Niente. Quando muore uno scienziato di questo calibro, la notizia trascende velocemente l’ambito strettamente accademico, supera il confine degli addetti ai lavori. E coinvolge irresistibilmente un ambito ben più vasto, ben più ampio e variegato della solita cerchia.
Non fosse un evento tragico, si potrebbe indulgere in considerazioni su come la scienza sia in realtà sempre molto presente nell’immaginario collettivo. Sia come sotto traccia, in realtà. Pronta cioè a venire fuori, ad esondare, in particolari occasioni. L’ho notato più volte, negli ultimi anni: può essere un atterraggio di una sonda su un pianeta lontano, l’uscita della Voyager I dal Sistema Solare, il tuffo finale di Cassini dentro Saturno. Tante occasioni.
Tanti spunti per ricordarci che il nostro mondo è grande come l’universo. E il nostro mondo, ci interessa. Il suo irriducibile mistero, ci cattura.
E’ questo, secondo me: la sete di infinito, la voglia di conoscere almeno qualcosa di questa sconfinata immensità in cui siamo lanciati, a bordo di un pianetino ai margini di una galassia gigantesca, ebbene quella sete rimane viva, sempre. A volte appunto scorre sottotraccia, appena coperta dagli strati un pochino polverosi della vita quotidiana. Ma rimane viva. E’ lì, e riguarda tutti.
Capire che ci stiamo a fare nell’universo, ormai non può più prescindere dal capire l’universo. Almeno un po’. E lui ci ha provato, ci si è speso fino all’ultimo, nel capire. Con risultati scientificamente poderosi, che rimarranno a lungo (teoria dei buchi neri, cose molto specialistiche, ma anche molti libri di appassionata divulgazione).
Così l’altro giorno seguivo i messaggi su Twitter con l’hashtag StephenHawking e comprendevo con inequivocabile evidenza – se pur servissero altre evidenze – come questa figura di scienziato sia entrata profondamente nel cuore delle persone (molto al di là del grado molto specialistico delle sue ricerche). D’accordo: il fatto di essere un grande scienziato, ed insieme affetto da una penosa malattia invalidante, ha certo contribuito a creare il suo mito. Ma non è solo questo, probabilmente non è solo questo. Il fatto di non arrendersi mai è stato determinante, da come mi pare di capire.
I messaggi su Twitter si succedevano a gran velocità, e moltissimi davano – come è giusto – un condiviso tributo di ammirazione per il suo coraggio di andare avanti, di cercare, fino alla fine.
https://twitter.com/AlbertoBisello/status/973831048428707842
Alcuni rielaboravano questo tributo con intelligente simpatia, legandolo alle storie personali.
https://twitter.com/alcafar76/status/973828682312806402
Mettiamola così, in modo molto semplice. La gente ha bisogno di vedere che c’è chi non si arrende, di fronte anche a difficoltà grandi. Le persone ne hanno bisogno, per proseguire il proprio viaggio nel cosmo, in questo spicchio periferico ma tutto speciale di spaziotempo. Anche, per sentire più “amico” questo universo, più praticabile. Più percorribile. Per non sentirsi persi nel vuoto.
Oggi più che mai, infatti, per tanti versi ci sentiamo spaesati, a volte senza una guida, senza un manuale di istruzioni. La gente ne ha bisogno davvero, cerca un esempio, un modello, cerca qualcuno da ammirare. Mutatis mutandis, potremmo dirlo anche – accenno solo un paragone che potrà sembrare azzardato – per Giovanni Paolo II, per quell’eroismo semplice e sofferto che ha contraddistinto i suoi ultimi anni di pontificato, che ha colpito e catturato persone ben oltre la cerchia di chi si professa cristiano.
Lo so, per alcuni versi due figure agli antipodi, perché sappiamo cosa pensava il nostro scienziato del rapporto tra scienza e fede. Eppure gli antipodi sono un residuo di una visione geometrica cartesiana, un po’ semplicistica. Lo spazio tempo – ormai lo sappiamo bene – è mobile, permeabile, fluttuante, imprevedibile, modificabile. Gli opposti si incontrano, si baciano (e infatti i due si sono incontrati, e anzi Stephen ne ha incontrati altri tre, di papi). Gli opposti, dal punto di vista psicologico, sono un frutto della mente giudicante, divisiva, non certo della mente che si apre all’infinito. Ecco, lì non c’è contrapposizione, le forse si unificano procedendo verso il punto focale. La geometria cartesiana – troppe volte impalcatura indiscussa della nostra testa – si sfalda, non regge. E’ vecchia.
