Recentemente ho visto il film di Antonio Morabito ‘Rimetti a noi i nostri debiti’ e i contenuti della pellicola mi hanno portata ad alcune riflessioni.
Non voglio fare una recensione del film, che mi è sembrato bellissimo, tutto, compresa la splendida colonna sonora, e nemmeno anticipare i contenuti per non rovinarne la visione, ma parlare solo di ciò che ha fatto emergere in me.
Come si vede nel trailer, il film tratta dei metodi di recupero di somme di denaro da debitori insolventi.
Ciò mi ha fatto pensare ai rapporti tra le persone e al fatto che nelle relazioni c’è spesso un debito/credito, e non di denaro, ma di amore.
Mentre guardavo il film, mi tornava alla memoria un racconto del Vangelo, quello in cui a un debitore viene condonato un grosso debito e lui, invece di essere grato, si accanisce contro quelli che gli devono delle piccole somme.
Ho cercato e trovato: si tratta della cosiddetta ‘parabola del servo spietato’, che si trova in Matteo e che riporto in parte:
«‘Un re volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito».
Se osserviamo i comportamenti umani, possiamo notare che spesso agiamo allo stesso modo del servo spietato e che, quando riteniamo di essere stati feriti, sentiamo di avere un credito nei confronti di chi ci ha mancato, più o meno gravemente, di rispetto.
Sto pensando a quelle situazioni in cui c’è stata un’ingiustizia vera nei nostri confronti. Offesi, pensiamo che chi ci ha ferito sia in debito verso di noi e ci debba un risarcimento.
Consideriamo chi ci ha fatto un torto privo di valore e di dignità e gli stiamo addosso col nostro disprezzo.
E insistiamo, io insisto, voglio il mio pagamento con gli interessi, proprio come il servo senza cuore. E se l’insistenza non basta, metto in difficoltà la persona che considero colpevole, la faccio vergognare. O desidero farlo.
Come la ‘pittima’, che, nella Serenissima e nella Repubblica Marinara di Genova, – scrive Eva Zilio – era ‘una persona pagata per seguire chi aveva un debito moroso. Il pedinamento costante era accompagnato da gemiti, urla, lamenti. Grazie alla pressione e alla pubblica umiliazione, il debitore si trovava costretto a saldare i suoi conti. La ‘pittima’ era infatti facilmente riconoscibile. Vestiva di rosso e questo faceva sì che tutti sapessero del debito, aumentando l’imbarazzo del ‘pedinamento.’
Può accadere però che il debitore non possa pagare, non abbia i mezzi per sanare i danni che ha fatto. Semplicemente, non può.
E allora cosa posso fare? Infierire? Continuare col mio odio?
Oppure stracciare il debito, condonarlo, cancellarlo del tutto?
E perché dovrei fare questo?
Nella preghiera, citata nel titolo del film, c’è scritto: ‘rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori’.
Allora mi ricordo che anch’io ho ferito tante volte, anch’io ho delle gravi pendenze. Sono come il servo a cui è stato condonato un debito insolvibile, ma non me ne ricordo più e vedo solo i torti fatti a me.
Posso tuttavia fare un salto di consapevolezza, rendermi conto della situazione di chi mi ha ferito, oltre a comprendere le sue ragioni. Anche se queste – a volte – non bastano per perdonare, posso comprendere che ora non può onorare il suo debito.
In questa nuova consapevolezza, come il re della parabola evangelica, posso decidere di stracciare la carta del dolore dove sono elencati tutti i miei crediti, posso estinguerli con un libero atto di ‘pietas’ e cancellare il debito di mia madre e di mio padre, della figlia e del figlio, del collega, dell’amico o dell’amica, del coniuge, del fratello e della sorella, di tutti i miei antenati e antagonisti.
Non si tratta di essere buoni, o bravi, ma di non pretendere più il risarcimento, di ‘dare credito’, cioè di dare fiducia.
E il debito viene stracciato, appallottolato, gettato, estinto totalmente.
Non c’è più, non c’è mai stato.
Mentre questo accade, il cuore si alleggerisce, lui, davvero perdonato.
