L’uomo. Ecco il grande escluso dalle teorie cosmologiche che ci stiamo lasciando alle spalle. Ecco il grande furto a cui urgentemente porre riparo, l’immenso impoverimento da sanare al più presto: c’è da riconsegnare il cosmo all’uomo. Dare all’uomo – ad ogni uomo – un modello di universo comprensibile, pensabile, lavorabile. Raccontabile, declinabile perfino sui social. E soprattutto, portatore di senso.
La partita è fondamentale, decisiva: in effetti, è questo il vero campionato del mondo, o meglio dell’universo. Un cosmo non raccontabile è qualcosa che proprio non ci possiamo più permettere: è un cosmo in cui il disagio di non poter tracciare una storia diventa angoscia, timore del nulla, si veste di senso di impotenza, si colora di paura dell’ignoto. Un universo in cui siamo spersi: dispersi, per essere più pilotabili. Te la raccontano così, in effetti: sii buono e possibilmente, un quieto cittadino, buon consumatore, rimani pure nella tua quieta disperazione. Tanto cosa puoi sperare, lì fuori è tutto freddo e buio, non vedi?
Ebbene, è il momento di dire basta. Da tutto questo, da questo scenario malato, sconfessato ormai dalla stessa scienza cosmologica, dobbiamo e vogliamo evolvere.
Come da piccoli, la voce del papà e della mamma scavavano un percorso rassicurante nel buio della notte, confortando il nostro cuore impaurito, così l’umanità è sempre “piccola” – ovvero sempre in crescita – e desiderosa di ricavare un sentiero nella vastità dello spazio: per vedere il buio non più come oscurità, ma come un silenzio trattenuto, delicatamente trapuntato di stelle. Come scrivono Leonardo Boff e Mark Hataway, nel volume Il Tao della Liberazione, “abbiamo smarrito una narrazione onnicomprensiva che ci dia l’impressione di avere un posto nel mondo. L’universo è diventato un luogo freddo e ostile, in cui dobbiamo lottare per sopravvivere e guadagnarci un rifugio in mezzo a tutta l’insensatezza del mondo”
In breve, la cosmologia contemporanea, quella più avveduta, ha questo grande compito: riportarci verso un cosmo a misura d’uomo, ovvero un cosmo incantato. Scrivono infatti gli stessi autori, che “l’umanità si è in genere considerata parte di un cosmo vivente intriso di spirito, un mondo dotato di una specie di incanto.” In questo modo il nuovo cosmo non potrà che riflettere la nuova scienza, quella che riporta l’essere umano non solo al centro del processo cognitivo, ma al centro stesso dell’universo che vuole indagare.
Questa rivoluzione cosmologica non avviene oggi “per caso”, ma è stata preparata da una profondissima crisi all’interno della stessa scienza più rigorosa, crisi che ha visto lo scardinamento e il tracollo della visione meccanicistica cartesiana (funzionale peraltro ad un approccio di dominio e non di relazione) sospinta dall’avanzare delle visioni – potentemente dirompenti – della fisica relativistica e della meccanica quantistica. Non è questa la sede per indagare la portata di tali eventi concretamente rivoluzionari, dobbiamo appena comprendere il loro di stimolo potente verso le istanze di un ricominciamento totale, anche nella scienza.
Questo ricominciamento, questo reincantamento, possiede in sé l’urgente necessità di comunicarsi a tutti gli uomini, perché tutti noi siamo comunque vittime di questo “furto del cielo”, perché noi tutti soffriamo di questa ferita aperta. E’ un risarcimento che si vuol proporre, in altre parole. Urgentissimo, perché già tardivo. Una impresa di questa natura deve rivestire il carattere deciso di modernità, ovvero avvenire attraverso ogni canale informativo: ad esempio, non è ormai nemmeno pensabile, senza il coinvolgimento attivo dei social media.
