Parigi: aeroporto Charles de Gaulle. In tutta coerenza con la maestosità del personaggio a cui è intitolato, la costruzione è colossale, labirintica, lasciare l’auto a nolo, presa all’inizio della vacanza, ci costa quattro volte il periplo dell’aeroporto, dobbiamo salire su un trenino, affrontare diversi tapis roulants, camminare e camminare, infine eccoci al terminal 2 F, da lì parte il volo per Roma. Sfiniti ci sediamo in una poltroncina incapaci di distogliere lo sguardo dalle migliaia di persone che sfilano accanto, davanti, dietro a noi, in un carosello che sembra non avere fine. Ne sono infastidita, chiudo gli occhi. Potrei meditare – mi dico – c’è molto tempo prima del decollo, quale occasione migliore per praticare?
Mi sistemo comodamente e inizio le fasi preliminari, cerco consistenza nel corpo, comincio dai piedi, li muovo leggermente per sentirli meglio ma dal mio compagno di viaggio mi arriva l’accenno di una gomitata. Non ti muovere, guarda! Apro gli occhi e vedo che vicino ai miei piedi, sulla moquette color vinaccia, c’è un passero! Incredibile ma è proprio un passero, di quelli che vediamo nei giardini, sugli alberi, è lì in basso e confonde la sua leggiadria inconsapevole con l’urgenza concreta dell’umanità che corre intorno a lui, sta fermo qualche secondo, forse deliro ma sembra che stia guardando proprio me, poi decolla di scatto quasi in verticale, e si allontana con un volo lungo, attraversando il terminal nella sua lunghezza, radente il capo della gente, così veloce e così piccolo che quasi nessuno se ne accorge, in breve scompare.
Porca miseria, come ha fatto un uccellino a rimanere intrappolato lì dentro? E il pensiero successivo è: come cavolo esce adesso da questo mastodonte labirintico? Non ce la fa, non ce la può fare. Una stretta al cuore, nulla è così legato alla natura come un uccello, come può volare in un cielo finto e nidificare su alberi di ferro? Bè – commenta il mio compagno, come se mi avesse letto nel pensiero – non sarà il massimo, ma qui di spazio per volare ce ne ha, e con tutti i punti ristoro che ci sono, magari trova anche qualche cosa da mangiare.
Mi sforzo di trovarlo ragionevole. Mi stacco dal cordoglio per la sorte dell’uccello e riprendo il mio tentativo di meditazione. I piedi… le caviglie… i polpacci… vengo salendo lungo il corpo cercando di ricrearne l’unità interiore, arrivo alle ginocchia e sono fermata da un pensiero che sembra avere una forma di urgenza: però … da dove potrebbe uscire? C’è in tutto l’aeroporto un pertugio attraverso il quale il povero passero potrebbe volarsene? Apro gli occhi e mi guardo intorno, le pareti sono ermetiche, non si può neanche supporre un’ apertura, però lassù forse, alla sommità, là dove si incrociano le due parti concave di quella gigantesca conchiglia di vetro, forse là c’è una fessura.
È la bambina interiore che interviene, lei, che è capace di operazioni di magia, mi collega telepaticamente con il passero: guarda che puoi provare ad uscire lassù – gli dico – vedi dove c’è quello spazio? Ecco lì, così, vola via! La bambina… lei crede di potergli essere d’aiuto così, convinta com’è che l’immaginazione sia creatrice. Ora sì, finalmente pacificata, posso ritornare alla meditazione.
Ma di nuovo il gomito del mio compagno, mi riporta alla realtà. È passato qui vicino, proprio ora. Esploro con lo sguardo tutt’intorno, non lo vedo, ma neanche riesco a riprendere la meditazione, e allora tanto vale ragionarci un po’: non puoi dare tutta questa importanza a un passero – mi dico – in questo gigante di ferro che importanza può avere? E poi pensa a tutti i milioni di passeri esistenti, a tutti gli uccelli che stanno in gabbie molto più piccole di questa, a tutti gli uccelli del mondo, a tutti gli animali che vivono in una natura spesso ostile. E la Grecia in fiamme?
