Perché un articolo sulle scoperte scientifiche dell’età moderna in un blog poetico?
Forse non siamo abituati a mettere in relazione tra loro campi del sapere apparentemente distanti, come quelli “scientifico” e “letterario”, e nemmeno a considerare l’enorme impatto che alcune acquisizioni astronomiche hanno avuto sulla nostra psiche. Noi però non siamo separati dal cosmo e dalla natura in cui viviamo. Le nostre cellule lo sanno, e ci richiamano ad una nuova consapevolezza.
Quella che segue vuole essere una chiave di lettura – iniziatica e cosmica – dello stato di incertezza e disorientamento che spesso avvertiamo nella nostra vita, a partire da un brano contenuto nel poema di John Donne intitolato An Anatomy of the World:
Fin dalla sua prima ora il mondo decadde, la sera
fu l’inizio del giorno, le primavere, le estati che
vediamo, sono come parti di donne cinquantenni.
Una nuova Filosofia pone tutto in dubbio,
l’elemento fuoco è del tutto estinto, il sole è
perduto, è perduta la terra, nessun ingegno umano
sa additare una direzione alla ricerca. Gli uomini
apertamente ammettono che questo mondo è
finito, se nei pianeti, se nel firmamento, ne
cercano di nuovi e di diversi; essi vedono che il
nostro di nuovo nei suoi atomi si è dissolto.
Tutto è in frantumi, ogni coesione è svanita, ogni
equità e ogni relazione; principe suddito, padre
figlio, di cose simili non si ha memoria. Ognuno
di sé pensa di essere diventato una Fenice, e che
non possa dunque esistere nessuno della sua
specie, ma solo lui.
Con queste parole il poeta inglese descrisse gli scenari che le nuove scoperte scientifiche della sua epoca avrebbero aperto. Siamo nel 1611. Un anno prima Galileo Galilei, con la pubblicazione del Sidereus Nuncius, aveva divulgato i risultati delle proprie osservazioni della volta celeste, fondamentali per l’affermarsi della teoria copernicana. Con il suo cannocchiale Galileo riconobbe l’irregolarità della superficie della Luna, costellata da montagne e crateri.
La cosmologia aristotelico-tolemaica entrò in crisi. I corpi celesti non erano più da considerarsi perfetti, eterni ed immutabili, come sosteneva Aristotele, ma soggetti al cambiamento e alla corruzione.
La teoria eliocentrica di Copernico, dopo un rifiuto iniziale, sarà destinata a scardinare quella tolemaica, geocentrica. Nei secoli successivi il nostro pianeta, che credevamo collocato al centro dell’Universo, e quindi della creazione, verrà progressivamente ad occupare una posizione sempre più marginale all’interno dell’universo – non solo del Sistema Solare o della Via Lattea – e inserito tra miliardi di altri universi.
Rileggiamo adesso le parole di John Donne: “Una nuova Filosofia pone tutto in dubbio, l’elemento fuoco è del tutto estinto, il sole è perduto, è perduta la terra, nessun ingegno umano sa additare una direzione alla ricerca”. E ancora: “Tutto è in frantumi, ogni coesione è svanita, ogni equità e ogni relazione; principe suddito, padre figlio, di cose simili non si ha memoria”.
Riusciamo a percepire anche dentro di noi, nel nostro essere, in questo istante, lo stesso disorientamento avvertito da John Donne circa quattro secoli fa? Non abbiamo forse come l’impressione che manchi il fondamento, il centro, e che un Abisso infinito inizi a spalancarsi dentro di noi, se ci poniamo in ascolto? I progetti di realizzazione del nostro ego, sono ancora solidi, luminosi, centrati, oppure il nostro corpo e il nostro cuore reclamano spazio e voce e ci chiamano verso altri luoghi ignoti e sconosciuti?
Se sentiamo questo, almeno in parte, significa che il nostro ego è entrato in una fase critica, e forse la nuova alba arriverà solo dopo aver attraversato una notte oscura.
La crisi dell’ego, secondo Sigmund Freud, era stata innescata proprio dalla rivoluzione copernicana, di cui abbiamo parlato fin qui, con la decentralizzazione della Terra nel cosmo, e da altre due ferite inferte alla megalomania dell’ego razionale: la teoria darwiniana, con la quale l’essere umano aveva perso la propria posizione privilegiata all’interno della creazione divina, relegato al rango di specie animale evoluta; e la psicoanalisi, di cui Freud stesso è considerato il fondatore, con la scoperta di una dimensione inconscia ben più influente del presunto dominio dell’ego. Per richiamare alla mente una metafora di Schopenhauer, l’ego, l’io cosciente, sarebbe come una barchetta in mezzo all’oceano, l’inconscio.