C’è dunque un messaggio, il nuovo cosmo “a misura d’uomo”, e c’è la necessità urgente di rilanciarlo attraverso i canali privilegiati della connessione informatica, così pervasiva ad ogni livello di istruzione e in ogni ambiente. Anzi, potremmo addirittura ribaltare la questione, sostenendo che questa facilità immensa di comunicazione è nata esattamente nell’attesa, nell’imminenza di un messaggio “planetario” da trasmettere. Così comprendiamo perché, con Facebook, Twitter e gli altri social media – che a loro volta si appoggiano a questa straordinaria innovazione che è Internet – siamo arrivati ad una capacità di connessione sbalorditiva, proprio nell’imminenza di questo momento di crisi.
Il rischio allora è che questa capacità di contatto e condivisione, questa inedita potenza di fuoco possa rimanere senza un messaggio profondo da veicolare. Sarebbe pericolosissimo, perché l’assenza viene sempre colmata, in qualsiasi modo, a qualsiasi prezzo. Lo vediamo nei giorni presenti, dove diviene sempre più difficile estrarre un contenuto di valore dal rumore di fondo di ogni schermata di Facebook. Il valore, ovvero tutto quel che invita a riflettere e ad approfondire, rispetto alle innumerevoli “chiamate” alla reazione immediata e superficiale.
Tutto questo presenta conseguenze dirette – tra l’altro – anche nell’educazione, quel processo delicatissimo che deve anch’esso tornare ad un incanto primordiale, ad un ambiente protetto e non giudicante dove la creatività dei ragazzi è esaltata. A noi dunque la scelta di subirlo, questo cambio di pelle, di rimanere frenati in questa urgenza del nuovo, sempre più a fatica, oppure di lanciarci, di scommettere finalmente su un vero rovesciamento di prospettiva.
Alla fine, è una decisione, a cui siamo chiamati. In questa proposta interpretativa non c’è più il “caso”, ma tutto avviene per un senso, e la percezione di un modo “incantato” di guardare l’universo richiama ad un modello d’uomo che non è più vittima della tecnica, perché – in ultima analisi – non è più prigioniero del nichilismo.
Un uomo che possiede (in un possesso dinamico, per invocazione) un senso delle cose, è un uomo che automatica-mente manipola ogni oggetto, ogni tecnica, con una coscienza diversa, che porta nuovo frutto in quello che fa, perfino al tempo speso sui social. Non ci serviranno dunque decaloghi e regole d’uso per recuperare una dimensione umana in Facebook: ci salverà piuttosto la percezione di un cammino fatato, di un percorso possibile verso quel “Regno” dove tutto diventa anticipo e possibilità d’espressione nuova, di creatività inedita ed insperata. Dove la scienza si sposerà con un uso equilibrato e sobrio del mezzo informatico, recuperato nella sua autentica dimensione di strumento, e non di fine. In altri termini, ripreso a servizio.
Questo è il compito che abbiamo davanti, questa è una precisa responsabilità di chi, a vario livello, si occupa di fare scienza, o di divulgarla. Questo, con le sue piccole forze (che poi è sempre questione di risonanza, non di forza bruta), è anche il fine che il gruppo culturale AltraScienza si è prefisso, fin dalla sua formazione. Che vuole appunto declinarsi anche su Facebook, e su Twitter.
Per meno di questo non vale la pena muoversi, credetemi. Per meno di questo, non mette conto ripensare creativa-mente l’impresa scientifica. Nessun gioco al ribasso ormai ci è possibile, in questa epoca di grande cambiamento. O meglio, in questo cambiamento d’epoca. Tenendo in debito conto che, per usare le parole di Thomas Berry, “a noi non mancano le forze dinamiche per costruire il futuro. Viviamo immersi in un oceano di energia inimmaginabile. Ma questa energia, in definitiva, è nostra non per dominio ma per invocazione”.
Queste dunque sono le coordinate del gioco. Enorme, smisurato. Grazie al cielo, splendidamente al di sopra della nostra capacità. Così che sia più dolcemente chiaro, appunto, che tutto è alla nostra portata, sì, ma per invocazione. Infine, a chi riguardasse questo come bello, ma utopico, permettetemi di rispondere con un motto del ‘68 francese, molto amato sia da scrittori laici come Albert Camus che da personalità religiose come Don Luigi Giussani: “Siate realisti, domandate l’impossibile”.