Mi ricordo improvvisamente di un post letto la mattina, dove si diceva che “oggi moriranno di fame 24.000 persone, di cui 8 mila bambini sotto i cinque anni, c ’ è uno sterminio ininterrotto nel mondo ” , che importanza può avere la vita di un passero? Non sarà un attacco di maglietta rossa? Le critiche ricevute dall’iniziativa in favore dei migranti, spingono all’equazione: maglietta rossa = sentimentalismo. “Una lacrimuccia ad orologeria” suscitata da un automatismo?
Ricordo l’episodio di Hitler che piangeva per le sorti di un pettirosso morto sul suo davanzale. Bisogna farsene una ragione, è solo un passero, nel mondo c’è ben altro. Ma l’inquietudine si approfondisce e il disappunto per quel passero che vola alla cieca tra cavi di acciaio e un orizzonte di plastica, cercando inutilmente una via per ritornare all’azzurro, quanto più cerco di contenerlo, tanto più si ingigantisce, finché diventa un dolore forte che si allarga dentro e allaga la coscienza.
Quell’evento insignificante, se paragonato ad altri ben più carichi di sofferenza, diventa il paradigma stesso dell’ingiustizia, e nonostante il mio sguardo resti severo, non riesco a frenare il pianto, nella sua condizione vedo riassunte tutte le ingiustizie e le pene del mondo. Allora prendo la bimba per mano e per tutta la lunghezza del terminal, spargo briciole sui corrimani, sui ripiani alti, poi colloco ciotoline d’acqua qui e là, in vista dall’alto. Almeno potrà dissetarsi e mangiare.
In parte pacificata dall’aver fatto qualcosa di utile, mi siedo e ancora non mi accorgerei, se non fosse per il mio compagno, che di nuovo il passero si è fermato lì, ai miei piedi. Saltella a piccoli balzi, guardandosi intorno, certo è proprio piccolo! Tiro fuori dalla borsa i biscotti e gliene sbriciolo uno davanti al becco, mi muovo piano temendo di spaventarlo, lui si avvicina e ingoia le briciole, poi ne prende una più grossa e tenendola stretta nel becco vola via, nella vastità di quello spazio. Il mio sguardo lo segue.
Il mistero e la dolcezza di quella nostra strana comunicazione ora mi si chiarisce e mi indica che è da evitare la classifica dei mali del mondo, che non si può scegliere per che cosa empatizzare, che la maglietta rossa ha una bellezza che non tutti vedono. Durante l’imbarco racconto del passero all’impiegato, gli chiedo se non sia possibile aprire qualche varco, lui risponde che sì, ogni tanto capita che un uccello rimanga prigioniero, che aprirà qualcosa. Forse è una formula per tacitarmi.
A bordo non faccio in tempo ad appoggiare la testa che mi addormento, forse ancora in decollo sogno, sogno di un passero rimasto prigioniero all’aeroporto Charles De Gaulle a cui, il generale stesso, nella maestà della sua uniforme ma con sguardo intenerito, apre un’intera parete di vetro, l ’uccello attirato dalla luce, velocissimo saetta attraverso quell’apertura, le alucce strette al corpo, il becco alto, ascende nel cielo libero, nell’aria, nel sole! Grazie generale!
“Il patriottismo è quando l’amore per la tua gente viene per primo; nazionalismo è quando viene per primo l’odio per quelli diversi dalla tua gente.” C. De Gaulle
Quanta poesia in questo tuo post, cara Grazia!
GRAZIE.
Anch’io nella mia vita ho incontrato tanti passeri prigionieri, per i quali non riuscivo a darmi pace…
Personalmente credo che in queste situazioni, oltre a cercare di liberare il passerotto, non c’e’ molto di concreto che si possa fare, anzi a volte agendo si fa anche peggio… e se liberando il passerotto questo rimanesse intrappolato nell’elica di un aereo? …
In fin dei conti il giudizio di giusto e ingiusto rimane fondamentalmente un giudizio terreno. Non vedo altre alternative, almeno per me, oltre all’affidarmi alla Vita e ricordarmi che cio’ che conta non e’ tanto l’azione (o l’inazione) rispetto ad una determinata situazione, quanto la coscienza da cui essa scaturisce (o non).
