Percorrere i territori dell’arte, sia pur in modo sperimentale/arti-gianale, è un’impresa non da poco, ci si trova subito oberati dal peso degli innumerevoli predecessori, intimiditi dalle schiere di eccelsi artisti che vi giganteggiano e che, nel tempo, hanno dato forma al nostro immaginario e contribuito a delineare una parabola rappresentativa dell’arte e dell’artista, fino ad arrivare agli eccessi dei nostri giorni dove artista è colui che ha accesso ai segreti della creazione (il Divino) e può lui stesso considerarsi un’emanazione dell’arte (Dio), qualsiasi infima cosa faccia.
Rassicura un po’ la considerazione che l’arte e gli artisti non hanno goduto sempre di questa gloria, Platone per esempio, considerava gli artisti meri imitatori della realtà (Repubblica II/III/X), e in quanto tali inutili alla Polis, in qualche caso perfino dannosi.
Una così scarsa considerazione doveva accompagnare l’arte e gli artisti per diversi secoli, alla mercè del potente di turno.
Parlando di musica, un gigante come Bach era costretto a comporre in tempi strettissimi, su richiesta di committenti arroganti e insaziabili, il cui unico vanto era di appartenere all’aristocrazia tedesca.
Ma per uno sguardo di estrema sintesi che ci può evitare di addentrarci nelle trasformazioni in cui la storia dell’arte e gli artisti sono passati, e rimanere ancora un attimo nell’ambito musicale, cito George Balan, l’illustre musicologo fondatore della Musicosophia, che a Roma nel 2010, in una delle ultime conferenze fatte, ragionava così:
“ Perché alcune forme di musica sono meno accessibili? Non per ragioni estetiche, perché non si può dire che la tecnica più primitiva possa offuscare la bellezza, il segreto sta nel destinatario della musica bisogna chiedersi, per chi componesse il musicista.
Il primo destinatario, per secoli è stato Dio, la concezione della musica era sacrale, comporre equivaleva a pregare.
Il secondo destinatario è stato il popolo, fase iniziata dopo la rivoluzione francese, in un’ebbrezza collettiva si parlava e si componeva in nome del popolo, l’esempio più illustre è la Nona sinfonia di Beethoven che si conclude con il corale dell’Inno alla gioia di Schiller.
Il terzo destinatario è stato l’ascoltatore, il compositore si rivolge a me direttamente, come qualcuno che mi racconta intimamente qualcosa di sé e di me. Questi compositori sono un’elite, una minoranza, trasversale a tutti i tempi.
Il quarto destinatario del compositore, ed è una tendenza contemporanea, è sé stesso. Il solipsismo musicale. Schöenberg diceva che la sua musica suonava meglio in una sala vuota che in una piena. Ecco perché, a volte, è così difficile capire la musica, probabilmente non sono io il destinatario.”
Balan parla della musica, ma io credo che il discorso funzioni con qualsiasi forma d’arte, e in questa chiave possiamo dire che ci troviamo nella quarta fase, in un’estremo solipsismo estetico, l’artista ha perso di vista Dio, non ha interesse verso gli interlocutori e parla solo con se stesso, nel nostro linguaggio, potremmo dire che si perde nei particolarismi egoici, in un delirio di riferimento autogeno, non esiste in questo momento storico un movimento artistico riconoscibile, tecniche e linguaggi diversi si sovrappongono creando un mondo magmatico in cui è difficile stabilire chi sia il genio (qualcuno c’è), chi il ciarlatano. Da qui l’importanza della critica d’arte, che si pone come mediatrice di un linguaggio individualizzato, criptico, che deve essere studiato e tradotto per il fruitore, un linguaggio più esplicito, in altri casi, viene usato per colpire chi guarda con effetti devastanti (Cattelan), o per stupire (Christo), o per coinvolgere i vari piani della percezione, rappresentando, in questo annullamento nichilistico della sua missione di bellezza, molti altri settori – ugualmente moribondi – della nostra società.
Nonostante questa deriva, mai come oggi l’arte ha avuto così tanti estimatori, migliaia e migliaia di persone si accalcano ad ogni mostra, sia pur oggettivamente priva del minimo interesse, un fatto che non finisce di stupire e che non può essere ricondotto solo al fenomeno imitativo, o alla massificazione della cultura per interessi di mercato.