Post scriptum
Alla fine di queste riflessioni, la mia attenzione è attirata da un libro di Marco Guzzi, da qualche tempo poggiato sulla scrivania, che aspetta paziente di essere riletto. Vedo che in quarta di copertina c’è una poesia, ‘Per donarsi’, la leggo. La sincronicità dell’evento mi tocca e il componimento poetico mi risuona ora come un canto nuovo:
Fratello, per donarti, per creare
Vita sulla terra, e in abbondanza,
Impara a perdonarti, a perdonare,
Impara a liberare
Il cuore dai suoi pesi, dalle colpe,
A sciogliere dal petto le catene
Dell’odio.
Perdònati,
Fratello, per donarti, perdona
Tuo padre e tua madre, per creare
Vita in abbondanza, assolvi
I tuoi parenti e i tuoi nemici, sii per loro
La grazia
Senza condizioni.
E ti prometto
Che presto fiorirai
Qui sulla terra, e costruirai
Di getto il mondo nuovo
Che palpita già in te,
Figlio dell’uomo.
Grazie Paola, leggendo il tuo post ho sentito la veridicità di questo scritto, l ho sentita partire dal profondo del cuore. Anche se mi rendo conto della difficoltà del metterlo in pratica, mi sprona a provarci. C è qualcosa di miracoloso nel riuscire veramente a perdonare e a perdonarsi, allorché ci si riuscisse veramente, io penso che il senso di pace e libertà sia immenso. Un caro saluto.
Grazie Carlo, per la tua risonanza al post.
Però non l’ho scritto io: c’è stato un errore al quale abbiamo prontamente rimediato.
Mi scuso anche con Silvia che è l’autrice.
Buona giornata a tutti, cercando di condonare qualche debito, sentendoci a nostra volta perdonati.
Paola
Grazie e un saluto a Silvia.
Ciao Carlo!
Nel tuo commento descrivi benissimo quello che sento anch’io: perdonare, lasciar andare, libera prima di tutto noi stessi. Non è accettazione rassegnata, ma cambiamento interiore. Vedere le cose da una prospettiva diversa.
Ed esserne intimamente rallegrati.
Un abbraccio
Silvia
Mt 6,12
e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
Lc 11,4
e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
Il confronto delle due versioni a me dice che ho bisogno di essere anticipata nel perdono per poi poter fare altrettanto. Del resto, come essere umani già di per sé siamo esseri anticipati – dalla volontà dei genitori che ci mettono al mondo all’amore del Padre che ci sorregge fin dall’inizio. Perciò anche nel perdono ho bisogno di un anticipo di tenerezza misericordiosa verso di me, in modo che io, specchiandomici dentro, sappia fare altrettanto.
Così Luca mi dice che è perché io sono già stata perdonata che posso trovare la forza di perdonare a mia volta. Matteo mi ricorda che il perdono che io posso offrire ha bisogno della stessa radicalità del perdono del Padre.
E non mi resta che buttarmi nelle braccia di un Dio la cui misericordia non potrà che essere immensamente più grande del mio debito…
iside
Bello questo spunto di riflessione.
(Ieri avevo scritto per ben due volte un commento, ma è andato tutto perso,quanta pazienza ci vuole con internet!!!)
Ricordo che già da bambina, nel Padre Nostro, mi colpiva e lo interpretavo come un “do ut des”….poi come…. dai anche tu agli altri quel che ricevi dal Padre….una catena che
dal bene crea bene.
Il problema è che parlar di debiti in soldi/concreti è molto più facile che non renderci veramente
conto che anche noi abbiamo “debiti” a scapito di altri!
La “pittima”(l’ immagine sopra m’ era sembrata un peperoncino…ih, ih…), la vittima, ci perseguita per “farcela pagare”….forse perché spesso confondiamo un bruciante senso di colpa e bruciore implacabile di non-perdono……ma temo che la cosa più ardua sia avere la consapevolezza del male che si fa, agli altri e a se stessi (e magari “incolpandone” altri!…..)….un nostro debito forse è anche la mancanza di empatia….(scusate la poca organicitaa di quanto ho scritto).
Buona giornata
Grazie cara Silvia, per questo bel post.