un affettuoso abbraccio
Grazie Grazia per la poesia di questo racconto ma mi stavo chiedendo prima di dedurre che fosse prigioniero non hai pensato che forse viveva lì…a volte si riesce a sopravvivere anche in luoghi ostili se sappiamo accogliere…a me è sembrato che lui ti stesse accogliendo…non perdere la tua essenza anche in mezzo a un luogo che ti è alieno…forse era questo il messaggio…
Cara Lea, è sempre un piacere leggere ció che scrivi, anche solo nelle risposte, grazie dell’apprezzamento e anche di ricordarmi quanto sia evolutivo, per la coscienza, l’accettazione dell’esperienza, per quanto dolorosa sia, auguri per i tuoi passeri è un grosso abbraccio. Grazia
Angela ciao, grazie della tua lettura del fatto, arricchisce di altre sfumature le possibili interpretazioni e incoraggia a non perdere comunque di vista l’essenziale. ?
Cara Grazia,
mi sembra che la compassione vera, quella del buon samaritano, è sempre legata a un momento preciso e a una persona precisa (o uccellino che sia): c’è un kairòs, un istante che ci coglie improvvisamente e ci dona uno sguardo nuovo e più profondo sulle cose. Questo è ciò che descrivi bene e che hai vissuto a Parigi.
Ed è proprio il contrario di un “attacco di maglietta rossa”, quell’indignazione istituzionalizzata e ‘a comando’ che invece rischia di essere qualcosa di ideologico e falso, lì dove il sentimento-sentimentalismo non nasce da uno stato di integrità (quello che a fatica cerchiamo di realizzare anche nel percorso dei Gruppi Darsi Pace), ma paradossalmente da un rafforzamento delle difese che non tengono conto della complessità delle cose.
Il sospetto per la lacrimuccia a orologeria, per lo sdegno umanitario solo per alcune tragedie ben pubblicizzate dalla TV mi sembra più che giustificato e non penso che abbia a che fare solo con un bieco nazionalismo.
Mi unisco all’augurio di un volo di libertà per il passero e per la bambina che è in ciascuno di noi, in questo agosto doloroso.
Paola
Cara Grazia,
l’attesa all’interno di un aeroporto pieno di distrazioni prima della partenza, l’ incontro con il passero e con la bambina interiore che si prende cura di lui e poi il sogno durante il volo mi riportano l’ esperienza che vivo nella pratica meditativa.
Spostando l’attenzione sul corpo e ascoltandolo riconosco sempre meglio la costruzione colossale e labirintica che mi ingabbia e il piccolo passero che desidera spazi più ampi; è vero che all’interno dell’aeroporto può trovare da mangiare, ma lui sente altro, desiderio di partenza, di uscita dalla ristrettezza. La bambina lo ascolta crede di potergli essere di aiuto e lo nutre. Tutte parti mie, tanti pensieri da riconoscere e lasciare andare.
Non si tratta di maglietta rossa, ma di un tornare piccola, capace di abbandonarmi sfidando la ragionevolezza e credendo ad un oltre ignoto eppure conoscibile proprio nella fiducia e nell’abbandono.
Così inizia il volo di ritorno, nel volo il sogno e nel sogno la liberazione: il cielo azzurro e immenso è dentro di me e posso respirarlo.
Nell’ultimo anno del percorso Darsi pace che tra poco inizieremo contempleremo un volto, non quello di un generale, ma di un padre benevolo che da sempre ci ama e attende paziente la nostra decisione di spiccare il volo per farci camminare sulla terra con la leggiadria del passero consapevoli della sua presenza in noi.
Grazie e a presto.
Ti abbraccio, Giuliana
Grazia Gavioli, thank you ever so for you post.Much thanks again.
Cara Grazia, e’ molto bello cio che hai scritto anche io sono passata per l aereporto GDG ultimamente ma cio che mi ha colpito non sono i passeri ma i mendicanti stesi a terra , questo assume un aspetto meno poetico .
