Marzo 2018, Ravenna.
Mi sto preparando per tenere il IX incontro del terzo anno del triennio di base di Darsi pace. Leggo con cura il programma della lezione, per assimilarne i contenuti e farne esperienza nei giorni che precedono l’incontro, in modo che gli insegnamenti non rimangano teoria, ma diventino vita vera. Il tema centrale dell’incontro è il Tempo Apocalittico, il difficile momento di svolta antropologica che stiamo vivendo sia personalmente sia come umanità. Tempo che ci coinvolge, e spesso sconvolge, tutti.
Mi imbatto in alcune citazioni della Scrittura che descrivono i tempi finali come Dies irae, giorno dell’ira, e subito la mia mente corre alla musica, al Dies irae di Mozart, a quello di Giuseppe Verdi, e mi tuffo in una ricerca musicologica che parte dalle origini, cioè dalla prima sonorizzazione del testo medievale in canto gregoriano.
Qual è l’obiettivo di questa ricerca? Oltre al gusto di ascoltare e di imparare qualcosa di nuovo, è sicuramente quello di comprendere come i compositori abbiano vissuto le terribili parole del componimento poetico, come si sia espressa la loro creatività e che contenuti ci trasmettano le loro opere.
«La musica è un’esperienza strutturante tramite la quale l’uomo può arrivare a una maggior conoscenza ed esperienza di Dio» scrive Angela Ballarin, ed è in questa direzione che desidero muovermi.
Aprile 2018, Roma.
Si è svolto il IX incontro. Ho condiviso con i partecipanti della terza annualità alcune delle riflessioni esposte precedentemente. Adesso, come promesso durante la lezione, proseguo la mia indagine. Esporrò ciò che ho trovato attraverso un racconto, in parte storico e in parte frutto della mia immaginazione.
Aprile 1506, Ferrara.
Antoine Brumel sta camminando rapidamente dal Castello Estense verso il Duomo. E’ il direttore della Cappella musicale, per la quale compone musica polifonica nello stile dei maestri fiamminghi con i quali si è formato. Si è da poco trasferito a Ferrara, per sostituire Jacob Obrecht, morto di peste l’anno prima, in luglio. Che anno, il 1505! Oltre al collega Jacob, era morto il Duca di Ferrara, Ercole I d’Este, uomo di grande valore, e al suo posto era subentrato Alfonso I, anch’egli mecenate e amante dell’arte.
Ma, si sa, la vita va avanti, e a Corte non si parla d’altro che degli intrecci favolosi del poema cavalleresco che Ludovico Ariosto ha da poco iniziato a scrivere: si dice che narri di paladini, di mori, di luoghi tenebrosi, selve e labirinti, di molteplici storie d’amore e intrecci che l’autore promette di dipanare armoniosamente.
Hanno parlato di questo, dei dipinti che il Duca desidera commissionare a Dosso Dossi per abbellire i suoi ‘camerini’ e, naturalmente, di musica, nell’incontro durante il quale Brumel è stato ricevuto da Alfonso I d’Este e dalla sua consorte, Lucrezia Borgia.
La famiglia ducale tiene il musicista in così grande considerazione da concedergli uno stipendio annuo di 150 ducati d’oro più una bella casa nel centro di Ferrara. Oggi hanno parlato della composizione di un nuovo brano, il Dies Irae, da inserire nella Missa pro defunctis. Nessuno dei suoi maestri ha utilizzato questa sequenza come base per una composizione, ma Antoine si ricorda che, quando si trovava al servizio del duca di Savoia, aveva sentito parlare della soavità della Messa di Requiem scritta dal giovane Engarandus, nella quale per la prima volta un musicista aveva osato scrivere un’elaborazione polifonica del Dies irae. Brumel è catturato dal progetto e la creatività esplode quando passi veloci lo portano davanti al Duomo e i suoi occhi si aprono per la prima volta sulle storie del giudizio universale scolpite secoli prima da Nicholaus sulla facciata, ora illuminata dal sole primaverile pomeridiano.
Quante volte è passato di là, Antoine, ma, assorto nei suoi pensieri, non ha mai posto particolare attenzione a quei dettagli. Oggi, invece, si ferma, e si sofferma a osservare, sui pennacchi degli archi, i defunti risorti che escono dal proprio sepolcro e vanno verso la ‘pesatura delle anime’. Il corteo delle anime poi si divide e i dannati vanno verso destra, dove si apre una lunetta sulla quale è raffigurata la bocca dell’inferno. Impaurito, il musico si volge verso la lunetta di sinistra e tira un sospiro di sollievo vedendo che lì è raffigurato il Paradiso, verso il quale si dirige il corteo dei Beati.