Caro Marco,
è vero, quanto è grande l’invocazione!
proprio oggi si ricorda:
Mt 9,18-26.
« Le prese la mano e la fanciulla si alzò »
Un affettuoso saluto a tutti ricco di vita e di tanta energia cosmica
Fabio.
Sì, ora io ho proprio bisogno di “un universo raccontabile” anche con parole semplici, comprensibili e non illusorie e infantili. E quindi di un universo a misura d’uomo:
La lettura di un libretto divulgativo “L’universo oscuro” di Andrea Cimatti mi ha lasciato sconcertata: prima guardavo il cielo stellato con meraviglia e stupore, ora temo che lo guarderò con paura e forte imbarazzo; non solo perché, data la mia incompetenza, mi è incomprensibile, ma anche perché mi sconvolge il concetto di infinito che vi domina: posso io concepire, farmi comprensibile, addomesticare l’infinito, che non ha limite, che è completamente fuori da ogni esperienza umana? Per quello che finora so, avverto l’infinito completamente non abbordabile e quindi spaventoso, minaccioso .
Se oltre quelle poche stelle che riesco a percepire a occhio nudo, se oltre quello spazio-tempo che riesco a immaginare, seppure a fatica, c’è infinitamente qualcosa e ancora qualcosa, dove posso sostare, fermarmi , stare e riposare? Mi resta solo una tormentosa inquietudine! Non so dirmi niente di rassicurante e allora anche la bellezza del cosmo mi sfugge . e preferisco pensare ad altro, magari passare in rassegna le opere dell’uomo, belle o brutte che siano, ma sempre più comprensibili. Rassegnarmi all’impotenza del pensiero e dell’immaginazione nell’ambito dell’infinito mi addolora. Mi puoi suggerire qualche altra pista di percorso? Grazie, mariapia
Sì, ora io ho proprio bisogno di “un universo raccontabile” anche con parole semplici, comprensibili e non illusorie e infantili. E quindi di un universo a misura d’uomo:
La lettura di un libretto divulgativo “L’universo oscuro” di Andrea Cimatti mi ha lasciato sconcertata: prima guardavo il cielo stellato con meraviglia e stupore, ora temo che lo guarderò con paura e forte imbarazzo; non solo perché, data la mia incompetenza, mi è incomprensibile, ma anche perché mi sconvolge il concetto di infinito che vi domina: posso io concepire, farmi comprensibile, addomesticare l’infinito, che non ha limite, che è completamente fuori da ogni esperienza umana? Per quello che finora so, avverto l’infinito completamente non abbordabile e quindi spaventoso, minaccioso .
Se oltre quelle poche stelle che riesco a percepire a occhio nudo, se oltre quello spazio-tempo che riesco a immaginare, seppure a fatica, c’è infinitamente qualcosa e ancora qualcosa, dove posso sostare, fermarmi , stare e riposare? Mi resta solo una tormentosa inquietudine! Non so dirmi niente di rassicurante e allora anche la bellezza del cosmo mi sfugge . e preferisco pensare ad altro, magari passare in rassegna le opere dell’uomo, belle o brutte che siano, ma sempre più comprensibili. Rassegnarmi all’impotenza del pensiero e dell’immaginazione nell’ambito dell’infinito mi addolora. Mi puoi suggerire qualche altra pista di percorso? Mariapia
Carissima Maria Pia,
premetto che non ho letto il libro del collega Andrea Cimatti, dunque posso svolgere solo considerazioni generali.
Io direi, prima di tutto, che è lecito – da ogni punto di vista, anche scientifico – tornare a guardare il cielo stellato con meraviglia e stupore. Einstein, uno che di fisica un po’ se ne intendeva – diceva che chi non ha meraviglia è come se fosse già morto! Lo stesso monito rimbalza da altri grandi fisici, assolutamente rigorosi nel loro lavoro, come Richard Feynman. In generale, il cosmo rispetta e rilancia la libertà dell’approccio dell’uomo verso il reale: è l’attitudine fondamentale con cui guardiamo, se con stupore/tremore o con arroganza/disperanza.
Pensa che bella la nostra libertà, pensa quanto Dio si fida di noi!