Purtroppo siamo cresciuti con le “male-dizioni” usuali, tipo “nessuno ti dà niente per niente”… e anche certe prediche, del tipo “Dio ti vuol bene MA tu devi, tu devi…” e via di questo passo, secondo sentieri dolorosi che ben conosciamo. Così capita (a me capita spesso, senza volere) di immaginare, di “mappare” la relazione con il Padre nei termini di mutua efficienza, del tipo “tu mi assicuri protezione e riparo, io IN CAMBIO (terribili parole!) ti garantisco uno standard di comportamento…” o peggio, “devo essere ad un certo standard altrimenti non sarà amato”.
Terribile. Terribile perché si basa sul malinteso (anzi sull’eresia, propriamente parlando) che noi DA SOLI si possa essere capaci di un comportamento morale di un certo tipo. Non è proprio questo il caso, anzi. E terribile, anche, perché in realtà, mi pare, è un “trucco” per evitare la relazione di fiducia, impostando una relazione “di scambio” (del tipo commerciale, ovvero “del mondo”) si blocca quella molto più liberante dell’affidamento.
“Non si tratta di essere buoni, o bravi, ma di non pretendere più il risarcimento, di ‘dare credito’, cioè di dare fiducia”, tu scrivi. E credo si estenda anche al non pretendere più da noi stessi, di poter risarcire.
Leggevo qualche giorno fa, un passo del libro di Marco Guzzi, “Dalla fine all’inizio”, dove dice
“Ogni volta siamo chiamati a sperimentare sempre più profondamente l’abbandono supremo al Signore della nostra vita, l’implorazione di aiuto, l’assoluta insufficienza delle nostre forze, lo sganciamento da ogni residua pretesa di autosalvezza o di autonomia egoica.”
L’abbandono supremo, è anche sapere che – diamine! – non posso restituire il credito, non potrò mai. Comunque.
Per una parte di me è la rovina, per l’altra parte, è l’inizio della vera liberazione.
Davvero bellissime queste immagini Silvia! Da tenere a memoria, da leggere e rileggere grazie di cuore!
Daniela
Cara Silvia,
con la leggerezza con cui le tue mani toccano la tastiera del clavicembalo ci fai riflettere sul mistero del perdono, ci porti al cuore della fede cristiana perché Cristo si è incarnato per perdonarci, per liberarci proprio dalla schiavitù del peccato; la remissione dei peccati è il cuore della missione del Messia.
Il percorso iniziatico che stiamo vivendo ci porta più consapevolmente nel dinamismo rigenerativo della vita, passiamo da una forma ad un’altra forma dell’io attraverso la comunione allo spirito di Cristo che crediamo essere la forma definitiva dell’io.
Impariamo a riconoscere sempre più sottilmente le nostre infinite cadute nella prigionia e a rinunciare a quelle forme che ci rinchiudono in uno spazio angusto per ricevere lo Spirito che rigenera adesso un pezzetto della nostra identità e quindi della nostra storia.
Abbiamo bisogno di cammini spirituali che ci aiutino a comprendere che Cristo è un medico serio, quando incontra il dolore non dice che lo manda Dio, ma lo toglie e la sua misericordia non consiste nel negare il male, ma
nell’ accoglierlo e curarlo.
Grazie e un forte abbraccio, Giuliana
Grazie Silvia. Io sono cresciuto (e penso la maggior parte di noi ) con l’idea di “perdonare altrimenti non sono buono e non mi salverò, non sono un buon cristiano, non avrò meriti,ecc.). Invece sono convinto che il PERDONO sia essenzialmente un atto e una decisione di libertà che mi guarisce dai risentimenti: decido, a prescindere da tutto e tutti, di perdonare, mollo la zavorra che mi tiene appesantito a terra. Il problema è se ho forza sufficiente per fare questa scelta, specie con le persone più care, dalle quali magari suppongo di dover ricevere sempre amore e mai torti. Giampaolo.
PRESENTE GRAZIE
Carissimi Iside, Claudia, Marco, Daniela, Giuliana, Giampaolo,
i vostri interventi sono illuminanti e aiutano a vedere la via del perdono da diversi punti di vista.
L’empatia, l’ascolto equanime di noi stessi, il farsi assorbire dalla tenerezza di Dio, la rinuncia alla nostra negatività, il mollare tutti i risentimenti sono la chiave per la felicità.