Esiste quest’ultimo fattore, si imbonisce la cultura come un qualsiasi prodotto da supermercato, con la capacità di far diventare la mostra più povera, un evento imperdibile, un’esperienza di culto (per fare un solo esempio, vedi la concitazione mediatica attorno a ‘La dama con l’orecchino di perla’ di Vermeer).
Ma la persistenza e i numeri di questa partecipazione, i costi che i molti sono disposti a pagare, le scomodità a cui si sottopongono, dimostrano che sottostà in ognuno, al di là di ogni provenienza geografica, di ogni differente cultura, un profondo, estremo bisogno di bellezza che il vivere quotidiano lascia insoddisfatto.
“Certe ferite presenti in noi, nelle nostre profondità, possono essere curate solo dalla bellezza: la bontà non sempre basta a guarirle.” Scrive Enzo Bianchi in un twitter.
Dunque la bellezza è terapeutica.
E se Dostojevskj fa dire al principe Mÿskin che la bellezza salverà il mondo, Papa Bergoglio si spinge anche più in là, nel suo testo: “La bellezza educherà il mondo” riconosce la bellezza come principio identificativo della verità e quindi del bene. La bellezza come principio est-etico.
E queste connessioni profonde, quella necessità che muove le masse, è la stessa che muove noi e ci fa desiderare di contribuire, con lo slancio di rinnovamento assimilato in Darsi Pace, alla ricerca di nuove vie espressive, e ci spinge al progetto di formare un gruppo sperimentale che si occupi di un’arte ‘Oltre’, nella consapevolezza acquisita con l’esperienza iniziatica di Darsi Pace, che l’Oltre opera in noi e che possiamo dargli voce, in un viaggio di ricerca dentro e fuori noi stessi.
Vorremmo interpretarlo in diversi modi, anche nella veste di ‘fruitori’, e ci riserviamo di approfondire questo aspetto quando daremo il via alla formazione di un gruppo che chiameremo: Darsi un’arte.
Ma ora lo facciamo nella veste di ‘fattori’, all’interno della mostra che si inaugurerà il 23/4, con il nome di ‘L’Oltreopera’, dove interveniamo direttamente sulla materia, coniugando pittura e scultura in un modo che speriamo inedito.
Abbiamo lasciato lavorare le mani, ci siamo avvalsi senza scrupoli, di qualsiasi tecnica, senza limiti stilistici, senza barriere; le mani, rappresentate anche in una delle opere della mostra, sono un elemento fondamentale per noi, che ci qualificano come operai della bellezza, nella speranza che perseguendola con determinazione e tenacia, possiamo anche noi cambiare strada facendo e diventare più ‘belli’.
L’Oltreopera
P.zza degli zingari, N1
Vernissage: 23/04/2018 – ore 18,30
Cara Grazia,
molto interessante e avvincente il tuo post! Mi hai molto incuriosita quindi cercherò di venire alla mostra il 23 aprile.
Complimenti e a presto.
Palma
Cara Grazia, bellissime le vostre opere!
Io purtroppo posso apprezzarle solo telematicamente, ma ti confesso che, per quanto questo linguaggio non mi appartenga naturalmente, mi hanno trasmesso molto!
Siete riuscite a conciliare, e lo trasmettete, la realizzazione della bellezza delle opere ( forme e colori!) con l’aspetto psicologico che lascia immaginare un vero viaggio interiore!
Bravissime! e grazie per aver elevato con le vostre grazia e bellezza, tutto il mio essere!
Auguri per il gruppo che sta nascendo e buona continuazione!!!! Maria Rosaria
Cara Grazia,
grazie del tuo post, ho trovato molti spunti da approfondire. L’arte è un viaggio di ricerca interiore ed esteriore, certo, è per me quel fare anima del quale parla James Hillman. E’ dare voce a ciò che ci parla dentro, a un vissuto che non sempre riusciamo ad ascoltare o affrontare con la ragione, penso sia essere in contatto con la parte più sacra di noi. E forse era già così per gli uomini che dipingevano le caverne o che lasciavano le tracce delle loro mani dipinte sulla pietra. L’arte è terapeutica e la bellezza cura se proviene da questo centro interiore che rivela la nostra autenticità e che va al di là delle mode.