Possiamo pensare “sono spersa in una moltitudine infinita e a me indifferente…” oppure “che cosa mirabile che tutto questo sia stato creato per me, proprio per me!”. Siamo liberi di introdurci in ognuna di queste ipotesi. Attenzione però che scegliere l’una o l’altra ha molte conseguenze! Se la prima ci porta verso un materialismo disperante e ultimamente funzione del potere mondano, rendendoci più vuoti e quindi “controllabili”, il secondo atteggiamento ci riempie il cuore di meraviglia, poveretti e fragili come siamo. E ci dà forza. Perché è una cosa che rivolta proprio la testa, l’idea che tutto questo sia fatto per noi!
Ma non è una pazzia, non è troppo bello per essere vero (frase assurda e diabolicamente pessimista, perché una cosa “troppo bella” che riusciamo a pensare in realtà non può che essere assolutamente vera…!). E’ quella “nuova cosmologia” che riprende – in modo avveduto – la sapienza antichissima dell’uomo, e lo fa in modo convincente anche dal punto di vista scientifico.
L’uomo è sempre entrato nel cosmo con l’ipotesi che fosse “per lui”, ovvero che fosse pieno di senso e in contatto con la sua avventura sulla Terra. L’aberrazione è stata pensare il contrario, semmai, nel tentativo di rendersi autonomi e liberi “scivolando verso il basso”, nella “angosciosa illusione dell’autonomia” (Giussani) che sostanzialmente avviene con un atto di sfiducia, di un illuminismo malinteso. Libertà non è assenza di legame, ma riconoscimento di un legame forte. Se sono legata al cosmo, all’Essere, allora mi sento veramente libera!
I riferimenti bibliografici sono molteplici, a cominciare dai capitoli dedicati alla cosmologia nel “Tao della Liberazione” (che si possono anche leggere in maniera autonoma rispetto al resto), ma anche i libri di scienziati come Fritjof Capra (“Il Tao della fisica”, “La rete della vita”, “Il punto di svolta”…). Perfino l’opera di scienziati agnostici come Carlo Rovelli, che ammette che alla base di tutto non c’è un “mattone fondamentale” (il sogno di ogni bravo meccanicista cartesiano) ma una “rete di relazioni” ci aiuta a superare antichi pregiudizi e modi di pensare ormai superati.
Insomma, anche qui è un lavoro iniziatico. Liberarsi dal modo di pensare ottocentesco è difficile, per il principio di inerzia, e per quel “peso” che ci trascina in basso. Elevare la frequenza è possibile, anche se non sempre viene facile. Ma nessuna rivoluzione sarà possibile senza un modo rivoluzionario e fresco di intendere il cielo.
Quando guardi le stelle, le infinite moltitudini di galassie… pensa che tutto questo è “per te”.
E nessuno, mai nessuno, potrà dimostrarti il contrario!
Un abbraccio 😉
Caro Fabio, grazie per il tuo commento!
Sono lieto della tua vicinanza affettuosa… procediamo insieme, in questo universo così pieno di sorprese.
un abbraccio
Grazie, caro Marco! Ricorderò soprattutto l’espressione di Giussani:” L’angosciosa illusione dell’autonomia”; è una tentazione sempre da vincere! Mariapia
Sì Maria Pia, penso che Giussani l’abbia espresso con grande efficacia! Me la ricordo sempre anche io, per focalizzare una certa attitudine, una certa tentazione sempre presente nel cuore umano. L’affidarsi è la chiave, allora, “l’umiltà anegoica del credere e del seguire” (Marco Guzzi stavolta)… un lavoro bello, sempre da riscoprire…
Molti anni fa, mentre ero seduto in casa, a fantasticare, sono stato, per un attimo, come trascinato nello spazio nero e infinito, in mezzo alle stelle e alle galassie. Poi un istante dopo, sono ripiombato giù sulla Terra, ma con ancora negli occhi quella immensità abbagliante e quindi conscio delle mie reali dimensioni e della proporzione che c’è tra l’infinito e il mio corpo.
E il mio Io, ferito nell’orgoglio, cercava qualcosa da opporre, si ribellava alla sua pochezza.