C’è spazio per chi ha una visione e la segue con forza, sia pure con vis polemica, la argomenta, la innerva di ragioni. E’ sempre un’apertura. Solo i tiepidi non portano niente, non aggiungono sapore all’alchimia universale.
E poi, se vogliamo davvero: non era conciliante con la spiritualità o la religione, ma era stato lo stesso accolto all’Accademia Pontificia delle Scienze (e questo è semplicemente bellissimo, secondo me). A proposito, segnalo che proprio il quotidiano cattolico Avvenire – poco dopo l’evento della sua scomparsa – esce alla grande con un bell’articolo di Piero Benvenuti (per inciso, Piero è anche stato presidente del mio ente, l’Istituto Nazionale di Astrofisica) che assai intelligentemente si smarca subito dal possibile inghippo di vetuste contrapposizioni, ed inquadra in un contesto ampio e aperto l’opera e la visione di questo grandissimo scienziato. Così scrive, infatti: “Preferisco onorare la sua memoria pensando che egli abbia voluto richiamare la nostra attenzione, anche con forme provocatorie, sulla necessità impellente che la filosofia e la teologia non ignorino i messaggi provenienti dalla cosmologia attuale, soprattutto dalla evoluzione globale ed unitaria dell’universo.”
Non c’è bisogno di altro, perché cadremmo nella retorica. E non è proprio il caso.
Chiudo con un piccolo ricordo personale, se mi è concesso. Moltissimi anni fa – ero appena un ragazzetto – forse per la prima volta sentii parlare di lui da… un altro astrofisico, da mio papà. E ricordo ancora benissimo, a distanza di decenni, l’ammirazione e perfino la commozione con cui ne parlava (rammento il luogo di Roma dove eravamo, quasi le impressioni più minute). E per me già basterebbe questo, per dolermi della sua scomparsa.
Addio Stephen, ora le stelle le vedi, davvero. E sono sicuramente sfolgoranti: ben più di quanto pensavi tu. E di quanto adesso pensiamo noi, quaggiù.
Ad-dio Stephen, uomo cosmico che hai com-mosso il nostro cuore e la nostra mente, con la tua carrozella aereo spaziale e apripista continuerai a insegnarci, a lasciare un segno nella storia della scienza e dell’umanità.
Grazie, caro Marco , astrofisico che sa accendere link di teologia e scienza per sempre nuova sapienza e gusto per un’infinita ricerca…un abbraccio…cosmico Giuseppina
Grazie! Bellissimo articolo, alla portata di tutti con chiarezza e semplicità.
È vero caro Marco “la gente ha un disperato bisogno di esempi e di modelli”….
Per me è proprio cosi e tanto mi ha colpito il caso di Matteo (vedi post del 18 marzo) così è stato per la vita di Stephen. Uomini che non si sono lasciati sopraffare dalla malattia e dalla sofferenza, mantenendo intatta la loro dignità dando ognuno per quanto poteva, un contributo all’umanità con il loro esempio di vita.
Per non parlare di Etty Hillesum i cui scritti amiamo entrambi moltissimo!
Così la mia forza aumenta, la lamentela quotidiana si affievolisce e, davvero, spesso davanti alle mie piccole difficoltà (che a volte mi sembrano insuperabili) mi pongo con il sorriso dicendo “lo faccio per loro”.
Ne sento la responsabilità se non altro.
Grazie per il bel contributo! Gabriella
Grazie care amiche,
ricevo i vostri commenti con gratitudine e gioia!
Cara Gabriella, un grazie aggiuntivo per aver citato Etty, questa ragazzetta che è da mesi ormai un mio grandissimo “amore”. Tra le tante cose illuminanti che scrive, questa forse si adatta al contesto (lei lo appuntava nell’imminenza della reclusione nei campi di lavoro, ma ha una portata ben più “universale”):
“La questione non è se il corpo poco esercitato possa resistere, questo è relativamente secondario: la forza autentica, primaria, consiste in ciò, che se anche si soccombe miseramente, fino all’ultimo si sente che la vita è bella e ricca di significato, che si è realizzato tutto quanto in noi stessi e che la vita era buona.”
Questo a mio avviso mette l’universo sottosopra, e ci interroga sempre sul nostro modo di concepire cosa è realmente una vita “riuscita”.
Un abbraccio!
Marco
Sempre grazie per il suo mirabile contributo di sensibilizzazione ne approfitto per augurarle una santa pasqua prof.Guzzi.
Patrizia.