Personalmente devo all’arte in qualche modo la mia vita, mi ha aiutato (e lo fa ancora!) ad affrontare molte delle mie ferite, le ha rese visibili prima di tutto ai miei occhi, mi ha permesso di dare loro una voce, un corpo, di renderle concrete e anche amiche. Per cui ben venga il vostro progetto!
Un caro augurio per la mostra,
Adriana
Cara Grazia, molto interessanti le tue considerazioni, e penso che una riflessione ampia sulla creatività artistica potrebbe utilmente avviarsi in questo ambito, visto anche quanta insistenza (benedetta) mette Marco Guzzi sull’essere o ritornare creativi.
Platone diceva “la bellezza è lo splendore del vero”, e il nostro creare è partecipare alla Creazione, nella misura in cui è stato a noi affidato un compito, piccolo o grande che sia. In realtà l’artista non “decide” di creare, ne sono sempre più convinto: è “obbligato” a creare per fedeltà alla sua natura, alla sua chiamata. Disobbedendo cade in mille contraddizioni e compensazioni, perché cerca di deviare dall’obiettivo per cui precisamente è stato posto in Terra (e non è mai una buona cosa).
Non sono proprio convinto che l’artista parli solo con sé stesso, perché ogni forma creativa “deve” espandersi, fecondare l’ambiente. Chi fa arte irrevocabilmente è proteso all’esterno, anche se non lo sa, o lo nega. Però è verissimo che certa arte è come avvitata su di sé nel tentativo forse troppo cerebrale di inseguire una compiutezza che non recupera nel pensiero o nella logica formale, ma dovrebbe, anche qui “ripartire dalle emozioni”.
Frequento abitualmente i concerti dell’Auditorium e vedo bene quanto è “diversamente” affollata la sala quando il programma è focalizzato sulla musica più “moderna” (che poi ha spesso già più di un secolo…). In parte è un problema di nostra diseducazione musicale e programmi ministeriali molto miopi, per la scuola. In parte è che Mozart e Beethoven parlano al cuore un linguaggio universale e vibrante, che taluni moderni hanno disdegnato, forse ripreso solo dalla musica “popolare” (se queste etichette hanno senso) . In questo senso ricordo un grande direttore come Leonard Berstein – al quale non si può imputare una scarsa dimestichezza con la musica classica! – confessare molto onestamente che seguiva con più interesse certe cose dei Beatles o di Simon & Garfunkel di taluni compositori contemporanei.
Spesso l’arte è arrivata ad alleviare le mie ferite, laddove ogni parole sembrava inutile, sembrava inerte.
L’arte salva la vita, non è una cosa da metter via a cuor leggero. E’ l’opposto della violenza, esattamente.
Un caro augurio per la mostra.
Marco
Molto interessanti le Vostre opere, soddisfano quel bisogno di bellezza che il vivere quotidiano, davvero troppo sovente, lascia insoddisfatti, se non amareggiati. Questo anche, purtroppo, per il moltiplicato esibirsi di troppi, e troppo, improvvisati “autori”.
Verrò a vederle in un giorno successivo alla vernice, causa impegno precedente. Grazie.
Ho sempre guardato con sufficienza all’arte contemporanea, ma nel caso di Cristho mi sono dovuto ricredere. Ho sperimentato la passeggiata sulle acque nel lago d’Iseo e quell’esperienza ha rappresentato per me uno dei momenti piu’ felici di tutto un anno.
Quindi tutto dipende dai momenti e dalle situazioni che una persona vive.
“Darsi un’ arte” come “operai della bellezza” che umilmente collaborano a un Progetto più grande di loro perché “l’ Oltre opera in noi e possiamo dargli voce, in un viaggio di ricerca dentro e fuori noi stessi”…
Bellissimo…!
Vi seguirò, mcarla
Cara Palma, grazie del gradimento che esprimi, sarò felice di vederti.
Maria Rosaria ringrazio anche te per l’apprezzamento, per ora solo sulla fiducia, ma con una buona sintonia.
Adriana ciò che dici incuriosisce, credo sarebbe interessante sapere in che modo l’arte ti abbia salvato la vita, se vorrai raccontarlo in questo o in un altro post. Grazie per ciò che dici e degli auguri.