E decide che la sua musica sul testo del Dies irae sarà così, un volgersi verso il Paradiso, un corteo di beatitudine, in cui un coro a 4 voci commenterà soavemente i versetti del canto gregoriano. Il Cristo Giudice che sovrasta la scena non gli fa più paura, anzi, gli infonde sicurezza e determinazione: la sua musica, come la scultura, dovrà spingere le persone che la ascolteranno verso il Bene, ad elevare la propria anima a Dio. Il testo dovrà essere comprensibile, le belle linee melodiche dovranno intrecciarsi in imitazioni, ripercorrendo la sequenza gregoriana, ma anche scorrere fluidamente, donando armonie verticali riconoscibili e limpide.
Già… la sequenza Dies Irae… Antoine si ricorda che, quando era un piccolo cantore e il maestro del coro aveva spiegato a tutta la Schola la storia della sequenza in generale e del Dies irae in particolare, lui aveva sbuffato! Uffa, quante cose difficili! Invece adesso è contento di ricordare le spiegazioni parola per parola: «Il Dies Irae è la ‘sequenza’ per la messa dei defunti attribuita al frate Tommaso da Celano († 1265 ca.), amico e biografo di San Francesco – aveva spiegato fra’ Jacopino -. La forma musicale ‘sequenza’ nasce attorno al IX secolo e inizia la sua storia come aggiunta di note ornamentali, i melismi, poste alla fine degli alleluia. A queste note era attribuito un testo per renderne più facile la memorizzazione, perché a quei tempi non c’era la scrittura musicale e si imparava tutto a memoria.
La ‘sequenza’ era eseguita al termine del tratto (tractus, antica forma del canto gregoriano che, nella messa dei defunti e nei giorni penitenziali, sostituisce l’Alleluia) prima della lettura del Vangelo, nella liturgia funebre. Rievoca il giorno del giudizio – tuonava fra’ Jacopino, che poi si addolciva sottolineando che la sequenza era famosa sì, per il suo testo drammatico, ma soprattutto per la sua mesta melodia –. Il testo – continuava implacabile – comprendeva 17 stanze di tre versi ciascuna con rima baciata (aaa, bbb, ecc.), più una conclusione aa, bb, cd. Ritmo accentuativo. Vi erano tre motivi musicali. Ogni motivo era utilizzato per due strofe consecutive, quindi vi erano tre motivi per sei strofe e lo schema si ripeteva tre volte, con una conclusione irregolare».
Che noia, pensava allora il giovane corista, ma ora…che fortuna per Antoine sapere queste notizie e conoscere la sequenza a memoria! Comporre il suo Dies irae sarà molto facile, tanto più che anche lui percepisce che in questo canto gregoriano vi è un forte contrasto tra il testo e la musica, che le parole piene d’angoscia e di tormento sono pronunciate su una melodia dolce e priva di avvenimenti drammatici. Anche Antoine è convinto che la musica della sequenza comunichi fiducia, serenità e distacco dal mondo terreno e pensa che, proprio come lui, l’anonimo compositore della monodia era fiducioso, credeva nella misericordia di Dio e vedeva il tempo apocalittico come un tempo di salvezza, in cui scegliere da che parte stare, decidendo di affrontare le sfide della vita con coraggio, vivendo il difficile tempo del giudizio come un’opportunità.
Maggio 2018, Ravenna.
Lascio Brumel, l’‘Orlando furioso’, i dipinti di Dosso Dossi e le suggestioni della Ferrara rinascimentale e continuo la mia ricerca, unendo alla consultazione dei testi i suggerimenti telematici. Dopo Antoine Brumel non c’è compositore che non abbia scritto una Messa di Requiem. Lascio che i video di YouTube mi guidino alla scoperta delle Misse pro defunctis.
Mi rendo conto sempre di più che le Messe che ascolto sono brani di alto valore artistico e spirituale. Mi sembra che i compositori, nel dedicarsi a rivestire di note la liturgia funebre – ognuno col proprio stile e secondo i canoni estetico/musicali della propria epoca – abbiano in primo luogo dovuto interrogare se stessi sul mistero della morte. Attraverso i suoni fluenti della loro creatività hanno forse avuto un contatto col mondo invisibile, potendo così trasmettere agli ascoltatori fiducia e speranza nell’eternità della vita. Gli ascolti sono diventati per me una sorta di ‘contemplazione’ della morte che si trasforma in vita, perché i Requiem sono riflessioni sull’ineluttabilità della morte affrontata con profonda serenità.