Credo che il segreto sia ‘rimanere’ in queste parole, ripeterle ogni giorno, quando ricadiamo negli automatismi difensivi che portano al rancore. E confidare nell’infinita benevolenza dello Spirito. Affidarsi. Sorrido e mi abbandono, lascio andare, perdonato, perdonata, perdono.
Grazie, un abbraccio a tutti
Silvia
Cara Silvia e cari tutti,
combinazione proprio in questi giorni mi trovo a cantare queste parole:
“Tu, re clemente, somigli a Dio,
Perché l’ offesa copri d’ oblio,
Perché perdoni agli offensor…” (“Ernani” di Giuseppe Verdi, ci si rivolge a Carlo V)
Non è tanto-tanto bello?
Bellissimo, Claudia, davvero!
Grazie!
Ciao!
Ciao Silvia,
ho appena letto la tua riflessione sul perdono e mi è molto piaciuta perché tocca uno dei nodi centrali della vita.
Per me, fino a poco tempo fa, era molto difficile perdonare su base volontaristica-razionale perché continuavo a sentire il bruciore dell’offesa e portando in me questo turbamento non riuscivo a lasciare andare. Ricorrevo ad escamotage quali il cercare di non pensarci, ma erano solo dei palliativi.
E’ stata una riflessione di Scardovelli ad aiutarmi molto. In una sua lezione ha spiegato che l’offesa dell’altro è sempre una preziosa occasione di crescita in quanto ci si offende solo quando il comportamento dell’altro va a toccare un proprio problema e quindi per questo risuona. Devi capire qual è il tuo nodo e lavorare a scioglierlo. A fine dei conti se uno ti dice che sei cinese questo non ti turba proprio perché non fa vibrare nessuna delle tue corde emotive. E se l’altro te lo ripete ti allontani al limite un po’ sorpreso, ma assolutamente tranquillo; quando l’affermazione dell’altro ti inquieta vuol dire che è in gioco una tua paura, una tua difesa.
Questa lezione, che è stata a lungo indigesta per me, perché continuavo a pensare che l’altro aveva una responsabilità oggettiva, si è rivelata meravigliosa quando ho cominciato a capire e a cambiare sguardo.
L’altro mi offendeva perché era in un suo carcere che era lo specchio della mia prigione, ma da quando ho capito il meccanismo l’offesa ha cominciato a trasformarsi in una preziosa occasione per cominciare a segare le sbarre del mio carcere e al tempo stesso per vedere la triste cella in cui alberga in quel momento l’anima dell’altro e provare pietas per le sue difficoltà ad uscirne.
In questo modo le offese si sono andate trasformando da occasioni di turbamento e rimugino in cui rimanevo a lungo prigioniera in momenti di crescita e liberazione interiore.
Tutto ciò sta talmente migliorando la mia vita che lo vorrei condividere con il mondo intero, ma quando cerco di spiegarlo incontro scarso successo. Per questo ho sentito la voglia di parlarne qui a te e a tutti voi che mi potete comprendere.
Con affetto, un abbraccio
Mara
Lo “scarso successo” nella comunicazione lo incontro quando tendo a considerare “tutti uguali”(che poi vuol dire “tutti come me”).
Il prossimo invece non ha la stessa importanza per tutti, ma tipologie umane sono diverse, contestuali e miste al loro interno …….poi ci sono pure le diverse esperienze personali, ecc.ecc.
Fra un cosidetto “feeler” ed un cosidetto “judger” c’ è una bella differenza.
Comunque tutti, credo, conosciamo la differenza fra chi “se la lega al dito” e chi invece non riesce a superare il dolore che gli è stato “causato” da un’ altra persona…….parlando di rapporti in generale io lavoro in un ambiente molto-molto difficile, padroneggiato da egoismi e arrivismi……addirittura qualcuno saluta solo “chi può essere utile”….oppure saluta perché “io sono una persona educata”……toglie il saluto per i motivi più sciocchi o misteriosi; questa è la realtà in cui mi muovo e dove la carenza di “umanità ” è notevole……..ma……..immaginate quanta tensione/fatica inutile/controproducente affronta ogni giorno chi deve scannerizzare ogni figura umana con cui si imbatte per decidere se sia il caso di sforzarsi a salutare/perdurare nel rifiuto ???