Caro Marco, è vero, anche io sarei molto interessata ad aprire una riflessione-dibattito sullo stato dell’arte, chissà che il tuo invito non abbia risvegliato sopiti spiriti, potresti magari invitare Misia e Livio ad aprire le danze, loro ne sono capaci, ma forse il tema non è così attrattivo (e viscerale aggiungerei), come la politica. Non hai detto se verrai alla mostra o no, ci faresti piacere, così come ho gradito molto il tuo commento.
Giovanni, se hai intenzione di venire alla mostra in uno dei giorni successivi all’inaugurazione, scrivimi un messaggio a cassia1280@gmail.com e io cercherò di essere presente o almeno di garantirti che la mostra sia aperta.
Caro Anonimo, con dispiacere, non sono riuscita a vedere il ponte galleggiante sul lago d’Iseo, e non stento a credere che percorrerlo sia stata un’esperienza fantastica, immagino che la sensazione fosse quella che ci immaginiamo quando pensiamo a Gesù che cammina sul lago di Tiberiade. Un miracolo. Ma non era un po’ forzato? E l’opera non è da considerarsi puramente effimera? Quanti giorni è durata? Ho anche sentito dire che è stata molto inquinante. Tutti aspetti che fanno pensare che l’autore consideri la propria opera ‘al disopra’ del comune buon senso e l’effetto sugli spettatori più importante delle accortezze per l’ambiente che ognuno di noi, e gli artisti più degli altri, per la loro sensibilità, dovrebbero avere.
M.Carla grazie dei complimenti e mantieni per favore, l’impegno di seguirci.
Cara Grazia,
l’arte mi ha salvato la vita perché in un periodo molto difficile verso i cinquant’anni “mi ritrovai in una selva oscura” e grazie all’arte, in particolare la poesia e le arti visive, scoprii la possibilità di conciliare finalmente il mio lungo vissuto d’immigrante (una trentina di anni allora) con la realtà italiana alla quale (da lungo) appartenevo.
Per molto tempo ho vissuto lacerata interiormente dalla mia storia di sradicamento e questo m’impediva di esprimermi in modo creativo. Scrivevo da sempre nella mia lingua materna (sono argentina d’origine) ma a quei tempi non riuscivo più a trovare un senso in quel che facevo, non vedevo più un futuro benché avessi intorno degli affetti e non mi mancassi nulla o quasi…non sapevo a cosa aggrapparmi benché frequentassi da tempo un gruppo terapeutico.
Ad un certo punto ci fu una specie di epifania. Ricordo quel giorno ancora con emozione. Ero a casa da sola, ero molto giù e avevo deciso di buttare via tutte le vecchie carte che mi ricollegavano alla mia terra, “occupano troppo spazio, non servono più a nulla” mi dicevo. Erano vecchi appunti di una università che appena iniziata avevo lasciato per partire, altri appartenevano a studi fatti dai miei genitori, c’erano fitti quaderni, libri ingialliti, vecchie riviste, e poi lettere, tante lettere perché allora non c’erano gli email.
Avevo fatto delle pile da buttare ma a un certo punto, mi sono ritrovata col pennello in mano a dipingere le pagine (i colori mi producono emozioni e già allora dipingevo ogni tanto), a ritagliarle, poi a strapparle, poi a incollarle, poi ad aggiungere altro materiale e venivano fuori forme, immagini, parole che si accavallavano facendo emergere il vissuto interiore.
Mi ricordo del pianto liberatorio nel momento in cui finì il primo quadro che intitolai “Opus ’76”, fatto coi ritagli degli appunti di quell’epoca che qualche ora prima stavo buttando in pattumiera e che ora apparivano riattualizzati in una nuova veste/vita. Fu la stessa emozione che ebbi proprio in quel periodo quando scrissi per la prima volta una poesia ibrida dove la lingua materna fluiva insieme all’italiano in un racconto a due voci, commistione che senza annullare né l’una né l’altra dava luogo a un modo “altro” di dire, di essere, un dialogo nel quale emergeva la mia voce autentica.
D’allora sono passati più di dieci anni, la mia vita ha fatto una svolta, si è arricchita a livello creativo e umano e mi si sono aperte possibilità in quel momento impensate.
Certo, se l’arte riuscisse a salvare la vita a tutti sarebbe il massimo, non è così purtroppo. Ma nel mio piccolo non posso che esserle molto riconoscente, mi ha salvata dalla distruzione.