Un saluto
Silvia
Care tutte,
Siete patetiche , andate a Parigi , vi crogiolate nei vostri soldi e poi scrivete “24.000 ” persone muoiono di fame e tutto ” il gregge ” di darsi pace si congratuala con i vostri manca spirito critico ; in questi casi la mente e’ “resettata” da cio che vi viene “insegnato/imposto”
Un abbraccio
Catia m.
Mi sembra che l’uccellino in aeroporto fosse solo lo spunto per una riflessione su di sè e sulla persona.
Per quanto riguarda i poveri stesi a terra, teniamo presente che chi va a chiedere l’elemosina nel centro di Roma o di Parigi o di Londra, può essere un povero vero, da aiutare, ma spesso si tratta di furbi organizzati perfino in mafie.
I poveri veri, e purtroppo sono tanti, sono pieni di dignità e raramente si inginocchiano sui marciapiedi delle metropoli.
La signora Catia può sperimentare di persona che a Parigi o a Berlino ci va una marea di squattrinati che, per fortuna, possono fare voli A/R con poche decine di euro.
Era vero in passato che il mondo lo giravano solo i miliardari alla Berlusconi o alla Benetton, o come quegli architetti che hanno costruito i mostri del Corviale a Roma o il ponte crollato a Genova. (Architetti che hanno realizzato urbanistica di degrado delle periferie disumane e ponti insanguinati, e che oggi vengono ancora elogiati per le loro opere progressiste e “futuriste”, mentre dovrebbero essere censurati per la loro ideologia arrogante e disumana).
Mi dispiace non tanto essere definito “gregge”, perchè non lo siamo, ma che Catia possa pensare che i praticanti di Darsi Pace subiscano imposizioni: venga anche lei, e potrà sperimentare con noi tante cose belle, ed in primis la libertà.
Giancarlo
Catia,
Primo, ti pregherei di non scrivere “care tutte” o “un abbraccio” se poi nello stesso messaggio ci insulti dandoci delle “patetiche” e del “gregge”. Stona proprio…
Secondo, mi chiedo dove prendi l’autorita’ di giudicarci.. “vi crogiolate nei vostri soldi” ma che ne sai tu della nostra storia? che ne sai tu dei nostri soldi?
Lo stesso vale per l’accusa di essere “manipolate” o addirittura che ci venga imposto qualcosa…
Ne approfitto per fare una breve riflessione: mi sembra di vivere in un epoca in cui si elogia spesso la capacita’ di criticare, specialmente l’autorita’. Chi invece la dovesse pensare come l’autorita’, viene accusato di “gregge”, di “non avere capacita’ critica”, di “amalgamarsi”.. Come se la critica fosse sempre giusta e fondata. A me questo atteggiamento sembra piuttosto una ribellione infantile. La critica va sottoposta al discernimento, come tutto il resto.
Cara Paola grazie di aver commentato il post, rispondendoti mi dai la possibilità di esprimere in modo ragionato, un po’ di quello che sento e penso sull’argomento immigrazione, un tema molto divisivo a quanto sembra di vedere. Comincio allora da quello che ci unisce, e cioè la montatura mediatica, sono assolutamente d’accordo con te che tutti quelli che i mezzi d’informazione fanno passare per I PROBLEMI del nostro tempo, altro non sono che coperture distrattive, esasperate ripetizioni volte a catturare l’attenzione della gente.
Ma parlando di immigrazione dietro ai titoli in grassetto e ai proclami del telegiornale c’è la tragedia umana di donne e uomini che fuggono da una condizione non più sopportabile per loro. E questa non è retorica buonista nè sentimentalismo a buon mercato. E proprio perchè la loro vicenda non è Il PROBLEMA, la loro integrazione sarebbe possibile se solo la considerassimo veramente. Ma se noi ignoriamo la loro tragedia ci perdiamo in qualità umana e di questa perdita non ci potrà mai risarcire nessuno. Sul piano personale poi, mi infastidisce il dileggio, che rende lecita anche una certa forma di cinismo, mascherato da realismo, con dispiacere ne ho constatato la presenza anche nei nostri post. Ti ho aperto il cuore, cara Paola e per brevità mi fermo qui, un abbraccio.