Sono arrivata alla fine della mia storia. Potrei citare un’infinità di brani, e alcuni desidero segnalarli, ma ciò che mi ripromettevo nella mia ricerca è stato raggiunto, anzi, forse, sono andata oltre l’obiettivo, che era solo quello di comprendere come i compositori ci abbiano trasmesso il loro modo di vivere il Tempo Apocalittico: abbiamo constatato che lo hanno vissuto con fiducia nella misericordia di Dio.
Aggiungerei a questo che, a mio giudizio, tutti i brani musicali composti a commento della liturgia funebre che ho potuto ascoltare non evocano immagini di terrore, ma al contrario – come scrive San Simeone di Tessalonica – «si canta perché esiste una comunione e una riunione. Infatti, morti, non siamo affatto separati gli uni dagli altri, poiché tutti noi percorriamo la medesima strada e ci ritroveremo nel medesimo luogo. Saremo tutti insieme in Cristo».
Alcuni suggerimenti di lettura e ascolto:
Testo latino del Dies Irae con traduzione
Dies irae, sequenza gregoriana
Antoine Brumel, Dies irae, sequenza polifonica
Alessandro Scarlatti, Lacrimosa
Davvero qui la musica ha tutto un altro “tono” rispetto alle parole dure del testo. Non c’è ira, non disperazione, ma affidamento calmo ad un Dio così grande che non può essere sconfitto dalla mia piccolezza – almeno è ciò che a me hanno trasmesso questi ascolti.
La scena finale di Mt 25, molto suggestiva sul piano immaginativo visivo e quindi anche molto sfruttata pittoricamente, mi sembra però rischi un colpo di pennello un po’ troppo largo.
Possibile che quelli alla destra non sbaglino un colpo e quelli alla sinistra non ne facciano una giusta? Forse, come per il campo di grano infiltrato di zizzania, anche per la scena finale mi parrebbe più interessante una lettura sulla vita personale. Io continuamente oscillo tra quelli alla destra e quelli alla sinistra, il mio agire è costantemente ambiguo, inquinato dai mascheramenti, sollecitato dalle mie ferite ancestrali. Perciò il mio agire e il mio pensare e il mio sentire non possono essere che da purificare, ogni cosa io faccia, pensi, senta. Perciò per me la risurrezione è il tempo della verità, quando Dio opererà la purificazione delle mie ambiguità, dove risorgerà solo ciò che vale la pena rimanga per sempre e continui nella crescita eterna. La morte invece sarà la morte di ciò che non vale, che mi ha sfigurata fino a quel punto, la disintegrazione di tutto ciò che non serve alla vita, contro cui ho lottato, sono tante volte caduta, ma ho osato sperare che rialzarsi fosse ancora possibile.
iside
Cara Silvia!
Grazie per averci informata su questa tua interessante ricerca, la tua competenza musicale è grande e ne fai un poco partecipi anche noi, anche me ,che pure in campo musicale sono alquanto ignorante. Quando assaggio qualcosa in questo settore storico-artistico, spero che si realizzi un mio desiderio: avere in un’altra vita la possibilità approfondire, di fare una conoscenza completa, non solo brevi spuntini.
E’ vero che i brani che ci hai proposti suggeriscono il superamento della tristezza della morte per aprirci a una vitalità inaspettata! Mariapia
Cara Silvia, che bello!
La tua ricerca musicale e il tuo racconto mi hanno incuriosito e mi sono presa un po’ di tempo per l’ascolto, che è stato una sorpresa.
Gli intrecci delle voci e degli strumenti, la loro perfezione, emoziona e regala un senso di compiutezza. La tensione musicale è forte ma si dipana dentro confini di fiducia e misericordia. Le tue parole mi hanno aiutato a percepire questo disegno di speranza dietro le note.
Grazie!
Antonietta
Grazie, Silvia, per questa tua ricerca e per gli incantevoli brani musicali che hai offerto al nostro ascolto. Come ci avevi fatto notare tu durante l’incontro del terzo anno, queste musiche così dolci contrastano con il significato del testo e ci immergono nella speranza dell’infinita misericordia divina. Con questo tuo dono ci hai fatto sperimentare come la musica veramente riesce a farci vivere emozioni che a volte le parole non riescono ad esprimere, a metterci in contatto con le nostre profondità e con il mistero divino che tutti ci avvolge.