Questo per me è molto simile alla dinamica/statica del perdono/non perdono.
Io tendo a dare sempre nuove possibilità e, anche se ogni tanto temo di eccedere in questa direzione, in realtà penso che così facendo vivo meglio.
La freddezza mi fa paura perché la vedo come possibile premessa di crudeltà implacabile (che ho conosciuto).
Ancora ricordo quando una volta da piccola in un negozio sentii una madre dichiarare che la propria figlia non avrebbe dovuto avere la vita più semplice della sua……..penso che quella donna il suo “debito” lo avrebbe voluto far pagare al mondo intero!
Perdonate i miei sprizzi-sprazzi, spero che qualcuno sia in questa mia “lunghezza d’onda”.
..
Cara Mara, grazie per queste parole che contribuiscono ad approfondire ulteriormente la riflessione sul perdono. Certamente, se io non fossi come sono, con i miei problemi/distorsioni, non mi irriterebbe tanto quello che fa o dice l’altro. O ha fatto in passato.
Alle volte è difficile condividere questo modo di vedere le cose con chi non pratica un cammino di consapevolezza: ci si sente rispondere che è impossibile perdonare, perché ‘oggettivamente’ l’altro ci ha feriti. Ed è vero, aggiungo io. Quello che però sorprende, nel continuo cercare di spostare l’attenzione dal proprio ego offeso all’io integro, è il rilassamento che alla lunga ne consegue. Il sorriso man mano affiora in situazioni in cui si sarebbe innescata immediatamente la miccia della rabbia, agìta, o vissuta come risentimento inespresso. Invece, nella ricerca dell’integrità e nell’affidamento allo Spirito, si prendono decisioni diverse e la vita cambia veramente, questo si può sperimentare. Non si tratta solo di un sollievo momentaneo, ma di una trasformazione interiore reale, che porta in spazi liberi, dove è possibile un futuro migliore. Forse, col tempo, il nostro modo di essere, trasformato e divenuto visibile all’esterno, ci potrà aiutare a coinvolgere anche altre persone nella dinamica del perdono rigenerante.
Cara Claudia, tutto ciò è particolarmente difficile negli ambienti lavorativi ‘chiusi’, credo che succeda in tutti gli ambiti. Purtroppo stare in luoghi in cui ci si deve far vedere bravi e sicuri di sé a tutti i costi, è molto faticoso, e richiede, a chi non abbia questa modalità di porsi con gli altri, una dose di pazienza grandissima. Per questo, la forza a mio avviso può venire solo da una potente pratica meditativa. Mi sembra che questo sia il tuo ‘segreto’ e credo che possa essere un invito per tutti noi, perché nelle situazioni difficili approfittiamo sempre dell’energia infinita a cui possiamo attingere in ogni istante: trovare gli spazi liberi, caricarci di energia e riprendere il cammino sperimentando un grande sollievo e la forza per portare il cambiamento nel nostro ambiente.
Un abbraccio
Silvia
Dici bene, Silvia: “non si tratta di essere buoni, ma di dare credito”.
Guzzi dice che siamo chiamati a sperimentare l’abbandono di ogni pretesa di autosalvezza.
E ci sta proprio bene la conclusione di Castellani: “L’abbandono supremo è anche sapere che non posso restituire il credito, comunque”.
E lo sento proprio vero che questo è insieme rovina e liberazione.
grazie, Giancarlo
Caro Giancarlo,
forse possiamo dire così: la ‘rovina’ è continuare a lasciarci dominare dall’’io-bambino ferito’.
Con i nostri esercizi noi ascoltiamo e ci prendiamo cura delle nostre parti ferite offese, che hanno le loro ragioni. Poi impariamo a lasciarle andare, a diluirle, a non ‘dare loro credito’, a cominciare a ‘dare credito al nostro io più integro’.
Ed ecco la liberazione: la nuova azione-libera, che nasce da un pensiero unificato e produce parole bene-dicenti, grazie alla terapia rigenerante dello Spirito. E così perdoniamo noi stessi, gli altri e si ‘incarna’ una storia nuova.
Un abbraccio
Silvia