Cara Giuliana, mi piace molto la tua lettura del fatto, ti confesseró che è sempre anche un mio metodo quello di trasporre gli avvenimenti esterni sul piano interiore, e mi sono interrogata su questo, dunque nella storia, vedo bene il percorso meditativo, e spero come te, che il passero sia presto liberato, magari con l’aiuto di un padre benevolo e amorevole. Un abbraccio grosso.
Caro Giancarlo, grazie di avere risposto per me a Catia e Silvia, e grazie anche a te Lea, lo avete fatto così bene che non mi sembra necessario aggiungere niente se non che forse le due hanno sbagliato blog.
CARE TUTTE
da come scrivete non ci vuole molto a capire che fortunatamente per voi ricoprite un ruolo “alto” nella vita professionale , lavorate, e questo vi permette di fare ” sedute comodamente ” sul vostro capiente stipendio 10.000 e oltre euro queste riflessioni.
Giancarlo ” baronetto universitario” hai trovato un sito che ti rende “figo” per mettete in mostra il tuo sapere intelletuale per il quale onorerai ogni mese circa 10.000 senza gli extra
Un caro saluto a tutti
Catia
Catia, qual’è il tuo problema? Da dove nasce questa rabbia che ti porta a giudicare, a etichettare chi scrive in questo blog senza entrare nel merito dei discorsi?
Nel percorso dei Gruppi Darsi Pace cerchiamo di lavorare sui meccanismi che ci rendono infelici e posso assicurarti che, ricchi o poveri, lavoratori o disoccupati, intellettuali o persone senza una particolare istruzione, siamo tutti concordi nel riconoscere che le relazioni con noi stessi e con gli altri saranno sempre disastrose finché non cercheremo di curarci, di risanarle attraverso un paziente scioglimento di tanta negatività.
Sarebbe bello averti tra noi, se avrai voglia di rinunciare a un po’ dei tuoi pregiudizi.
Un caro saluto.
Paola
Nelle nostre mani
Racchiuse
Raccogliamo tutta l’acqua
Per innaffiare
Le radici del nostro destino
Ciao
Marco M
Mi sono commosso alla lettura del post, che ho accolto come fosse una storia, una sorta di fiaba da raccontare ai bambini, ma che molto ha da dire e da far capire soprattutto agli adulti. È solo con animo di bambino, con quella straordinaria capacità di attraversare i confini della fantasia e del reale, del sogno e della veglia, che credo si possa immediatamente sentire, nelle parole di Grazia, la presenza di una verità profonda. Poi, per chi bambino non è più, per chi crede di non esserlo mai stato o se ne è dimenticato, saranno apprezzabili i ricchi contenuti simbolici e il gradevolissimo modo in cui sono resi. Grazie per questo poetico, ‘onirico’ post. Lo considero un dono speciale, prezioso, da ripercorrere con attenzione, (anche alle eventuali proiezioni delle ombre di noi lettori).
Molto bello, Grazia! Mi conferma che nella vita interiore, quella vera, quella con i suoi “panorami”, non c’è una scala di importanza così rigida e implacabile come quella esterna, come quella “del mondo”. Per cui un passero può occupare il cuore più di tante tragedie, e non è affatto una cosa di cui colpevolizzarci, perché quello è un segnale di un desiderio di riallineamento, credo, di un bisogno di attenzione e di amore, di cura, di cura di sé e degli altri, fin dalle piccole cose. E’ un segno di quel percorso di guarigione psichica, senza il quale nessuna attenzione o carità può essere efficacemente esercitata.
Chi non è attento ai passeri (e io per primo, sempre), come potrà essere attento agli uomini in sofferenza?
Nel mio libro appena pubblicato la prima sezione l’ho voluta proprio chiamare “Elementi del Paesaggio”, di quel paesaggio interiore, così complesso e variegato, e ho anteposto una frase di Etty Hillesum – la “mia” ragazza preferita, compagna di cammino – che dice (la riporto come ho voluto “sincoparla”),
Il mondo interiore è tanto reale
quanto quello esterno. Bisogna esserne
consapevoli. Anche esso ha i suoi paesaggi, i
suoi contorni, le sue possibilità, i
suoi terreni sconfinati.