Un caro saluto e ancora auguri per la mostra,
Adriana
Grazie!!!!!?http://essaywritekd.com/
Che bella storia la tua, Adriana, fa proprio vedere con chiarezza che cosa può fare un impulso creativo, dono dello Spirito, se assecondato e interpretato, mi dico spesso – ho paura di dimenticarlo – che questi momenti vanno accolti ed espressi con immediatezza, altrimenti, come il seme gettato nella sterpaglia, sono sterili e non generano alcunché, mi chiedo se tutti ne sono consapevoli. Ciao, spero di conoscerti di persona.
Ciao Grazia, appena so quando potrò, farò il possibile, ti manderò la mail.
Ho letto la tua e quella di Anonimo… Vedendo “moderne” operazioni, sempre più spesso mi viene da pensare, ad un fumetto uscito dalla bocca di Charlie Brown, tanti anni fa: – Ma è Arte? – Non è sufficiente l’emozione del momento per qualificare “un qualcosa” come “Opera d’Arte”. Si può cadere in confusione di pensiero e terminologia. Mica male sarebbe cominciare a non aver più paura ad analizzare l’ “Operato Artistico”, senza più considerazione per le altisonanti e sussiegose, quanto indiscutibili ed apodittiche, affermazioni di tanti signori “critici”. La Bellezza, che per millenni ha guidato anche l’Operare Artistico, oggi è snobbato come Valore, chissà perché…. Ma, alla fine, sarà solo Essa che potrà salvare il mondo e la Vita.
Grazie Grazia, ricambio l’augurio.
Adriana
Cari amici e amiche che seguite questo sito,
volevo solo ricordare che la mostra si inaugurerà lunedì prossimo, 23 aprile, e non il 23/5 (maggio), come è scritto per errore nel post. Avevamo corretto alla fine, ma ci siamo dimenticati di correggere all’interno del testo.
Appuntamento quindi con chi potrà per lunedì prossimo, a Roma, in Piazza degli Zingari 1.
Buon fine settimana!
Corretto l’errore!!! Grazie Feffe!
Grazie Feffe e grazie Paola per la correzione, volevo rispondere a Giovanni che la mostra è aperta tutti i giorni, fino al 4/5, nell’orario di apertura normale (10,30/13.00, 16.00/18,30), salvo accordi particolare con me o con Beatrice. Per quanto riguarda l’altro discorso, quello sull’arte, sarebbe divertente provare, ognuno di noi che ne avesse il ghiribizzo, provare a dare la sua definizione, e vedere che ne esce fuori, vuoi cominciare tu?
Felicissima di aver partecipato. Molto interessanti e toccanti le opere e l’armonia tra Grazia e Beatrice con cui sono state realizzate. Brave! Aggiungo un vivo ringraziamento a Stefano per il contributo e la bella presentazione.
Grazie dei complimenti Gabriella, ho apprezzato molto che tu abbia sottratto tempo alla tua giornata, sicuramente molto piena, mi dispiace che non siamo riuscite a parlare un po’ ma, anche se sembra assurdo dirlo forse la gente era troppa, e non si riusciva a finire un discorso.
Bisogna tenere presente questo dato per eventuali prox volte, si potrebbe dividere la presentazione in due o tre serate.
Un abbraccio e a presto in altra sede.
Per me, e penso non solo, “Arte” è un aver vissuto, fatto proprio e trasmetterne l’esperienza interiore, di un determinato messaggio che s’intende rendere pubblico. Questo, attraverso varie forme (pittura, musica, poesia, teatro, cinema…)
….Scultura…!
Grazie Giovanni, annoto il tuo commento, riprenderemo l’argomento in un altro momento e contesto e partiremo magari da qui.
Ci siamo stati oggi pomeriggio, con mia moglie.
Bella mostra, dove le risonanze di Darsi Pace si integrano naturalmente con la ricerca artistica, sobriamente descritta, con giusta misura, nei cartelli che accompagnano le varie opere. Una “rivisitazione” per spunti chiave del percorso DP o meglio di un inevitabile percorso nell’anima, con soluzioni molto suggestive. Tutti i temi come le maschere, l’ombra, perfino l’affettività (Venere 1 e Venere 2, così dolcemente evocative), trattati secondo un incontro fecondo con il modello classico, ibridato suggestivamente con la psicanalisi.
Se passate da quelle parti, vi suggerisco di fare un salto!