, guarendo le distorsioni e i condizionamenti, smettendola di aggrapparmi alla vita e ad una immagine di me per difendermi da essa e dagli altri, posso finalmente iniziare ad essere me stesso.
Dove non vi è più fondamento(grund) alcuno si spalanca l’abisso(ab-grund). Quando però impariamo a dimorare nell’abisso senza fondo, ecco che scopriamo la natura intrinsecamente aperta e libera della vita come infinito Evento e Avvento. La nostra apertura ci trasforma nell’ascolto di questo Abisso di Luce che ci abita e continuamente ci parla, anche ora in questa parola umile che ricevo e trasmetto, rivelandomi chi sono.
Questa nuova modalità di essere, aperta all’Aperto è al contempo la via di salvezza dell’umanità, chiamata a convertirsi dalla sordità universale alla ricezione del fuoco divorante di questo altoforno della fucina del presente. La dinamo rivoluzionaria è spegnimento della separazione, ri-accordo con la fonte, e ascolto della sua parola liberatrice e trasformazione di me e del mondo.
Il nulla del dolore in realtà è il luogo teologico e politico della salvezza. Questo momento personale e storico può divenire l’opportunità di una libertà, di una gioia e di una integrità quali mai sono esistite sulla terra. Siamo chiamati solamente ad incarnarle.
Ed e’ amore alla terra ch’e’ buona, se pure vi rombano abissi di acque, di stelle, di luce..
S. Quasimodo
Grazie Francesco, grazie di cuore.
Il tuo scritto ha una perentorietà che va dritto al cuore. La parte iniziale va subito al punto, non ci sono orpelli, abbellimenti, giochini verbali. Mi piace. Non abbiamo tempo da perdere, infatti.
“Che relazione sussiste fra il nulla che sto attraversando personalmente, aldilà delle chiacchiere che racconto a me stesso e che ci raccontiamo l’un l’altro, e il nulla abissale in cui è inscritta la storia del mondo?”
Non ci sono orpelli. Appunto. Per dire. Non è Mozart, Chopin. E’ un incipit squisitamente bruckneriano – Bruckner 8 direi (in quattro note dice esattamente questa frase, in apertura di sinfonia) – prende di petto l’assoluto – la sfida totale, brutale – e non gira intorno a divertimenti formali. Eccola: https://www.youtube.com/watch?v=asJf3KmAg08
Oppure è l’intro di Abacab dei Genesis (ci sta anche questo).
La lotta contro il nulla è totale, e il nulla lambisce continuamente il confine della mia anima, della mia esistenza. La redenzione avviene in una lotta che è spasmodica, dove la lotta è appunto non cedere al nulla, non cedere quando sembra l’unica articolazione del reale.
Il capovolgimento verso il sorriso è quando saremo passati nel nulle a scopriremo che “Il nulla del dolore in realtà è il luogo teologico e politico della salvezza” (una frase che ti viene ispirata dallo Spirito, non possiamo riuscire a dirla noi).
Però bisogna passarci. Gesù è stato crocifisso. Non se ne è cavato fuori con una tesi teologica.
E ha aperto una via nel dolore. Verso quel sorriso,
che potremo abitare.
Grazie Marco,
anche dei consigli musicali.
Un abbraccio
Francesco
@ zedarioz ( #2048868 ) Il bello èquando la gente inizia a parlare di uomini contro donne appena c”è una donna che vince tanto. C”è una differenza abissale. Così come c”è una differenza abissale tra i tornei di prima fascia e i tornei come quello vinto da Sara e dalla Tsurenko questa settimana. Se hai visto le finali ti sarai reso conto della pochezza e del livello bassissimo espresso in campo. Ora, quando servi da sotto vuol dire solo 2 cose: o prendi in giro il tuo avversario, oppure hai un servizio talmente devastante che l”avversario, mettendosi tanto dietro, si espone ad una palla corta al servizio. Non ci sono altri casi. Se ci sono allora ci vorrebbe un mental coach di quelli bravi perché ti esponi ad un punto certo dell”avversario. Lo faceva qualche volta Chang, ma solo quando leggeva smarrimento nell”avversario, non certo perché non sapeva servire, anzi, Chang aveva un”ottima battuta. Quindi boh, per me è grave fare una cosa del genere.