Un abbraccio
Maria Letizia
Silvia Rambaldi, thanks so much for the post.Really thank you! Great.cialis
Grazie Camilla! Benvenuta su getBready.netcialis cheap
Carissime,
grazie per i vostri commenti!
Quando ho deciso di scrivere questo post, la mia intenzione era di proseguire la riflessione sulla musica che ho iniziato il 6 aprile 2017 con un post su J. S. Bach.
Mi chiedo spesso quale sia il rapporto tra la musica e il lavoro spirituale e in quale modo la musica possa aiutarci a penetrare più a fondo significati vitali.
Sto conducendo un esperimento su me stessa, articolato in due direzioni: ascolto i brani musicali in modo più meditativo, aprendomi a suggestioni e significati nuovi e, successivamente, mi impegno a comunicare ciò che mi sembra di aver recepito nel modo più semplice e comprensibile.
Ora desidero, per completare il quadro, dare ancora qualche informazione, anche grazie alle suggestioni avute dal commento di Iside.
Il IX incontro del III anno del triennio di base di Darsi pace tratta approfonditamente del tempo del giudizio universale inteso come fase della storia in cui ‘l’Ordine dell’Ego sta per essere dissolto una volta per tutte mentre tutte le sue opere vanno in frantumi’: così scrive Marco Guzzi nelle pagine 193-196 di Darsi pace.
Cito: ‘viviamo il tempo finale del giudizio di tutte le nazioni, di tutte le culture, di tutti i modi di pensare, che si sono sviluppati sul pianeta su basi essenzialmente belliche. Siamo a una grande resa dei conti, e più si fa forte in noi e sulla terra l’evidenza della Luce Nascente, e la necessità, priva di alternative evolutive, di lasciarci assorbire nell’ordine della riconciliazione, e più le resistenze diventano cieche e micidiali.
Ecco perché il giorno della salvezza era visto dagli antichi profeti come un Dies irae per tutto ciò che in noi o nel mondo vi si fosse opposto. Il tempo che viviamo può essere vissuto in due modi: salvezza, pacificazione interiore/planetaria, redenzione trasformativa o ira, guerra e distruzione.’
Insomma, le trombe del giudizio suonano per quelle parti di noi che ancora resistono al cambiamento. In tal senso ho ascoltato un’altra messa in cui il Dies irae ben trasmette l’alternanza tra i due stati descritti, mantenendo vive fiducia e speranza: il Requiem in do minore di Luigi Cherubini (1760-1842)
https://www.youtube.com/watch?v=vECnMav5zrc
buon ascolto!
un abbraccio
Silvia
L’altra sera in S.Colombano abbiamo ascoltato la ‘Missa defunctorum’ di Alessandro Scarlatti. Oltre a confermare l’ottima esecuzione del gruppo, l’esecuzione così intima, dolce, intensa mi ha veramente commossa. Aggiungo che il testo in latino ha fatto risvegliare in me l’ammirazione per quella lingua studiata a scuola, ma non soltanto l’ammirazione, anche la poesia che il senso di concretezza e di concisione la lingua mi ha trasmesso. Bellissima. Ho pensato: fortunato chi ha fede e crede. Non riesco ad entrare nel tuo bellissimo ragionare e sentire, ma la spiritualità intesa in senso lato appartiene anche a me.
Cara Maria, Pia,
ti ringrazio molto per le tue parole sincere.
Per quanto riguarda la fede, mi permetto di citare alcune parole dal libro di Marco Guzzi ‘Yoga e preghiera cristiana’ (ed. Paoline), p. 63-64:
‘La fede è una precisa modalità di conoscenza, un’apertura conoscitiva verso dimensioni che possono essere conosciute attraverso un continuo abbandono del nostro punto di vista ego-centrato. Non è una fede cieca, ma una fede ragionevole in base alla quale io credo e mi affido a ciò che ho ascoltato e che mi ha convinto, lo metto in pratica per verificare passo passo la misura della sua verità.
La fede è un cammino conoscitivo che trova rispondenza e verifica nelle emozioni più profonde della nostra carne.’
Grazie ancora per la tua bella riflessione, ti abbraccio in questa unione spirituale
Silvia
Cara Silvia,
che bello parlare di queste cose! E’ già spiritualità.
Abbiamo bisogno di queste riflessioni: lascio alla mia spontaneità di ricavarne il meglio.