Abisso dell‘io
Abisso dell‘io! Mi immergo nel profondo di me
E non trovo limiti, né confini.
Lì nel crepuscolo segue sepolcro su sepolcro,
Qui fluttua la luce e brillano sementi fresche.
In ogni sepolcro riposa il mio antico dolore,
Il mio primo amore e il mio primo odio.
Morto! Tutto morto e rimane così anche tutto il tempo
In me e dal mio io non viene lasciato.
((Heinrich Hart 1855-1906)
Heinrich Hart, scrittore tedesco vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900, fondò in gioventù un gruppo chiamato “die Neue Gemeinschaft” (“La nuova comunità”). Intitolò inoltre la sua opera più importante Das Lied der Menschheit (Il canto dell’umanità). Oggi come ieri infatti lo spirito poetico autentico si fa annuncio, profezia, voce della trasformazione dell’uomo. La voce del poeta è quindi la voce di un Io profondo, la voce del nostro Io, che continuamente ci richiama a sé.
Il poeta, che è lo spirito creativo in noi, immergendosi nei propri abissi interiori, dimora in spazi infinitamente dilatati, spazi aperti alla coscienza dell’universo che proprio attraverso il pensiero e la parola dell’uomo si manifesta come autocoscienza. L’universo diventa così cosciente di sé attraverso il pensiero e la parola dell’uomo che ne parla. L’uomo è quindi il mistero dell’universo che si manifesta attraverso la parola poetica come canto dell’umanità.
Per questo l’uomo è una porta spalancata sull’abisso e per questo lo spirito poetico è chiamato ad incarnare questa grande responsabilità.
Immergersi dentro sé, nell’infinito che respira in noi, significa infatti comprendere il senso di una missione profonda: compiere cioè un cammino evolutivo, e con esso un ulteriore passo verso lo sgretolamento delle pareti mentali ed emotive che imprigionano il nostro pensiero entro confini angusti, impedendoci così di comprendere la grandezza di ciò che siamo, e di ciò che siamo chiamati a fare.
Condurre l’umanità a compiere un salto verso la configurazione di un’umanità altra, che già a tratti sentiamo emergere in noi quando prendiamo finalmente contatto con i nostri abissi interiori, significa avere il coraggio di dire un sì alla vita affrontando anche le sfide che questo richiede.
Questo sì alla vita infatti non è ovvio, né scontato. Questo sì alla vita è la nostra sfida quotidiana, è la fatica delle nostre vite, con i nostri problemi, i nostri dolori, le nostre impotenze e fragilità. Qualcosa che spesso ci atterrisce, che molto spesso ci prostra, ci piega le gambe, a volte le spezza, o spezza il fiato.
Fatiche e dolori che lasciano cicatrici profonde: Lì nel crepuscolo segue sepolcro su sepolcro […]. In ogni sepolcro riposa il mio antico dolore, / Il mio primo amore e il mio primo odio.
E tuttavia in questo componimento poetico ad immagini di morte si susseguono immagini di vita: Lì nel crepuscolo segue sepolcro su sepolcro, / Qui fluttua la luce e brillano sementi fresche.
Tutto ciò che giace morto dentro di noi, tutto ciò che ci blocca, che impedisce il libero fluire può essere conosciuto e trasformato. Qualcosa muore ma già brillano alla luce le sementi fresche. Riflettiamo bene: quanto ci ostiniamo a trattenere? Quanto non vogliamo lasciar andare? Il tempo non può essere trattenuto eppure l’Io ne conserva traccia. Le sue memorie sono nel nostro corpo, che le sigilla. Morto! Tutto morto e rimane così anche tutto il tempo / In me e dal mio io non viene lasciato.
Ma lasciar andare non vuol dire dimenticare. Il tempo in qualche modo rimane in noi e si fa memoria, che è sostrato imprescindibile, custode della nostra identità e che parimenti ci richiama all’adesso. Come nel respiro, che scandisce il ritmo esatto del nascere e del morire, dove la fine di uno è sempre l’inizio dell’altro. Il nuovo per nascere richiede una continuità in vista del suo scaturire, così come una fine come con-fine che delimita ma non costringe. E quindi immergersi, scavare, portare alla luce ciò che è rimasto sepolto significa lasciar germogliare le sementi fresche, che già brillano annunciando le loro promesse.
Nel destino l’uomo riconosce invece la sua propria vita, e la supplica che egli rivolge non è la supplica rivolta a un padrone ma un ritorno ed un avvicinamento a sé stesso (Hegel).