Caro Francesco,
ti scrivo attirato irresistibilmente dal connubio di parola e nulla con il quale fai esplodere il bianco avorio (un altro possibile colore del vuoto, in definitiva) di questa ‘pagina’, di questo schermo…
Avendo confidenza con i frammenti di nulla che in qualche modo cadenzano da sempre la (mia) vita (come quella di tutti?), sono rimasto colpito dalla connotazione data al particolare «nulla» che dà l’avvio al tuo viaggio attorno a questo tema – che poi non è un tema, bensì un tratto della tua esperienza. Ed è così connotato da diventare, giusto per esagerare un po’, un quasi troppo pieno…
Ecco allora il nulla come «abisso», «autodistruzione», «dolore», «vuoto panico», «morte totale», che paiono configurarsi come un nero abisso solo nella volontà di vedervi dapprima una sorta di rispecchiamento e, quindi, dopo l’urlo di terrore, il drago contro cui combattere…
E come ogni nulla quantistico che si rispetti – che cioè è vuoto solo nella misura in cui non sappiamo aspettare il ‘momento’ giusto o, se non ci fosse il principio di Heisenberg a impedirlo, magari anche il ‘luogo’ opportuno – ecco che il presupposto, terrificante nulla (che sembrerebbe tale, dunque, solo a uno sguardo di natura psicologica, di tentazione metafisica) diventa un «Abisso di Luce che ci abita e continuamente ci parla» e che, guarda caso, (ti) fornisce di parola, quella parola di cui sembriamo essere più ricetrasmettitori che sorgente primaria…
Forse è proprio qui la chiave che fa avvenire la trasformazione, che trasfigura alla fine il paesaggio iniziale in un semplice «Aperto» che diventa non più lo sfondo nel quale ci perdiamo, ma al contrario lo scenario sconfinato dove tutto acquista senso in un eterno presente: dall’abisso del nulla al tutto della… parola.
Ma parola e vuoto (silenzio) non sono forse la stessa cosa? Forse siamo noi che li chiamiamo alternativamente in due modi diversi perché non possiamo fare altrimenti, perché sempre dobbiamo interrogarli e giudicarli…
Grazie delle tue parole e ricorda – lo so che lo ricordi! – che… “Was bleibet aber, stiften die Dichter”, come dice Hölderlin: “Ciò che dura fondano i poeti”. Così recitava una vecchia traduzione, forse datata, a cui però sono molto affezionato.
Ciao.
“Beati i miti, perché erediteranno la terra”
Mi sembra che questo nulla che circonda la vita di ogni singolo essere umano e di tutta l’umanità, possa essere rischiarato da queste parole di Gesù.
Ed è una sicura profezia, perché i violenti si distruggeranno l’un l’altro.
Siamo una specie violenta (in Darsi Pace se ne comprendono le cause) che sta correndo verso l’autodistruzione di una guerra globale o verso l’annullamento della propria umanità, trasformati in insetti che si nutrono di insetti.
Ma, “I miti erediteranno la terra” e dopo di noi verrà… anzi no, ho fede che stia già nascendo un’altra specie di umanità, meno competitiva, più relazionale, che avrà attraversato e guarito le distorsioni della propria mente e vivrà concretamente nel quotidiano l’aiuto reciproco e il calore quieto di un gruppo di amici.
Loro sorrideranno, lasceranno andare il nulla ed erediteranno la Terra.
Anzi, dicono i firmatari dell’istanza a nome del fiume Colorado, la legislazione ambientale legalizza l’insostenibilità e, accettando la nozione che la natura e gli ecosistemi sono proprietà di qualcuno, nel migliore dei casi si limita a regolare la velocità alla quale l’ambiente è depredato e distrutto. custom essay writing
Caro Francesco.
L’essere umano ha consapevolezza della vita, della Vita, dell’esplosione di calore e luce che è la vita.
E ne ha fatto esperienza, sia intrinseca che estrinseca, da bambino e da adulto.
E con lucida consapevolezza ne vede la precarietà, la bellezza fragile, la sua possibile sottrazione.
Ha esperienze quotidiane di morte, nella sua vita, in quella degli altri, in quella del nostro bel pianeta.
L’aggrapparsi alla vita è tanto naturale quanto pieno di spavento: è chi si offre come agnello alla possibile sua perdita (non in ottica sacrificale) che vede l’abisso e ne sta sul crinale, a metà tra il gioco e l’affidamento, nella libertà.
Se riesce ad affidarsi con fede piena ci si può anche abbandonare, e può sperimentare che non muore, ma plana.
Con quella fede piena di coraggio sperimenta anche la potenza della sua creatività, e la forza sconfinata che dallo Spirito/Sorgente può riempire il pensiero e il cuore: se la chiede e se si fa canale aperto a riceverla.
“Mors et vita duello conflixere mirando”: la vita e la morte si sono battute in un conflitto da ammirare, ieri come oggi.
E’ vero che l’umanità può autodistruggersi, ma intanto noi, in questo “angolo periferico” del cosmo ( ma dove è il centro? e chi lo dice? e se noi fossimo proprio al centro senza saperlo?) , siamo reale coscienza dello stesso, anche se qualcuno, dolorosamente, lo può percepire come freddo nulla.
Il nostro pensiero e le emozioni grandi che lo accompagnano e l’incomprimibile anelito alla vita che ci abita, a me
paiono sufficienti a dare il pieno e la luce e il calore all’intero cosmo.
Basta che non ci lasciamo confondere da un “puerile” parametro spaziale, per cui non basterebbe la piccola dimensione del nostro pianeta e dei nostri cervelli e cuori: cosa cambierebbe se il nostro cervello fosse grande come la terra o come il sistema solare o come la via Lattea?
Un abbraccio, GianCarlo