Ecco. Quel passero parla al tuo, al nostro mondo interiore. E infatti torna a cercarti, a cercarci, vuole stare con noi, ha qualcosa da dirci, parla del piccolo e del nascosto che vince su tutto, sulla grandiosità architettonica e sull’efficientismo moderno. Parla del piccolo, della sua intima maestosità. “Non vado in cerca di grandi cose”, dice il Salmo 130, da anni nella mia “top ten”.
Il passero parla del riposto, del nascosto, dell’eterno. Di ciò che è gentile, inerme, un Dio bambino. Un Dio cucciolo.
Di una strada possibile, ancora possibile.
Grazie.
Cara Grazia, un grazie di cuore anche da parte mia. È vero, c’è una bellezza nascosta che non tutti vedono ( un passerotto, una maglietta rossa), ma chi questa bellezza la sa vedere, si fa promotore di pace in un mondo senza pace e apre varchi inaspettati nelle gabbie in cui l’umanità è rinchiusa e rinchiude chi è diverso e non gli piace. Il tuo passerotto voglio pensarlo libero nel cielo azzurro, a celebrare la vita , con la semplicità che solo gli umili hanno in dote. Un abbraccio
Marco M, la grazia del verso apre all’enigma interpretativo, e anche quando è apparentemente semplice come quello che hai mandato, lascia molte porte aperte. Grazie e ciao.
Andrea, ti sono molto grata delle tue parole di apprezzamento, ma lo sono anche di più perché mi sembra che tu abbia colto proprio lo spirito del post, quello slancio che mi ha spinta a scriverlo, in tempi di facile fraintendimento, ció che dici mi fa credere che comunicare sia possibile. Grazie, grazie, grazie.
Caro Marco C (mi viene da ridere a scrivere Marco C, ma tu capirai il perchè), hai proprio ragione, siamo abituati a dividere il mondo interiore da quello esterno e a considerare l’esterno l’unico reale, ci hanno condizionato a credere che ció che avviene all’interno di noi siano fantasie, questioni evanescenti che vanno e vengono senza che noi possiamo entrarci in alcun modo, invece come tu dici, il passero va ma torna e mi parla ‘del piccolo e del nascosto’ della sua ‘intima maestosità’. Chiede un mio intervento. L’idea di un Dio bambino, di un Dio cucciolo, è bellissima e si riallaccia ad un mio modo di sentire il rapporto con il divino come qualcosa che sta crescendo pian piano dentro di me. Grazie Marco del tuo interessante contributo, curiosa del tuo nuovo libro, ti auguro tanti successi editoriali.
Ciao Monica, grazie a te del bel commento che mi onora, grazie di immaginare, con me, il passero in un libero volo nella vastità del cielo.
Cari tutti, vedo che anche qui, fra un volo e l’altro è uscito il tema dell’immigrazione. Grazia, complimenti per la tua risposta al riguardo, condivido in pieno.
Mi permetto solo di aggiungere che se da un lato il sentimentalismo a bacchetta è falso (nel cuore di chi lo comanda, ma comunque mi astengo dal giudicare i cuori), non è detto che sia altrettanto falsa la solidarietà concreta di chi non si riconosce nelle parole di guerra di una certa politica e che quindi non sta né con la vecchia classe politica, né con un certo ministro.
Un post davvero bello e poetico che mi ha portato a cercare una poesia di Marco Guzzi dal libro “Nella mia storia Dio” ed Passigli pag 131, dal titolo
Beati i piccoli
Il passerotto mangiucchia la mollica
Sul terrazzo. Io prego.
Il cielo è cupo.
Ma non importa.
Entrambi ci siamo saziati
Infatti.
E cantiamo.
Ti ringrazio perché ci hai aiutato a ricordare l’importanza della meditazione e il grande valore della contemplazione.
Con affetto
Fabio
Caro Dario, fa sempre piacere constatare che non si è soli, grazie della condivisione.
Fabio, trovi sempre una poesia di Marco, adatta all’uopo (come si diceva una volta), questa proprio non me la ricordavo, è deliziosa, grazie di averla riportata alla memoria.