Il destino è quindi la potenza della vita nella quale il soggetto è da sempre immerso. E per comprenderne il senso occorre un ritorno e un avvicinamento a sé. Immergersi negli abissi è quindi rimanere in ascolto silenzioso della vita e intuire la direzione di crescita. Rimanere in ascolto di ciò che siamo, avvicinarsi a sé seguendo le tracce di questo percorso dovrebbe quindi, come Hegel ci suggerisce, rivelarci il senso di un destino.
L’uomo che si lascia interrogare dalla vita e ne domanda il senso è inquieto e tormentato dalla necessità di intuire cosa è chiamato a portare, e perché. L’interrogarsi sul proprio senso e destino non rimane però slegato dall’orizzonte storico collettivo al quale si appartiene. Lo spirito poetico è per questo tanto universale quanto profondamente legato al suo tempo. Universale nei valori assoluti di cui si fa espressione, e storico nella peculiarità specifica in cui questi valori si manifestano nel loro tempo.
Come si allaccia quindi la potenza della vita nella quale sono immerso e nella quale afferro il senso del mio destino – nella misura stessa del mio comprenderla –, come si intesse quindi la mia storicità con tutti i valori che essa nel suo svelarsi mi manifesta con l’incedere del tempo storico-collettivo che sto vivendo?
Lasciandoci ispirare dalla poesia di Hart, che scorge non a caso proprio nel sepolcro il luogo di un nuovo fiorire, per lasciare emergere lo spirito poetico-creativo che dimora in noi, dovremmo prenderci la responsabilità di far nascere un nuovo Io, che sia davvero capace di un’azione dirimente. Un Io che finalmente liberato da antichi dolori e paure, sia finalmente in grado di lasciar fluire tutta l’energia sbloccata incanalandola in un’azione creatrice inedita e risanatrice, illuminante quanto costruttiva.
Nell’epoca storica in cui viviamo l’uomo è chiamato necessariamente a ri-nascere, a ri-sorgere non solo quindi per una ricerca interiore fine a se stessa ma per dare origine a una nuova comunità, come lo stesso Hart aveva intuito. Una comunità di uomini e donne che hanno compreso l’urgenza fortissima di una rinascita individuale e collettiva insieme.
Ma forse la prima domanda da porci è: quanto è importante e soprattutto perché è importante non lasciarmi agire dalla vita ma viverla in pienezza scorgendo nelle pieghe del suo incedere un significato profondo? Perché questa ricerca di profondità e assoluto mi sospinge a non cedere alla tentazione dell’inerzia?
Questo anelito struggente (Sehnsucht) è l’anelito a un infinito che già custodiamo ed è questo forse che continuamente ci richiama, seppur ostacolato e offuscato dai confini della nostra condizione terrena. E l’uomo come intermediario tra finito e infinito non può esimersi quindi dal creare, e ripensare continuamente il mondo che abita, creando con il suo pensiero cultura e civiltà, continuamente, incessantemente, in ogni momento in cui il pensiero afferra se stesso e pensa al suo stesso pensare.
Rispondere a questo appello è quindi una responsabilità che ci richiama più direttamente al significato profondo di ciò che sentiamo premere in noi e che corrisponde allo stesso tempo all’azione concreta che di riflesso saremo capaci di realizzare:
Qui fluttua la luce e brillano sementi fresche.
Grazie Maila,
molto bello.
La paura di scendere
in quelle profondità, di mollare
la presa, e lasciar essere può essere
addolcita, fluidificata,
per consentire ad una nuova
speranza di emergere,
e con essa una umanità poetica.
Ciao
Francesco
Parole precise, parole poetiche. Grazie, carissima Maila. Marco
Grazie a voi amici cari, perché è insieme con voi che sto concretamente sperimentando ciò da cui le mie parole si sono ispirate.
Il canto dell’umanità, una immagine bellissima ed evocativa, un canto da ricercarsi attraverso la voce di un poeta (che non conoscevo), e attraverso una percezione da risvegliare in noi, questo appello alla responsabilità di ognuno, è la tua opera di intermediazione che mi sembra perfettamente riuscita!
Lo è certamente per me! Grazie
Grazie Grazia,
è bello sentire quanto le parole di un poeta siano davvero senza tempo e ci richiamano ad ogni momento a lasciarle risuonare dentro di noi per rivelarci qualcosa di inedito, che ci riguarda e allo stesso tempo riguarda l’umanità tutta. Parole che sicuramente indicano i passi da compiere per far emergere via via tutti gli stati dell’ io, da quello bellico e difeso a quello più creativo e relazionale. Sappiamo poi quanto oscilliamo in questo cammino ma la parola poetica ci ricorda la rotta.
Grazie e un abbraccio