Nel momento in cui l’ego entra in crisi, inizia un processo di discesa, di catabasi. Discesa nell’ignoto e nel buio del cosmo in cui il nostro pianeta appare sempre più sperduto e marginale, e discesa nell’inconscio, nell’Ombra che non possiamo più evitare di guardare e avvertire dentro di noi.
Non è forse ovvio quindi oggi percepire disorientamento, inquietudine e un senso di vuoto spesso indefinibile? Non è proprio segno, il segno, di un’esistenza autentica questa angoscia, questo senso di mancanza, come sosteneva Heidegger?
Ciò di cui noi possiamo talvolta fare esperienza è proprio questo.
Oggi, come in nessuna altra epoca, le proposte del mondo non potranno che lasciarci insoddisfatti, delusi. Il nostro cuore avverte radicalmente, anche se noi non ne siamo sempre consapevoli, il vuoto del cosmo e di spazi infiniti. Potremo mai illuderci di colmarlo?
Davanti all’esperienza di questo vuoto che ci disorienta, la nostra reazione immediata potrebbe essere quella di distogliere l’attenzione, e di tornare nell’illusione di un ego che, continuando a collocarsi al centro dell’universo contro ogni evidenza, continuerà a guidare la nostra vita. Anche il corpo spende energie per contrastare il vuoto e l’angoscia che si affacciano alla coscienza: il respiro si blocca, i muscoli si contraggono. Come se non bastasse, la società iperattiva in cui siamo immersi, sbilanciata verso un attivismo spesso fine a sé stesso, ci offre distrazioni di vario genere per intrattenerci.
Assecondare questa reazione spontanea significa però concedere all’ego, terrorizzato dalla prospettiva di scomparire e di non poter più controllare il gioco, la possibilità di continuare ad attuare i suoi progetti ormai fallimentari. Ma non è più al centro dell’universo, e nel vuoto, senza orientamento, ci sentiamo perduti: quale sarà quindi il nuovo centro?
Se proviamo a lasciar andare questa tendenza a contrarci immediata-mente, e ci rilassiamo, potremo fare esperienza di qualcosa di nuovo. Cosa succede infatti se abbandoniamo la pretesa di controllo, se cioè scivoliamo anche noi, come la Terra, in questa culla cosmica così ampia, spaziosa, che tutto sommato non sembra così ostile? Siamo richiamati altrove. A questo punto le risposte razionali lasciano spazio all’esperienza individuale di ognuno di noi.
Forse ci siamo smarriti per ritrovarci, per tornare in noi stessi? La Via del Ritorno ci chiama a un nuovo centro? Come scriveva Giordano Bruno, se è vero che l’Universo infinito non ha centro allora questo significa che potrebbe averne di infiniti?
La radice indoeuropea KRD, che dà origine alla parola “centro”, è la stessa di “cuore”. Proprio in questa epoca di massimo disorientamento siamo chiamati e incoraggiati dall’universo stesso a trovare proprio lì un nuovo centro. E solo imparando ad ascoltare la fonte autentica del nostro essere possiamo ri-centrare la nostra vita.
Grazie Filippo,
il centro è ovunque, ovvero in questo Luogo
nel quale siamo chiamati a procreare
l’infinito nell’umile dimora
dell’umano.
Ciao
Francesco
Grazie Filippo, e si la sensazione è proprio quella di un qualcosa che spinge per nascere di nuovo.Ciao Roberto.
E’ esattamente nella nostra casa, nel nostro cuore che la sensazione di vuoto si amplifica e dimora sino a condurci alla sensazione di smarrimento. Ritrovarsi è la chiave come ricentrarsi o risintonizzarci con le corde del cuore come disse molto tempo fa Marco stesso…grazie.
Grazie a voi per la lettura e la personale interpretazione!
Ciao, Filippo
Grazie, Filippo,per il brano e le riflessioni che ci hai regalato! Condivido: l’ unica vera rivoluzione e trasformazione è quella che viene dal cuore! Qualcuno lo ripeteva già 2000 anni fa . Ora tocca a noi agire il cambiamento!