Le sensazioni erano state così forti che avevo scritto queste parole.
Mi sono visto, io,
piccolo e insignificante
un grumo di sangue e di sensazioni,
di fronte all’immenso universo
immenso ed eterno
e non avevo nient’altro.
“L’angosciosa illusione dell’autonomia”
Caro Marco come sono vere queste parole e quanti anni occorrono per iniziare a capire che l’IO non va rafforzato ma sciolto, ingentilito, reso sorridente, accogliente.
Un abbraccio
Grazie Aldo, per il tuo bel commento.
E’ interessante, che in molti modi, ritorna in noi quella sensazione di “piccolezza” rispetto alle dimensione enormi del nostro Universo (e poi, ce ne saranno altri? e quanti e quanto grandi?). Proprio quella che nel tuo commento è preziosa occasione per il lavoro di scioglimento…
Un’aiuto potrebbe anche essere quella di capire la parzialità del ragionamento. Ovvero, quando noi ci sentiamo “piccoli” nell’Universo, stiamo ragionando sulla base di un solo parametro, che sono le dimensioni spaziali. Eppure è un parametro assolutamente parziale, e mendace. Se ragionassimo sul parametro “consapevolezza”, avremmo operato una rivoluzione totale, di schianto! Chi è più mirabile, un piccolo gattino o un quasar smisurato? Chi ha più consapevolezza o chi è più esteso?
Secondo me il gattino vince. E l’uomo, certo, vince sul gattino (se poi se ne prende cura, ancora di più…)
In altri termini: assumendo i parametri corretti, questo Universo si rivolta come un guanto e ci fornisce un campo da gioco fantastico, dove noi siamo al centro. Per invocazione, appunto, mai più per dominio.
Che poi sia smisurato, è la confortante dimostrazione che non vigono i principi dell’economia, su scala cosmica.
L’Essere creatore non ha problemi di budget…. Ogni atto creativo, in realtà, è sempre una risposta sovrabbondante.
Un abbraccio
Se guardiamo l'”Uni-verso” con gli occhi della mente ci resta solo il terrore di essere polverizzati.
Ma l’uomo è tale per cui può andare oltre la dimensione quantitativa, e non ha bisogno che il suo cervello sia grande come una casa o una montagna o un continente intero, ma basta che lo colleghi al cuore.
L’uomo è la coscienza dell’universo.
L’universo ha espresso la sua coscienza attraverso l’uomo.
Ma non è solo questo che è già grandioso, ma è molto di più.
L’uomo è capace di amare.
L’uomo è il cuore dell’universo che ama.
E se capovolgiamo l’ottica e oltre a guardare abbiamo consapevolezza di essere guardati, di essere in relazione?
” Cosa è l’uomo perchè lo ricordi?” ( Salmo 8-5 )
Allora scompare la paura del nostro piccolo io egoico, e possiamo scoprire il senso di ognuno e del tutto, ed è gioia, è incanto, e se vogliamo, liberamente, può essere lode e rendimento di grazie.
Tutto sta nella nostra scelta, libera.
Ringrazio tutti per la ricchezza delle riflessioni, GianCarlo
L’Universo raccontabile, un bel tema, peraltro c’e’ sempre stata l’opera di divulgazione della scienza, almeno tra gli astronomi: basta ricordare i libri di Camille Flammarion ‘Astronomia popolare’ seguito da ‘Le Stelle e le curiosita’ del Cielo’. Le conoscenze umane sono ormai ben al di la’ delle possibilita’ di un singolo individuo, non possiamo essere Pico della Mirandola.E non e’ detto che possiamo riuscire a gestire tutto cio’.
Grazie Roberto per il tuo commento!
Hai ragione, c’è sempre stata l’opera divulgativa della scienza. E tanto più deve esserci oggi, visto appunto che la mole di conoscenze ha superato di gran lunga le possibilità di ogni singolo individuo! Credo che l’impegno sia, come accennato nel testo, di divulgare in maniera non fintamente asettica, ma veicolando appunto un messaggio (non dogmatico) di costruzione e di speranza, che è poi un messaggio autenticamente scientifico.
Un caro saluto,
Marco